Come vivere alla luce di Cristo? La trasfigurazione per noi oggi

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17,1-9).

CONTESTO
Dopo due intense settimane in cui la liturgia della Parola ci ha permesso un’approfondita meditazione sulle realtà ultime alle quali siamo chiamate, con le parabole di Gesù riguardanti il Regno dei cieli tratte dal tredicesimo capitolo del Vangelo secondo Matteo (clicca sui link in basso per approfondire), ecco che, come giungiamo a contemplare, insieme agli apostoli, il Cristo nella sua gloria, anticipazione di come lo contempleremo quando un giorno saremo al suo cospetto.

LASCIARSI AFFERRARE E CONDURRE
Soffermiamoci per un momento sui primi due verbi usati dall’evangelista in questo brano.

In quel tempo, Gesù PRESE con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li CONDUSSE in disparte, su un alto monte

Sottolineiamo questi due verbi perché indica due azioni concrete di Gesù sui discepoli, che sono molto attuali per noi cristiani del III millennio. Come i tre apostoli, abbiamo bisogno anche noi di lasciarci afferrare da Cristo, cedere a lui il timone della nostra vita, lasciando che ci conduca dove lui voglia, senza alcuna pretesa di sapere dove vorrà portarci.
Al di là di tutto il Nazareno sta ammettendo Pietro, Giacomo e Giovanni, a una situazione di maggiore intimità con lui: in disparte, appunto.
È
vero, talvolta stare al passo del Signore ci può costare fatica perché si tratta di un cammino in salita, su un monte; ma godendo della sua presenza e intimità nella preghiera che a tutto dà senso, si può scoprire la bellezza della sua compagnia, la pace che infonde nel cuore, la gioia di una vita spesa veramente bene. Dopotutto non potremo fare esperienza di una vera e profonda presenza di Cristo in noi nel disperdimento e nel rumore: abbiamo bisogno di spazi di silenzio e raccoglimento per questa intimità.

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COSA SI INTENDE PER TRASFIGURAZIONE?
Una volta raggiunti la cima del monte, Gesù viene trasfigurato.

E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.

Leggendo bene il testo, è possibile renderci conto che per trasfigurazione non si intende una sorta di trasformazione di Gesù: i suoi connotati, infatti, non cambiano. Egli resta quello che è, ma ancor di più i discepoli possono cogliere la pienezza della sua identità: dapprima percepita nella sua sola umanità, ma ora nella sua completezza gloriosa di vero Dio e vero uomo.

MOSÈ ED ELIA
Una volta trasfigurato, i discepoli possono rendersi conto che Gesù non è più da solo, ma due grandi personaggi della storia di Israele conversano con lui.

Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

Tanto il condottiero che condusse il popolo dalla schiavitù d’Egitto alla terra promessa, come il profeta di Tisbe, hanno avuto modo di incontrare faccia a faccia Dio, godendo di una rivelazione che cambiò loro la vita su di un monte: il Sinai, o Horeb, nel loro caso.
Essi simboleggiano tutta la rivelazione veterotestamentaria: il Pentateuco (ovvero i primi cinque libri della Bibbia) per Mosè, e gli scritti profetici per Elia. A loro due si unisce Gesù come colui che porta a compimento tutte le Scritture antiche, proprio come aveva affermato nel suo discorso programmatico: quello sulla montagna. Leggiamo così, infatti, nel quinto capitolo del Vangelo secondo Matteo:

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. (Mt 5,17) 

LO STUPORE DI PIETRO
Di fronte alla grandezza di questa rivelazione, Pietro stupito per la tanta bellezza, con il suo tipico slancio entusiasta prende la parola e afferma:

Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia.

Perché Pietro parla di capanne? Ecco, dobbiamo innanzitutto dire che non si tratta di tende per alloggiare o dormire, ma capanne appunto. Il senso della sua affermazione lo possiamo cogliere da un dato di tipo temporale che cogliamo direttamente dal Vangelo di Matteo, ma non riportato per la lettura liturgica di questa domenica. In effetti l’evangelista afferma che tutto quello che sta per raccontare sta avvenendo in un preciso momento della vita di Israele:

Sei giorni dopo (Mt 17,1).

