Nel 2023 è lecito ancora seguire i comandamenti? Perché non seguire una propria etica?

VI domenica del tempo ordinario – anno A

Sir 15,15-20; Sal 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

INTRODUZIONE
Seguire Cristo e farci suoi veri discepoli nella coerenza della vita cristiana che abbiamo scelto, dando valore e dignità al Battesimo che abbiamo ricevuto, non è facile. Ci sono delle scelte da prendere e con esse vengono anche delle rinunce. Si tratta di un cammino spesso impervio, in salita, e talvolta se non ci arresta di fronte alla fatica, capita di cascare, farsi male, e quindi peccare. Eppure null’altro v’è di più certo, che questo sia l’unico cammino per la nostra felicità, per quella santificazione personale e comunitaria che ci introduce nella beatitudine eterna della comunione con Dio e con i santi.

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Come camminare? Come essere certi di aver imboccato la strada giusta? Il discernimento la fa da padrona, soprattutto se questo è illuminato dalla preghiera e da un’intensa vita comunitaria, in comunione con la Santa Chiesa di Dio. Oltre a questo uno degli strumenti che ci vengono dati sono i comandamenti. Non si tratta di disposizione totalitaristiche dateci da Dio perché viviamo costantemente sottomessi a lui – tutt’altro, la nostra è la religione della libertà –, men che meno sono imposizioni provenienti da una macro istituzione di stampo millenario, come talvolta la Chiesa viene percepita.

I comandamenti, quindi, sono disposizioni perché la vita dell’uomo prosegua nell’armonia con la società e nella comunione con Dio. Provenienti dall’Amore, sono tesi alla preservazione dell’amore e aventi come fine stesso l’Amore, ultimo e definitivo che è in Dio. Questo, dunque, è il tema della liturgia della Parola di questa sesta domenica del tempo ordinario. Buona lettura!

Prima lettura
Dal libro del Siracide (Sir 15,15-20)

Se vuoi osservare i suoi comandamenti, essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare. 

Perché sentirci oppressi dai comandamenti?
Il brano si apre con un’affermazione chiara, forte e che anticipa tutto il suo contenuto: il senso dei comandamenti non è l’oppressione, ma la salvezza dell’anima e la salvaguardia integrale (vedi il termine custodia, appunto) dell’uomo.

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Ma non solo. Le affermazioni successive, finiscono per convalidare quanto abbiamo detto nell’introduzione all’articolo: i comandamenti non sono pensati per inibire, né annullare, la libertà umana, ma per amplificarla nella consapevolezza. Rileggiamo:

Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.

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In campo entra quel libero arbitrio, dono per eccellenza fatta dal Creatore all’uomo, che tanto difficilmente lo si finisce per comprendere soprattutto di fronte all’insensatezza del male nel mondo (per un maggiore approfondimento, rimandiamo all’articolo raggiungibile cliccando sul link in basso).

Il libro del Siracide è stato scritto intorno al 195 a.C., ma è interessante quanto sia attuale il suo messaggio, soprattutto in riferimento al relativismo morale che viviamo negli ultimi anni. Oggi infatti, in quest’era così pagana nel cuore, sembra lecito dire che ognuno possa fare quello che desidera, perdendo ogni punto di riferimento che ci protegga quando capita di sbandare. E così la vita di tanti uomini e tante donne, soprattutto giovani, assomiglia a una macchina che sfreccia ad alta velocità su un’autostrada privata di guard reil. Si vive senza certezze né sicurezze, e per questo si finisce per vivere male e nel frattempo aumentano in Italia, come in tutto l’Occidente, i casi di suicidi tra giovani, così come riporta “La Repubblica”.

La sapienza divina
Dopo aver delineato il senso dei comandamenti divini, il Siracide, nella seconda parte del brano che abbiamo letto, spiega che essi sono espressioni della tenerezza di un Dio che si preoccupa per quelle creature che ama come figli. Rileggiamo:

Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.

