Cosa fare quando la volontà di Dio non è comprensibile o difficile da vivere?

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli» (Mt 21,28-32). 

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Contesto
Il brano evangelico di questo martedì della terza settimana di avvento, ci inserisce all’interno di uno dei momenti più aspri della polemica tra Gesù e le autorità religiose della sua epoca.
A livello narrativo ci troviamo all’interno di quel capitolo del primo evangelista, all’interno del quale viene narrato l’ingresso trionfale del Messia di Nazareth all’interno della città santa: un ingresso molto diverso rispetto a quello riportato dall’evangelista Luca, a cui rimandiamo nel link qui in basso per un maggiore approfondimento.

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C’è una cosa, però, sulla quale i due evangelisti concordano: appena varcata la soglia di Gerusalemme, Gesù non perde tempo e speditamente si dirige al tempio per insegnare, spinto dal desiderio di poter ricondurre quanti più uomini possibili verso l’unica via di salvezza: quella indicata dal Padre. Per questo, una volta entrato nel tempio, il primo gesto è quello di “purificarlo”, renderlo di nuovo un vero luogo di culto e non di speculazione sulle spalle dei pellegrini.

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Il brano di oggi, poi, va compreso nel suo aspetto più ampio, rientrando, cioè, in quella polemica con i «capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» iniziata poco prima, e che la liturgia ha offerto alla nostra meditazione nella giornata di ieri. Leggiamo:

In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?».
Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?».
Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose» (Mt 21,23-27)
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Il guaio del «si è sempre fatto così»
La novità portata da Cristo che invitava a una teologia delle origini, liberata dagli orpelli di una certa tradizione farisaica e che permetteva il riemergere del volto di un Dio molto più tenero di quello che ci si sarebbe aspettati, non piace a coloro che fino a quel momento si credevano i detentori della verità assoluta su Dio e sulla vita che osteggiano adesso apertamente il Maestro di Nazareth.

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Qual era il problema? La capacità recettiva delle folle circa la dottrina di Gesù: la sua era davvero una parola di vita, che riaccendeva la fede e la speranza nel cuore delle folle, e soprattutto dagli oppressi e da coloro che venivano emarginati dal mondo sociale e religioso dell’epoca. Gesù, creava comunione attorno a sé, polarizzava attenzione e affetti. Cosa di cui gli ingessati teologi dell’epoca non erano in grado.
Per questa ragione la recriminazione dell’autorità che gli fanno, non è per nulla marginale. Al contrario, fin da subito il magistero di Cristo viene riconosciuto dalla gente, qualitativamente diverso rispetto a quello degli scribi, farisei e sacerdoti dell’epoca. Non è un caso che tutto il grande insegnamento della montagna, nella quale rientrano le beatitudini, si conclude con questa annotazione circa il pensiero dei suoi uditori:

Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi (Mt 7,28-29).

Rimandiamo, qui di seguito, a tre articoli che approfondiscono altrettanti insegnamenti riguardanti il discorso della montagna.

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Oggi come allora il problema resta sempre lo stesso: l’incapacità di farci stupire da Dio, ritenerci assoluti detentori della verità su Dio e sul mondo, uomini monolitici e inamovibili che invecchiano non solo nel corpo ma anche nella mente e nell’anima.
La prima provocazione che cogliamo oggi è proprio quello di lasciarci mettere in crisi dall’eterna novità di Cristo che fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Solo chi impara a mettersi in discussione di fronte alla volontà di Dio, alla sua parola, come anche di fronte agli eventi della vita e alle relazioni con gli altri, può mantenere una freschezza mentale e d’animo che gli permette di crescere spiritualmente. Contrariamente, invece, è proprio del superbo restare tutto d’un pezzo, pretendendo che gli altri si adeguino alla sua mentalità, ideologica oseremmo dire. Eppure i superbi non crescono d’animo, rimangono gretti e persino la salvezza personale può essere messa in pericolo.

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Mettersi d’accordo con se stessi
Nella parabola dei due figli, Gesù rivela l’atteggiamento dei suoi avversari come quello di chi con la bocca dice di fare la volontà di Dio, ma poi concretamente con la vita rivelano tutt’altro. Si tratta di un duro attacco alla loro ipocrisia, alla pretesa di mantenere a tutti i costi un’alta immagine di se stessi, ciechi a tal punto da non capire che la gente aveva già smesso di prenderli seriamente (vedi appunto l’affermazione delle folle dopo l’insegnamento di Gesù sulla montagna). Per loro vale il duro biasimo di Gesù:

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri» (Mt 23,27-32).

