«Misericordia io voglio non sacrifici». Perché molti cristiani faticano a comprenderlo?

In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle.
Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato».
Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato» (Mt 12,1-8).

CONTESTO
Negli ultimi tre giorni, la liturgia della Parola ci ha permesso di approfondire un particolare discorso di Gesù. Si è trattato di un brano significativo perché partiva dalla consapevolezza di un fallimento: coloro che erano predisposti ad accogliere il messaggio del Nazareno ed erano, altresì, stati spettatori dei suoi miracoli, alla fine gli hanno girato la faccia. Con tutta l’amarezza del cuore, Gesù pronuncia il suo biasimo per le città di Corazìm, Betsaida e Cafarnao, per le quali ha speso tanto del suo tempo e delle sue energie, evidentemente in modo inutile, o comunque infruttuoso.

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D’altro canto, abbiamo visto anche l’esultanza di Gesù quando, spostando appena lo sguardo, vede chi gli è rimasto accanto, su chi la fede ha prodotto un germoglio: i piccoli del Vangelo, i diseredati, i mezzi pagani e quelli che avevano grandemente peccato e volevano tornare a fare sul serio con Dio e che altro non aspettavano che qualcuno avesse il coraggio di offrire loro una seconda opportunità nella vita (vedi link in basso).

Il discorso di Gesù, dunque, conclude anche l’undicesimo capitolo del Vangelo secondo Matteo, ed eccoci dunque, quest’oggi, ad aprire un nuovo capitolo con un nuovo cammino di Gesù.

AL SEGUITO DI GESÙ
Riprende il suo ministero itinerante, il Nazareno Figlio di Dio, e, come al solito, a seguirlo non ci sono soltanto quelli che gli vogliono bene – apostoli, discepoli e simpatizzanti –, ma anche i suoi avversari, in questo caso i farisei.
Riteniamo interessante ripetere quello che abbiamo detto in un nostro recente approfondimento biblico, quando abbiamo commentato il modo in cui un dottore della legge si mise in ridicolo pur di provare a mettere in difficoltà il Maestro:

«Il loro atteggiamento è davvero goffo e a distanza di tempo assume le note del ridicolo. Eppure quanto è attuale quel atteggiamento di chi si accanisce con una persona e le prova tutte pur di screditarlo: mormora alle sue spalle, giudica, critica, augura persino il male ma alla fine ne resta sempre il perdente della situazione, perché l’altro continua con serenità la sua vita» (L’amore del prossimo come discriminante di salvezza o dannazione eterna).

Alla fine, perpetuare il male, inseguirlo e desiderarlo per gli altri, ci mette nella stessa situazione degli avversari di Gesù: gente ridicola, che si affanna inutilmente e si rovina l’esistenza con le sue mani, mentre gli altri continuano con serenità il loro percorso.
Anche in questo caso, come vedremo, i farisei faranno una magra figura e Gesù rivelerà la profonda ignoranza del loro cuore.

L’ATTEGGIAMENTO DEL NAZARENO
Di fronte a tutta questa pena che i suoi avversari si danno per provare a togliergli la pace, Gesù non coglie le loro provocazioni, e con tutta la serenità del cuore offre loro una risposta tale che li ammutolirà.
Certamente se avesse risposto a tono ai suoi avversari, alla fine, avrebbe fatto il loro gioco. Ma la prima provocazione che sorge per noi, oggi, è quello di non cadere mai in basso, allo stesso livello dei nostri avversari. Facendolo, cadremmo nella loro trappola, li faremmo davvero capire che siamo sullo stesso piano. Noi cristiani invece, non dobbiamo smettere di ricordarcelo, siamo con i piedi ben piantati in terra, ma con il cuore e la mente nel Regno dei cieli dove riconosciamo essere il nostro tesoro (Cfr. Mt 6,19-23; vedi link in basso).

È possibile che nella nostra vita troveremo avversari agguerriti come i farisei: mezzi cristiani che proveranno di tutto per calunniarci e persino offenderci sui social networks, noi, tuttavia, come veri discepoli di Cristo dobbiamo ripetere le parole che Virgilio rivolse a Dante, nel terzo canto dell’Inferno:

«Fama di loro il mondo esser non lassa; 
misericordia e giustizia li sdegna: 
non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Inferno, cantico III, 51)

Che tradotto in lingua corrente sarebbe:

«Il mondo non lascia che ci sia di loro alcun ricordo; la misericordia e la giustizia divina li sdegnano; non perdiamo tempo a parlare di loro, ma da’ una rapida occhiata e passa oltre».

