XXI domenica del tempo ordinario – anno B
Gs 24,1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69

La liturgia della Parola di questa domenica, invita a fare delle scelte forti e definitive, in cui non c’è più spazio per compromessi e tentennamenti. Seguendo l’esempio degli israeliti, condotti da Giosuè nella terra promessa, o quella di Pietro che si fa portavoce della comunità degli apostoli, anche noi oggi siamo chiamati a decidere da che parte stare: con Dio o senza di lui.
Prima lettura
In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».
Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati.
Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».
Contesto
Alla morte di Mosè, a prendere il comando del popolo in cammino nel deserto, e ormai prossimo all’ingresso nella terra santa, donata da Dio, è Giosuè suo discepolo. Negli anni del pellegrinaggio nel deserto, Israele ha potuto fare esperienza della tenerezza di Dio, della sua Provvidenza amorevole che ha reso quel cammino faticoso meno duro, sovvenendo a tutte le loro necessità e sconfiggendo i nemici che si trovavano ad affrontare.
Tuttavia per Israele, quel cammino è stato anche occasione di un lungo discernimento personale, di conoscenza della propria identità in rapporto al Dio liberatore. Un cammino fisico e spirituale non privo di intoppi e cadute, fatto di ribellioni nei confronti di Dio e di tentazioni idolatriche.
Ora, quasi pronti a varcare la terra promessa, Giosuè intende rendere il popolo consapevole della propria fede, capace di una memoria grata sui prodigi compiuti da YHWH in questi anni, perché non torni ad adorare altri vitelli d’oro come ai piedi del Sinai (Es 32,1-8). In questo modo, Giosuè, a imitazione di Mosè, si rivela non solo come il condottiero fisico di Israele, ma anche spirituale, conducendolo all’incontro con Dio, verso una più piena e consapevole comunione con lui.

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La scelta del popolo
Al richiamo del suo condottiero, il popolo all’unisono risponde:
«Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati.
Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».
Ci troviamo di fronte a una professione di fede comunitaria, assembleare. Tuttavia ciò che è davvero interessante è che Israele riconosce che la sua fede non si fonda su dei principi astratti, dogmatici, teologici: ma su una esperienza. Loro credono e accolgono YHWH nella loro vita, lo scelgono, perché è buono, perché stare con lui è bello, fa bene, perché è diverso dalle divinità degli Amorrei, lui ama!
Allo stesso modo, oggi, ogni cristiano è chiamato a cogliere questa provocazione: a riconoscere che se la sua fede si fonda unicamente su principi astratti, forse non ha fatto davvero un’esperienza trasformante di Dio. In diversi articoli lo abbiamo ripetuto, e abbiamo citato un passo dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco, che in qualche modo ha dato il via a tutti questi nostri approfondimenti biblici:
Non mi stancherò mai di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva».
Francesco, Evangelii Gaudium, nn. 7-9
Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice. Perché, se qualcuno ha accolto questo amore che gli ridona il senso della vita, come può contenere il desiderio di comunicarlo agli altri?
Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene. Non dovrebbero meravigliarci allora alcune espressioni di san Paolo: «L’amore del Cristo ci possiede» (2 Cor 5,14); «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).
(per un maggiore approfondimento rimandiamo ai seguenti articoli: “Se lo segui, guariscimi!“, “Cos’è che fonda la tua fede?” e “Nutrire l’anima“)
Oggi, dunque, siamo chiamati a ripetere l’esperienza degli Israeliti e riconoscere che nessun’altra nostra idolatria, potrà darci quello che Dio ci dona. Non sarà il denaro, né la carriera, né la popolarità sui social a darci ciò di cui abbiamo bisogno. Questi, come le divinità degli Amorrei, non hanno amore da dare, Provvida tenerezza con la quale riempire le nostre giornate, al contrario, essi non vogliono un popolo libero, ma schiavo e asservito al suo culto sempre più esigente.
Salmo
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.
Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.
Non ci soffermeremo molto su questo Salmo, benché vitale per una fede che sia davvero matura, in quanto abbiamo già avuto modo di approfondirlo, solo ci limitiamo a ripetere con il Salmista, che:
Il nostro non è un Dio che se ne sta comodo nel suo olimpo a gozzovigliare, ma molto inserito nella vita dei suoi fedeli, tanto che questi se affinano i sensi, possono persino percepirlo. […]
Nutrire l’anima
Il Salmista, ha fatto un’esperienza trasformante di Dio, con lui ha trovato la vera gioia, perché gli si è rivelato attento alle sue necessità e premuroso, ma anche perché si è fatto trovare nel momento del bisogno e lo ha liberato da tutti i suoi nemici e dai suoi spauracchi più ancestrali:

