V domenica del tempo ordinario – anno A
Is 58,7-10; Sal 111; 1 Cor 2,1-5; Mt 5,13-16
Il tema attorno alla quale ruotano le letture di questa domenica si presenta a noi come una provocazione tesa a suscitare non solo una sorta di revisione di vita, ma una vera e propria rivoluzione spirituale. La domanda che implicitamente ci viene posta è: sono sicuro che in quanto cristiano sto facendo il massimo per rendere onore al Battesimo? Se mi ritengo un cosiddetto “praticante”, in cosa emerge questa mia pratica? Di certo abbiamo visto che anche il posseduto di Cafarnao con tanta diligenza si recava frequentemente alla sinagoga per il culto comunitario (Cfr. Mc 1,21-28; vedi link in basso).
Molte persone frequentano le chiese tutte le domeniche, partecipano agli eventi della comunità, si ritengono certamente praticanti ma non necessariamente sono cristiani. Cosa ci rende diversi? Lo siamo realmente? In cosa consiste la differenza? Stiamo facendo il massimo per servire Dio, i fratelli, la Chiesa, la società? Qual è il mio reale contributo?
A fronte di domande così importanti per la nostra vita cristiana, per noi che alla fine della nostra vita vorremmo pretendere direttamente alla comunione perfetta con Dio, senza periodi di purificazione, le letture di questa domenica ci aprono delle piste per riorientare le nostre energie ed essere degni figli di un Padre che si chiama “Amore”.
Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia (Is 58,7-10)
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».
Ciò che davvero è gradito a Dio
Il brano si apre con un chiarimento da parte del Signore riguardo i sacrifici, in questo caso digiuni, a lui graditi. Poiché abbiamo detto che tutta la sua identità possa sintetizzarsi nella sua essenza d’Amore, per essere tale dunque non può gradire chi soffre per amor suo. Quindi il sacrificio, come il digiuno, non può essergli gradito. Dopotutto quale genitore chiederebbe questa cosa a un figlio solo perché dimostri quanto lo ami?
Al contrario il digiuno gradito a Dio è quello motivato ad incrementare la carità fraterna, che ha come finalità l’amore del prossimo, soprattutto dei più diseredati. Da qui l’affermazione con la quale si apre il brano:
Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Il profeta Isaia è sicuramente il profeta più citato da Gesù che centralizza tutta la sua predicazione nel comando dell’amore. Questo si realizza in maniera univoca e inseparabile nei suoi due destinatari: il Padre e il prossimo. Non si può amare uno e ignorare l’altro. Lo ricorderà più volte anche a quegli uomini che si ritenevano a loro volta praticanti, perfetti e integerrimi, ma poi erano piuttosto carenti quanto a relazioni fraterne. Giusto per fare un esempio, tra i tanti, rimandiamo al link in basso.
Amare l’altro fa bene
Riteniamo interessante come il profeta non si limiti a dire ciò che è gradito al Signore, ma rivela come gli atti d’amore fraterno inneschino come una serie di reazioni a catena i cui beneficiari, in primis, sono coloro che hanno accolto la provocazione dell’amore fraterno. Leggiamo:
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Il profeta sembra dirci che se davvero desideriamo una vita felice, luminosa, che ci permetta di camminare sempre alla presenza di Dio, sperimentandone la vicinanza premurosa e provvidente altro non dobbiamo fare che accogliere la sfida dell’amore fraterno. Non c’è nient’altro al mondo che possa sortire lo stesso effetto di commuovere il cuore del Padre. Amare l’altro, essere cristiani che sanano relazioni, le salvano, non solo è un dovere del battezzato, ma suscita una sorta di commozione in Dio che si dona a noi come un eccesso della sua tenerezza.
Non dimenticare la giustizia sociale
Ma non è ancora tutto. Poiché come battezzati siamo stati elevati alla dignità di collaboratori di Cristo nell’opera salvifica dell’umanità, attraverso la povertà del nostro contributo, il profeta aggiunge dicendo che esiste ancora dell’altro che possiamo fare. Sicuramente è qualcosa di più impegnativo eppure susciterà un’ulteriore donarsi commosso del Padre. Rileggiamo:
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio
Provvedere alle carenze dell’afflitto entra già nei doveri basici dell’uomo di fede di tutti i tempi. Eppure tutto potrebbe ridursi al lanciare una monetina al mendicante seduto proprio fuori il portone delle nostre chiese nel giorno di domenica. C’è dell’altro da fare e ne fa un elenco. Se volessimo sintetizzarli per rispondere alla domanda cosa possiamo fare fino in fondo per essere graditi a Dio, potremmo elencare così queste indicazioni:
1. Smettere di essere causa di sofferenza in famiglia e in comunità
2. Smettere di star sempre a giudicare tutto e tutti
3. Colmare le lacune di chi fa parte della tua vita (famigliare, lavorativa, comunitaria) senza star lì a consumarti nelle mormorazioni.