Secondo il culto israelitico, infatti, sei giorni dopo lo yom kippur, grande liturgia penitenziale per la richiesta di perdono di Dio da parte di tutto il popolo, si celebrava la festa delle capanne. Così in un clima di grande convivialità e gioia, gli israeliti si cibavano con abbondanza tanto del cibo come della Parola di Dio.
Così le capanne che intende costruire Pietro è il desiderio di celebrare la grande gioia di questa rivelazione, di cui straordinariamente sta godendo insieme a Giacomo e Giovanni.

Diversamente da quanto una certa ideologia anticristiana non fa altro che propinarci, la fede cristiana è una fede della gioia, del godimento, di quella sana ansia d’amore, comprensione e condivisione che ci portiamo sempre nel cuore.

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LA NUBE DAL CIELO
L’apostolo quasi non riesce a finire di parlare, che un altro avvenimento ancora più straordinario accade: il Padre manifesta la sua presenza e la sua voce attraverso la nube.

Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra.

Anche in questo caso il riferimento a un particolare evento che riguardò Mosè e l’antico Israele. Leggendo, infatti, il libro dell’Esodo, è possibile notare che il Signore manifestava la sua presenza provvidente e premurosa proprio attraverso una nube che permise al popolo di rimanere al sicuro nonostante il faraone con il suo esercito lo stesse inseguendo . Leggiamo:

L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte (Es 14,19-20).

La nube che copre il monte, o anche la tenda del convegno, si configura per il popolo in cammino nel deserto, come certezza della presenza premurosa di Dio che invita all’ascolto della sua parola (Cfr. Es 19,16-19; 20,18-21; 24,16-18; 33,7-11; 40,34-38).
L’aspetto interessante che dobbiamo cogliere è il paradosso delineato dall’evangelista: la nube è luminosa. Diversamente dalle altre che minacciano tuoni e saette, tormenta e grandine, questa non è minacciosa, ma espressione della tenerezza del Padre. Nella letteratura biblica, questi paradossi sono molto importanti, basti pensare a un particolare passaggio del libro dell’Apocalisse in cui dei martiri si dice che:

Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello (Ap 7,14).

LA VOCE DEL PADRE
Una volta rivelata la sua presenza premurosa, il Padre lascia che si oda la sua voce e la sua volontà:

Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

Questa teofania del Padre non è la prima: ricordiamo infatti quello che accadde nei pressi del fiume Giordano allorché Gesù ricevette il Battesimo da Giovanni:

Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,16-17).

La novità di questa rivelazione, però, risiede nel fatto che questa volta il Padre rivolge ai tre discepoli presenti quello che si aspetta da loro, e da noi: ascoltarlo!
Ci troviamo di fronte a qualcosa di davvero fondamentale per la nostra vita di fede. Dopotutto il cristiano si riconosce proprio per questa capacità di ascolto. afferma, infatti, San Paolo nella sua lettera indirizzata ai cristiani di Roma:

La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (Rm 10,17). 

LA CENTRALITÀ DELL’ASCOLTO NEL CAMMINO DELLA FEDE
In questo modo l’indicazione chiara e netta del Padre fatta ai discepoli , riguarda anche noi, che siamo chiamati a vivere la preghiera soprattutto attraverso l’ascolto orante della Parola di Dio, meditando le Scritture chiedendoci in che modo ci coinvolgano e cosa Dio ci chieda, quello che intende comunicarci. Stupisce infatti la quantità di cristiani praticanti che ostentano il sapere con esattezza quello che il Signore si aspetti da loro, e dalla gente tutta, senza nemmeno provare a sfogliare un vangelo soffermandosi seriamente in esso.
Volendo propriamente incarnare questo invito del Padre ai discepoli, e a noi, siamo chiamati a riconoscere che se vogliamo permanere alla presenza gioiosa di Cristo, contemplarlo nella sua bellezza eterna già qui e ora, godere della sua pace, fare esperienza della tenerezza del Padre che ci copre all’interno della sua nube luminosa, è necessario metterci in ascolto. Far tacere la nostra mente, la nostra fantasia, le nostre ansie e preoccupazioni, e sentire la sua parola, per poi poterla vivere nella nostra quotidianità.
Questa relazione ascolto-luce, viene ripresa anche dal Salmista quando dice:

Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino (Sal 119,105).