Se questi comandamenti, potremmo dire, non ci fanno male, al contrario servono per preservare la nostra felicità senza spezzare le ali della nostra libertà, e se soprattutto provengono dalla Provvidenza di Dio che è mosso unicamente dalla passione che prova per noi, perché non usufruirne?

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Se la mentalità del nostro secolo, è teso a fare dell’ego personale la nuova divinità da idolatrare (fingendo che le conseguenze non siano così catastrofiche), siamo davvero certi che le scelte dell’uomo avulse da ogni punto di riferimento sociale ed etico siano oggettivamente buone e veritiere?

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Sei nato per fare grandi cose
Il brano si conclude con un’ultima affermazione, piuttosto provocatoria:

A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare. 

Tutti, nessuno escluso, hanno gli strumenti giusti per farsi santo. Nessuno escluso. Ognuno sceglie per sé, come abbiamo visto, il bene e il male. Eppure le nostre azioni non rimangono senza conseguenza: il male non può restare impunito.

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Nessuno nasce con un destino scritto sulla sua condotta morale o sull’uomo che sarà chiamato ad esse. Ognuno è artefice della propria storia. E già questo basterebbe fin da ora per un ulteriore approfondimento catechetico per quei cristiani che credono nel destino e nel karma.
Dio ti ha voluto alla vita perché tu possa fare grandi cose. Sei stato battezzato e in quanto tale hai il compito di farti collaboratore di Cristo nell’opera redentrice del mondo. Ma sta a te realizzare quest’intima vocazione che ti viene data fin dalla nascita.

Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,17-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto. 
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. 
Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non uccidere”; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. 
Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. 
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo! 
Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, càvalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tàgliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna. 
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio”; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno».

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Contesto
Nei giorni festivi di questo tempo ordinario, la liturgia della Parola ci sta offrendo la possibilità di meditare il Vangelo secondo Matteo (mentre nei giorni feriali quello di Marco).
Ci troviamo in particolare in quella grande sezione narrativa che è comunemente chiamata “Il discorso della montagna” (Cfr. Mt 5,1-7,29), dove Gesù, quale novello Mosè, insegna al popolo le vie del Signore perché viva costantemente alla sua presenza e nella sua grazia.

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Il brano si situa, dunque, a continuazione perfetta delle enumerazione delle Beatitudini (Mt 5,1-12; vedi link in basso) e dell’invito a essere sale e luce del mondo (Mt 5, 13-16; vedi link in basso), che è poi quello che abbiamo letto la scorsa domenica.

La nuova etica di Cristo
La religiosità all’epoca di Gesù non era molto facile da vivere. Gli oltre 600 precetti giudaici, unitamente alle diverse dottrine imperanti (farisei, sadducei, zeloti, culto gerosolimitano, ecc.) imponevano carichi gravosi sulle spalle dei fedeli che faticavano a camminare nella grazia di Dio.

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Per questo la predicazione di Gesù, conquista i cuori di tanta gente ritenuta scomunicata, peccatrice senza possibilità di assoluzione e la conseguente critica dei farisei. Uno fra tutti, particolarmente emblematico, è il caso raccontato dall’evangelista Matteo:

Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?” (Mt 9,10-11).

Non meno provocatorie sono le risposte di Gesù che afferma di essere venuto per salvare proprio coloro che i benpensanti dell’epoca volevano vendere condannati per l’eternità. Leggiamo, infatti, in due passi diversi dello stesso evangelista:

Udito questo, disse: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici . Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,12-13).

E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio (Mt 21, 31c)

Proprio per questa intima inclinazione verso i più diseredati della società dell’epoca, molti si convinsero che la dottrina del Maestro di Nazareth, prevedesse una sorta di morale più annacquata, più lassista. Da qui l’affermazione con la quale si apre il brano evangelico di questa domenica:

Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.

Interessante come l’evangelista Giovanni descriva la presa di coscienza dei seguaci di Cristo, di fronte ad affermazioni di questo genere, con il loro abbandonare il Maestro. Leggiamo infatti nel sesto capitolo del quarto vangelo:

Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,66-69).

