Introduzione
Il titolo provocatorio di questo articolo è in qualche modo dalla domanda che molti cristiani ancora si pongono sull’origine del male, sul senso della sua presenza nel mondo, sul perché della sofferenza e della morte. si tratta di una ricerca di senso che ha visto impegnato l’uomo di tutti i tempi e in tutti gli ambiti dello scibile umano. Una domanda a cui la Bibbia fin dalle sue prime pagine, Genesi, ha provato a dare risposta. Nel brano evangelico odierno, anche Gesù dà il suo contributo per avere chiarezza in un tema così delicato. Leggiamo:
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”» (Lc 13,1-9).
Contesto
Ci troviamo sempre in quella grande sezione narrativa, in cui l’evangelista Luca scrive del grande cammino di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme (Lc 9,51-18,14). Poiché il Nazareno è profondamente consapevole di quello che vivrà nella città santa, coglie l’occasione per dare ai discepoli, e alle folle, che lo seguivano, alcuni insegnamenti di carattere escatologico, riguardanti cioè gli eventi ultimi della vita dell’uomo, di questa nostra terra, e anche del giudizio finale (per avere un quadro più completo di questi insegnamenti rimandiamo ai nostri approfondimenti: “I servi son serviti. Il paradosso di una felicità non tanto nascosta“, “Il Figlio dell’uomo viene, saprai attenderlo?” e “I segni dei tempi: criteri per riconoscerli“).
Perché il male nel mondo?
È la domanda che soggiace al discorso di coloro che riferiscono a Gesù l’atrocità compiuta da Pilato. Una morte che, a dir loro, è causata come punizione divina a motivo dei loro sacrifici idolatri.
Gesù recrimina questa visione distorta di Dio, questa risposta al male, alla sofferenza del mondo, come punizione di un Dio vendicativo.

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Non a caso, differentemente dalla teologia pagana, che faceva delle divinità personaggi capricciosi e violenti che vivevano isolati dall’umanità, mentre gozzovigliavano sull’Olimpo, Gesù presenta un Dio profondamente compromesso con la storia degli uomini, così solidale con loro che si fa simile a loro, ne assume la carne, le sembianze e la natura. Esempio è Cristo stesso, l’uomo-Dio, il Figlio del Padre, la seconda Persona della Santissima Trinità che si fa uomo.

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Resta di fatto che Gesù non dà una spiegazione sulla sofferenza dell’uomo e sul male nel mondo, di certo dice che Dio non ne è la causa, e rivela che l’uomo stesso può incorrere in questi sentieri pericolosi di morte, nella misura in cui decide di non convertirsi e perseguire nel male che concepisce. Da qui si può comprendere quell’affermazione che ripete per ben due volte:
Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Il pensiero degli uomini al tempo di Gesù è anche quello di molti cristiani che, purtroppo, continuano a voler misconoscere la vera identità di Dio e gli addossano colpe che non gli competono per niente. Non raramente infatti si sente di persone che lamentano il fatto che Dio si sia preso un loro caro, o che Dio gli abbia imposto una determinata croce o malattia. Quanto lontani siamo dall’essere cristiani. Quanto ci accontentiamo di questa fede immatura e bigotta. Quanto testardamente ci imponiamo di non credere al volto di un Dio che è Padre amorevole, così come ce lo presenta Gesù. Eppure basterebbe imparare ad aprire i vangeli per conoscere il vero volto del nostro Dio.
Come si comporta Dio col malvagio?
Contro questa visione paganizzante del volto di Dio, Gesù presenta come Egli agisce di fronte al malvagio. E per fortuna il Padre non si comporta come noi. Egli non estirpa il male, e il malvagio, alla radice. Al contrario, egli si mostra paziente con lui, attendendo che questi si converta, torni a vivere nella luce della grazia e non nelle tenebre del peccato.
Per questo Gesù aggiunge al suo insegnamento la parabola del vignaiolo. Rileggiamo:
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”»
In questa parabola, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, è l’atteggiamento del vignaiolo quello del Padre, non del padrone.
Tutti siamo degni di portare frutti di vita eterna, nessuno escluso, compreso chi altro non fa che il male. È a questo atteggiamento propositivo che Gesù ci invita a guardare e a riconoscere proprio del Padre. È proprio questo atteggiamento che Gesù ci invita ad imitare con tutti i nostri fratelli, in una sorta di revisione di vita di tutte le nostre relazioni. Dopotutto, come abbiamo affermato nel nostro precedente articolo:
L’esortazione di Gesù ha un alto richiamo spirituale ed escatologico, va oltre un voler andare d’accordo a tutti i costi, qui si tratta di una questione di vita o di morte… eterna. Perché? Perché se il Paradiso altro non è che una vita eterna piena, dove vengono sublimate tutte le relazioni che avremo intessuto sulla terra. Al contrario l’Inferno è perenne solitudine, da Dio e dagli altri. Per questo il Paradiso e l’Inferno, sono realtà che ci prepariamo già in questa vita. Il Regno dei cieli non è un posto adatto a superbi e orgogliosi, ma ai miti e misericordiosi, secondo l’invito di Gesù (Cfr. Mt 5, 1-12).
I segni dei tempi: criteri per riconoscerli

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