Solo allora la testimonianza della tua fede sarà luminosa, chiara e inequivocabile ai più, capace di brillare anche nella notte oscura che vive questa società tormentata da pandemie, crisi economiche ed energetiche e guerre.
È questo quello che Dio si aspetta dagli uomini di tutti i tempi, dagli israeliti nei tempi antichi, e dai cristiani del III millennio. Dopotutto anche il Salmo di questa domenica non fa che confermare queste aspettative del Signore per noi:
Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.
Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Gesù ci invita a riscoprire il vero senso della nostra esistenza. Siamo stati creati per essere generatori di bellezza per il mondo. A imitazione del sale che rende più appetibile la minestra nella quale scompare, e come il sole alla cui luce tutto diventa più bello, vivido, colorato, e al cui tepore è bello sostare.
Il contesto narrativo nel quale ci troviamo è il grande insegnamento di Gesù sulla montagna (Cfr. Mt 5,1-7,29), inaugurato dalle Beatitudini che abbiamo visto la scorsa domenica (vedi link in basso).
Il sale della terra
Veniamo dunque alle affermazioni di Gesù che adesso si rivolge a tutto quel folto gruppo di persone che lo seguono:
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
È un’affermazione molto forte questa di Gesù, non solo perché il sale dà sapore ai cibi, e quindi i cristiani sono chiamati a riempire di senso, gusto e bellezza la vita propria, quella del prossimo e dell’intera società, ma anche perché il sale ha un forte valore antibatterico, disinfettante. Non si può confondere la vita cristiana, ‘l’amore fraterno, come del tenerume a buon mercato. Non si può essere sempre dolci come il miele, talvolta è necessario essere sale: bruciare sulle ferite, ma appunto per questo disinfettarle, sanarle.
Essere sale della terra implica l’avere il coraggio di non girare la testa da un’altra parte di fronte alle ingiustizie del nostro tempo, l’omertà, l’oscurantismo, il dire che tutto va bene e che sarà sempre meglio, non appartiene alla vita del cristiano. Egli come il profeta Elia, al contrario, è chiamato a denunciare gli stati di ingiustizia e illegalità, smascherare le idolatrie del suo tempo, anche a costo di ritorsioni. Gesù lo dice chiaramente in un altro insegnamento, invitandoci a un vita fertile, capace di generare altra vita anche a causa della nostra morte:
In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12,24).
Splendere in un mondo sempre più cupo
Subito dopo la metafora del sale, Gesù invita i suoi discepoli ad essere luce del mondo.
Né si accende una lucerna per metterla sotto il mòggio.
Si tratta di un altro esempio per spiegare ancor meglio ai suoi uditori quale atteggiamento si aspetta da loro. Gesù ci invita a vivere questa vita nell’ottica della donazione: la luce infatti ha senso di esistere solo nella misura in cui illumina il cammino agli altri, allo stesso modo il Signore ci invita a riconoscere che se questa vita non è spesa nell’amore, è inutile, vana, fallita. In un mondo sempre più ripiegato su se stesso, chiuso nel proprio egoismo, nelle proprie ambizioni, Gesù ci invita ad essere elementi di contraddizione, testimoni di apertura, di donazione e di servizio gratuito e disinteressato.
Dopotutto, se riconosciamo vera l’affermazione secondo la quale Cristo sia luce del mondo, così come lo cantiamo nella veglia di Pasqua, questa affermazione resta altrettanto vera per noi che, in quanto cristiani, siamo chiamati a vivere imitando la sua vita e le sue virtù.

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A cosa serviva il moggio?
Che cos’è? A cosa si sta riferendo Gesù? Il moggio non è un mobile, ma un utensile, un recipiente che conteneva l’unita di misura dei contadini per le granaglie. Mettere un lume sotto il moggio, significa nasconderlo completamente alla vista, oscurare la luce fino a farla spegnere. È forte questa affermazione di Gesù: quanti cristiani oggi vivono da lucerne nascoste? Uomini e donne quasi impauriti di rivelare la loro fede, il loro battesimo, incapaci di dare una testimonianza al punto da assuefarsi a uno stile di vita se non pagano, comunque ateo. I cristiani spenti, nascosti, non servono a nulla, annientano la propria identità e la propria dignità di figli di Dio. I cristiani di Filippi vivevano lo stesso problema di tanti nostri fratelli nella fede, per questo San Paolo li esortava con queste parole:
Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti in mezzo a una generazione malvagia e perversa. In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo (Fil 2,14-15)
Oggi più che mai, il mondo, la Chiesa, Cristo stesso ha bisogno di cristiani che splendano nel buio di una società liquida e sgretolata, entusiasti discepoli di Gesù in grado di essere guida per tanti fratelli perduti, in cerca di una via di salvezza, di una retta via che riconduca a Dio. Ecco allora la provocazione e la sfida di Dio per noi oggi.
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