Dunque l’indirizzo morale di Gesù non è teso ad abolire quello che gli israeliti vivevano nella sua epoca, ma a dare compimento, cioè a rivelarne il senso più profondo, a concludere quelle che Dio aveva iniziato ai tempi di Mosè sul Sinai.
Qual è allora questo compimento di cui parla Gesù? Cosa dà profondità e significato ai comandamenti e ai precetti rivelati agli antichi padri, fin dagli inizi della nascita del popolo santo dal quale come cristiani discendiamo? L’amore! Tutto si sintetizza nell’amore, tutto coinvolge verso lì: da esso parte e a esso torna. I comandamenti e i precetti morali a null’altro servono se non nel fondare la vita cristiana nell’amore vicendevole e verso Dio. Da qui l’affermazione di San Paolo ai Galati:

Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso (Gal 5,14).

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Amando salveremo le nostre vite
Lo abbiamo detto in diverse circostanze, e non ci stancheremo di ripeterlo: tutta la predicazione di Gesù è tesa a impetrarci la necessità dell’amore fraterno come condizione prima, e punto di inizio, per la santificazione personale. Si tratta di amare l’altro come conseguenza dell’amor divino sperimentato nella nostra vita. Si ama l’altro perché è il mezzo più diretto per ricambiare l’amore ricevuto da Dio. Si ama l’altro in quanto scelto per essere mediatore stesso del volto di Dio nella nostra vita. Sarà Gesù stesso a dirlo nel suo discorso escatologico presente alla fine del Vangelo secondo Matteo:

In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25,40).

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Per questa ragione il mistico carmelitano San Giovanni della Croce affermava:

“Alla sera della vita, sarai esaminato nell’amore”

S. Giovanni della Croce, Detti di luce e amore, n. 59

Sulla stessa scia, Sant’Agostino molti secoli prima, in maniera poetica diceva:

“Ama e fa’ ciò che vuoi. Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il Bene”

S. Agostino
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Si tratta di affermazioni forti che non provengono da nessun altro luogo che da una meditazione profonda, e concretamente vissuta, della parole di Gesù. Non a caso nel brano evangelico di oggi, Gesù continua dicendo:

Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. 
Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

L’amore, per Gesù, quindi, non soltanto va osservato, vissuto, ma anche insegnato, promulgato coraggiosamente dai podi di questa nostra società che confonde per amore qualsiasi tipo di idolatria.
Da qui un’ulteriore invito per noi: quello di riscoprirci missionari. La nostra fede non porterà frutto, fino a quando non impareremo a farla uscire dai recenti asfissianti delle nostre mura domestiche, del circolo chiuso delle poche amicizie e a gridare a tutto il mondo quanto sia bello seguire Cristo.

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L’amore dunque è la discriminante perché un cristiano possa sperare di entrare nel Regno dei cieli. Un amore, però, che inizia dalla sua dimensione orizzontale, sociale potemmo dire, comunitaria. Tant’è che Gesù specifica:

Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

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Se scribi e farisei pensavano di poter meritare la salvezza in base all’osservanza dei diversi precetti, Gesù rivela che a nulla essi servono se non sono intrisi d’amore e non indirizzano all’amore. Per questo, in maniera provocatoria, abbiamo dedicato alcuni dei nostri articoli ai farisei di questo secolo, gente che si dice praticante, ma che poi non è nemmeno degna di essere considerata cristiana (vedi link in basso).

Parole che uccidono
Eccoci quindi al nodo cruciale della questione: ciò che Gesù intende per compimento della legge.

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non uccidere”; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. 