Commentando questo brano, avemmo modo di affermare:

Gesù lo dice chiaro, e lo ripete più volte: se c’è qualcosa che proprio non sopporta, non è il peccato, anzi lui è venuto proprio per i peccatori (Cfr. Mc 2,17), ma l’ipocrisia, la doppiezza, il tramare alle spalle altrui, il vivere di apparenze. […]
L’atteggiamento dell’ipocrita non è semplicemente quello del mentire, ma dell’essere la menzogna. Per questo l’ipocrita anziché assimilarsi a Cristo, si fa più simile a Satana. È questo infatti quello che Gesù ribadisce nella polemica con scribi e farisei nel Vangelo di Giovanni:
«Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). 

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Guardando l’atteggiamento dei teologi all’epoca di Gesù e il duro biasimo di quest’ultimo nei loro riguardi, siamo chiamati a prestare una particolare attenzione alla nostra vita spirituale, perché la nostra presenza nelle Chiese e nelle attività ecclesiastiche e sociali non sia solo un’apparenza. Di certo non dobbiamo dimenticare che la prima professione di fede, non avviene verbalmente, ma con le scelte della nostra vita quotidiana. È già da come facciamo la fila negli uffici pubblici che si deve percepire chi sia un vero cristiano di fede autentica e chi no.

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La volontà del Padre
Obbedire alle indicazioni altrui non è sempre facile, anche perché non sempre si è in grado di cogliere l’importanza della sua prospettiva. Lo abbiamo compreso da ragazzi, quando si viveva in famiglia, e lo comprendiamo ogni giorno vivendo da cristiani quando nel Padre nostro chiediamo che sia fatta per noi la sua volontà.
Il primo figlio della parabola usa parole di ribellione contro il Padre, ma poi effettivamente obbedisce, contrariamente al secondo figlio. Allo stesso modo la morale cristiana è tutt’altro che facile, impone atteggiamenti concreti di autenticità evangelica, di giustizia e legalità, di riconciliazione e amore per i nemici, che spesso si rivelano contrari alla nostra più intima natura. Eppure ben a ragione Danta Alighieri metteva queste parole sulla bocca di Ulisse, nel ventiseiesimo canto dell’Inferno della sua Divina commedia:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza

Dante Alighieri, Inferno, canto XXVI

Uno dei problemi della nostra società, è proprio questo: il perseguire un basso piacere edonistico che ci ripiega su noi stessi, chiudendoci agli altri. Così facendo diamo libero sfogo a quanto di peggio possiamo covar nell’animo, debellando ogni forma di bellezza e autenticità.
Se pensiamo che questo modo di pensare sia estraneo da noi, basti pensare a quanto siano diventate di uso comune espressioni del genere: “a pelle mi sta simpatico”, “ho avuto un colpo di fulmine”. Tutto parte e finisce nella superficie dei sensi, del momentaneo, dell’emozione che ora c’è e domani no. Da qui il degrado di ogni forma di stabilità affettiva, la distruzione dell’unita per futili motivi con frasi del tipo: “non ci amavamo più”, “non eravamo fatti l’uno per l’altra”. Come se l’amore non si costruisca con fatica, giorno per giorno, come se fosse una fiammata momentanea di cui s’abbia la stolta pretesa che sia per sempre. Per un ulteriore approfondimento rimandiamo all’articolo raggiungibile dal link qui in basso:

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Il Regno dei cieli non è fatto per i musoni

Solo nella misura in cui riusciremo a trascenderci, a sollevarci da tutte le trazioni verso il basso che ci provengono dalla nostra fragile natura umana e da quella concupiscenza che è eredità del peccato originale, allora potremo capire, e raggiungere, la bellezza della vita che ci propone Gesù, teso come un costante sbocciare a vita nuova, simile alla farfalla che abbandona la crisalide della sua vita vecchia, da bruco strisciante sul terreno, a essere libero ed elegante che volteggia nell’aria di primavera.

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A chi è destinato il Regno dei cieli?
Gesù rivela qualcosa di scioccante tanto per i benpensanti della sua epoca, come per noi cristiani d’oggi, spesso imborghesiti e non troppo diversi da loro:

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Per chi è dunque il Regno dei cieli? Per tutti, certamente, ma soprattutto per coloro che pur avendo commesso qualche errore, alla fine si sono ricreduti, sono tornati sui loro passi, hanno messo in atto gesti concreti di conversione. Basti vedere la donna peccatrice che lavò i piedi di Gesù, quando fu invitato a casa di Simone il fariseo, o gli stessi Matteo e Zaccheo, pubblicani che diedero una svolta totale alla loro esistenza (qui di seguito i link per l’approfondimento).

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Ancora una volta emerge per noi la necessità, urgente più che mai, di approcciarci alla celebrazione del Sacramento della Riconciliazione, o Confessione, come condizione per ottenere la salvezza, per poter godere anche noi del Regno dei cieli, riconoscendoci profondamente peccatori, pentiti e desiderosi di ristabilire relazioni autentiche con gli altri, con la Chiesa e con Dio.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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