Cari fratelli e sorelle, senza questo ascolto orante e trasformante della Parola di Dio, viviamo costantemente al buio, nell’oscurità dell’ignoranza di chi sia veramente Cristo, ma dicendoci (paradossalmente) suoi discepoli.
Alcuni padri della Chiesa dicevano che quando noi preghiamo, Dio ci ascolta, ma quando noi meditiamo, siamo noi ad ascoltare lui.

CON LA TESTA ALZATA E IL CUORE GIOIOSO
Secondo la mentalità dell’epoca nessuno poteva osare di guardare in volto il Signore Iddio e poi restare in vita. Leggiamo infatti nel libro dell’Esodo:

Disse il Signore a Mosè: “Anche quanto hai detto io farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome”. Gli disse: “Mostrami la tua gloria!”. Rispose: “Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia”. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,17-20).

Ben lo sapevano anche i discepoli, per questa ragione, benché circonfusi dalla luce proveniente dal Cristo e dalla nube, all’udire la voce del Padre si prostrano a terra:

All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.

Tuttavia, come abbiamo avuto modo di affermare, la presenza del Padre lungi dal dover incutere tremore e spavento, si manifesta come opportunità di gioia per l’uomo. Da qui l’invito di Gesù:

Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete»

I verbi utilizzati da Gesù, interessante che siano all’imperativo, come un comando, e non a un semplice indicativo presente, letteralmente invitano tanto al risollevarsi dal suolo, visto che i discepoli erano prostrati, come al non aver fobia, terrore (Ἐγέρθητε καὶ μὴ φοβεῖσθε).
L’invito che siamo chiamati a cogliere per la nostra vita spirituale, lo traiamo dal tipo di approccio al quale Gesù ci chiama col Padre: una relazione segnata non nella sottomissione e nemmeno dalla paura della sua presenza. Se Dio è Amore (Cfr. 1Gv 4,8.16), e lo riconosciamo tale nella nostra vita, dobbiamo comportarci di maniera tale, diversamente da una certa visione riduttiva della sua identità che lo vede solo come un padre-padrone, un giudice iroso. Volto che in nessun modo concorda con il Dio cristiano.
È proprio questa bontà, questa bellezza gioiosa e premurosa del Padre, che come cristiani siamo chiamati ad accogliere, vivere e soprattutto testimoniare.

RIPRENDERE IL CAMMINO
Il brano si conclude senza che Pietro possa costruire le capanne così che si possa prolungare la loro presenza sul Tabor.

Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»

Non si può vivere di sole consolazioni spirituali, lo diceva bene san Giovanni della Croce quando chiamava questa spasmodica ricerca come uno dei vizi capitali: la gola spirituale (Notte oscura, n. 6).
La trasfigurazione, infatti, non solo anticipa la gloria del Cristo, la sua vera identità, ma serve per preparare i discepoli a quello che dovranno vivere da lì a poco: il tradimento di Giuda, il triplice rinnegamento di Pietro e l’abbandono del Maestro alla sua sorte da parte dei discepoli. La grazia di questo evento, servirà ai discepoli come chiave di lettura della vera identità del Nazareno, una volta che sarà risorto, donerà loro la forza per non scoraggiarsi di fronte alla prova della loro fragilità e della passione del Signore. Si tratta di un evento luminoso che formerà in qualche modo il loro necessario bagaglio spirituale, per affrontare le difficoltà che dovranno vivere da lì a pochissimo.
Anche noi come loro, siamo chiamati ad alimentare questa memoria grata, che ci permetta di far tesoro di tutti gli interventi chiari di Dio nella nostra vita, affinché nel momento della prova, l’effetto di quella grazia ci raggiunga e ci permetta di non mollare, di andare avanti fiduciosamente, sicuri che Dio è l’unica persona veramente fedele nella nostra vita e che se ci è stato vicino in un passato non molto remoto, lo sarà anche nel presente e nel futuro.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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