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Ci sono molti modi per eliminare un fratello, e non necessariamente tutti portano allo spargimento di sangue, pur restandone ugualmente violenti. La morte di un uomo passa attraverso la calunnia e l’emarginazione. Lo esprime molto chiaramente papa Francesco, che in merito si è espresso in diversi modi, rimproverando certi comportamenti di presunti cristiani:

Molti cristiani si presentano al confessore elogiandosi del fatto di non aver ucciso nessuno, ma quando poi gli si chiede conto della qualità delle sue relazioni, dell’uso che ne ha fatto della parola verbale, come di quella scritta sulle nuove ghigliottine mediatiche (i social media), le cose poi cambiano. E se è vero che una volta Dio chiese conto a Caino del sangue del fratello, allo stesso modo verrà chiesto conto a molti cristiani dell’uso che avranno fatto della loro lingua biforcuta, come dell’utilizzo pusillanime di Facebook, WhatsApp, Instagram e via discorrendo.

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Se il tuo cuore non è riconciliato, a Messa non presentarti nemmeno
Continuando con la meditazione del brano del Vangelo di questa domenica, possiamo notare come con tono forte Gesù torna a sottolineare l’importanza della comunione fraterna come conditio sine qua non (cioè come condizione indispensabile) per un vero culto cristiano.

Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. 

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Se pensiamo che tutto questo sia esagerato e che in qualche modo è possibile godere della grazia di Dio, prescindendo dalle relazioni fraterne (per cui si può ritenere lecito il pettegolezzo, la mormorazione, il pregiudizio e ogni altra forma di chiusura), basti vedere l’esempio di Giuda. Nel Vangelo secondo Giovanni, infatti, durante la celebrazione dell’ultima cena, Satana entra in Giuda proprio nel momento in cui accetta il boccone eucaristico dalla mano di Cristo, pur non essendo in comunione né con lui, né con gli altri apostoli.

Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui (Gv 13,27).

Il cammino cristiano, dunque, è una cosa seria: non si scherza con i sacramenti… e chissà quanti cristiani figli di Giuda siedono tra i banchi delle nostre chiese.

Adulteri anche col solo sguardo
Continuando con l’approfondimento di alcuni dei comandamenti di Mosè, Gesù afferma che come con la parola si uccide, è possibile anche peccare di adulterio col solo sguardo. Come abbiamo avuto modo di dire in un altro nostro articolo:

Lo sdoganamento dell’erotismo e della pornografia ad atto usuale e “normale” pone non solo molte persone di fronte al pericolo di una schiavitù, ma mette in una situazione di grave criticità molti matrimoni che dovrebbero essere basati sull’esclusività dell’amore, sulla purezza dello sguardo, degli abbracci e della tenerezza coniugale.

Anche qui il nesso da cogliere è l’amore. Quando si pecca di adulterio infatti? Quando si smette di vedere l’altro come una persona e lo si percepisce come un oggetto atto a sfogare le proprie pulsioni, una sorta di “usa e getta”. La purezza di sguardo, invece, alla quale Gesù ci chiama per non cadere in balia della Geenna eterna, è l’unico in grado di salvaguardare la dignità della persona nella sua integrità.

Conclusione
Cari fratelli, cari lettori, questa vita o la si vive nell’amore dandole significato, oppure svilisce nell’oblio del nulla, del non senso. E poiché il concetto d’amore, soprattutto in questa nostra epoca così impregnata di ideologie relativistiche, dove tutto e niente è l’amore, a tracciarci il sentiero sono proprio i comandamenti divini. Essi brillano nell’oscurità delle nostre notti, davanti la nostra vista annebbiata dalla stanchezza e abbagliata dalle tante chimere che ci bombardano dai social media. Fari certi, lungo il navigare tempestoso della nostra esistenza, ci conducono verso il porto sicuro della nostra salvezza. Guardando ad essi saremo certi di camminare nell’amore, di essere così come il Signore ci ha sognati prima di darci la vita: renderemo fiero lui e vivremo nella gioia noi.

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Rendiamo il nostro sguardo fiducioso, puntato diritto verso l’Amore e incarnandolo nella nostra vita, perché Cristo ancora oggi possa essere presentato al mondo, come un tempo lo fece la Vergine Maria nella grotta di Betlemme.
Buona domenica.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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