Ci sono realtà per cui nella nostra vita non vale la pena spendere tempo ed energie, e molte di queste riguardano certe relazioni tossiche che vogliono solo farci sprofondare nell’abisso. Non ne vale la pena, l’invito è quello di essere sempre la persona che Cristo si aspetta da noi.
A Gesù, poi, bastano due parole per zittire i suoi avversari, non si perde in discussioni, né si mette a ribattere a ogni loro sciocchezza. Rivela su cosa si basa il loro errore, la loro ignoranza, prova a farli ragionare, ma alla fine non ferma il suo cammino. E questo deve diventare il nostro modo di superare quegli ostacoli che talvolta non è la vita a porci, ma il nostro stesso prossimo.

IL CUORE DELLA FEDE PER IL VERO CREDENTE
Le parole che Gesù rivolge ai suoi avversari sono molto attuali anche per noi, cristiani del terzo millennio. Egli, infatti, rivelando che di fronte a una necessità impellente non ci sia legge che tenga, continua con questa dura esortazione ai farisei:

Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici” ….

Ciò che è alla base dell’ipocrisia dei farisei, della loro innata cattiveria, è una sorta di ignoranza religiosa: il Signore negli anni gli ha chiesto una cosa, e loro gli hanno voluto dare altro. Gesù, in questo caso, sta citando il profeta Osea, quindi non sta rivelando nulla di nuovo ai suoi avversari. Evidentemente, però, loro hanno preso della religiosità ebraica solo quello che gli interessava.
Pensate che questo sia una cosa che non riguardi noi cristiani praticanti di questo secolo? Nulla di più errato. Quando una comunità è profondamente divisa, quando qualcuno si ostina a restare chiuso nel suo orgoglio, quando pretendiamo che Dio sia l’imparziale e non il giusto che dona secondo le necessità degli uomini (proprio come ha fatto Gesù nel Vangelo di oggi), ecco che anche noi siamo diventati dei farisei da sacrestia.
Ma non solo. Quando pensiamo che Cristo da noi si aspetti solo Messe, novene e fioretti, e non passi concreti di fraternità e riconciliazione, ecco che abbiamo fatto della nostra religione il fariseismo.
Alla fine della loro vita i farisei si saranno presentati a Dio con in mano tutti i sacrifici, digiuni e le elemosine che facevano, ed erano tante, ma non saranno queste a garantire loro la vita eterna, perché Dio chiedeva loro misericordia, amore fraterno.
Stiamo attenti fratelli e sorelle, perché questa nostra vita è un soffio, non sia mai che finiamo i nostri giorni senza avere nulla di gradito da dare al Signore quando saremo al suo cospetto.

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DALL’IGNORANZA RELIGIOSA AL MALE DEL PROSSIMO
Le parole di Gesù continuano nei riguardi dei suoi avversari e non sono meno dure:

non avreste condannato persone senza colpa

Perché i farisei sono incattiviti verso Cristo e il loro prossimo? A motivo del loro analfabetismo spirituale: si facevano maestri di morale per gli altri, ma loro erano i primi che avevano tutto da imparare.
L’incattivimento degli avversari di Gesù non ci lascia di certo indifferenti. Anche noi nella misura in cui non cerchiamo di approfondire il nostro rapporto con Dio, quello che si aspetta da noi; non impariamo ad entrare in dialogo con lui senza rovesciargli addosso migliaia di parole e di suppliche, se alla fine comprenderemo che Dio una sola cosa si aspetta da noi, che è amare lui negli altri, finiremo per fare la loro stessa fine. Cristiani incattiviti non per le ferite ricevute dagli altri, troppo comodo, ma dalla nostra stessa ignoranza crassa.

Ripetiamolo: i farisei sono malvagi, vengono biasimati da Gesù e subiranno la condanna eterna, non perché non avranno ottemperato ai loro doveri liturgici e religiosi, ma perché alla fine della loro fede hanno preso solo quello che faceva comodo al loro spropositato ego, trascurando tutti quei precetti dell’amore già presenti nell’Antico Testamento.
Non capiti anche a noi la stessa sorte. Se alla fine della vita il Signore si aspetterà da noi riconciliazione e misericordia e invece gli portiamo tutt’altro, per quanto bello e interessante che possa essere, questo non ci salverà dalla dannazione eterna.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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