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Vangelo
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»
Contesto
Il brano si situa a continuazione di quelli delle scorse domeniche dove Gesù ha moltiplicato i pani e indicato se stesso come il vero pane che nutre l’uomo, come il pane del cielo. Tuttavia al suo annuncio hanno fatto ostacolo gli scribi e i farisei che cercavano di metterlo in difficoltà.
Ora chi si frappone all’insegnamento di Gesù sono i discepoli, non propriamente gli apostoli, ma parte di quelle persone che lo seguivano nei suoi viaggi, che avevano piacere di ascoltarlo e per cui lo avevano scelto come loro Maestro e che avevano goduto di un suo intervento miracoloso.
Qual è il problema? La difficoltà risiede nella dottrina di Gesù e nella nuova morale fondata sull’amore da lui proposta. Tutti speravano che il rabbi di Nazareth fosse venuto per alleggerire la morale farisaica, fatta di oltre 600 precetti, ma ora si rendono conto che la proposta di Gesù è ancora più esigente e la sua dottrina non si fonda su precetti da seguire minuziosamente per ottenere la vita eterna, ma sulla fiducia incondizionata in lui.
Per una fede senza compromessi
Se all’epoca era pure comprensibile poter prendere un granchio in questo senso, oggi risulta davvero incomprensibile come molti cristiani vivano una vita moralmente deprecabile, convinti che poi Dio debba perdonarli tutti senza un reale pentimento, come se Egli scendesse a patti con i loro compromessi. Non raramente, infatti, ci si trova di fronte a chi si fa forte di certi detti popolari (pagani), secondo la quale è lecito peccare, tanto poi basta confessarsi.
Non funziona così! È possibile fare esperienza della misericordia divina, e della sua salvezza, nella misura in cui quei peccati non li si giustifica più, si provi per essi ribrezzo e si decida di cambiar vita.
Se è pur vero che è bello seguire Cristo, perché da senso, calore, bellezza alla nostra vita: nessuno ha mai detto che sia facile farlo. Al contrario. lui è sempre stato chiaro con tutti:
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc 9,23)
Gesù sapeva…
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito.
Il Vangelo ci dona un aspetto duro che Gesù aveva accolto: lui era consapevole che tra chi lo seguiva c’era chi non si fidava di lui (non credeva) e chi lo odiava e lo avrebbe tradito. Eppure non ha mai cacciato nessuno lontano da sé, non lo ha fatto con i suoi oppositori che costantemente cercavano di mettere in discussione la credibilità del suo insegnamento e non lo fa nemmeno con loro. Mai si è potuto trovare in Lui gesti o parole di chiusura o allontanamento. Gesù si rivela sempre come l’accogliente, colui che non ti caccia via lontano da sé, non si scandalizza dell’incredulità e della doppiezza di chi gli è accanto, ma fino all’ultimo si impegna perché questi si converta, cambi, cresca nella fede e nell’amore.
Guardando questo atteggiamento di Gesù, oggi, non possiamo non farci mettere in crisi dai nostri modi di fare, dalle nostre chiusure sbrigative nei confronti degli altri, dalla nostra poca generosità nell’accogliere l’altro, nella nostra poca pazienza, nel nostro atteggiamento che talvolta ha davvero poco di cristiano.

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E tu cosa vuoi fare?
Gesù non ha mai pregato nessuno di seguirlo né ha mai imposto di credere in lui. Al contrario, ha sempre lasciato spazio ai suoi uditori di fare una scelta, un salto nella fede.
È interessante che mentre vede la gente che lo abbandona, il suo sguardo si posa sui dodici apostoli, e anche a costo di restare solo e veder fallita la sua missione, non li prega di restare, al contrario li invita a fare la stessa scelta degli altri se lo desiderano. Leggiamo:
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?».
Se la fede è imposta, non è vera fede. Lo sapeva bene Gesù, per questo lascia gli apostoli liberi di scegliere. Ma questo oggi vale anche per noi: cosa vuoi fare? Cosa vuoi farne della tua fede, della tua vita, del tuo rapporto con Dio?
Pietro: il portavoce degli apostoli
Ogni volta che c’è da dare una risposta al Maestro, Pietro è sempre il primo. Non ha timore di lanciarsi, di osare con lui. È l’uomo di fede che decide di fare sul serio con Cristo e che spesso deve scontrarsi con i suoi limiti e fragilità.
Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»
Pietro come i discepoli che sono andati via, non ha capito molto di quelle parole di Gesù che risultano dure anche per lui. Tuttavia, facendosi portavoce degli apostoli, rivela che ha deciso di seguire Gesù al di là della sua capacità di comprenderne gli insegnamenti, ma perché ha riconosciuto chi è lui: «Il Santo di Dio», il Messia tanto atteso.
Anche Simon Pietro arriva alla fede non per una dottrina, ma per un incontro trasformante con Dio, attraverso il suo Figlio. La dottrina, l’apparato teologico, è importante, ma verrà dopo. Lo dirà lo stesso Gesù poco più avanti:
Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto (Gv 14,26).
Per arrivare a comprendere le parole di Gesù, la sua volontà, prima bisogna fare il cammino di Pietro: cominciare dalla fede nella sua persona, lasciandoci incontrare da lui, permanendo alla sua presenza.
La fede in Cristo, poi, l’aveva ben capito Pietro, non è molto diverso dall’innamoramento: prima di comprendere la persona, la storia, il motivo delle sue scelte, bisogna innamorarsene.

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2 pensieri riguardo “Scegliere Dio, costi quel che costi”