Farisei 2.0: i leoni da tastiera. Quando Gesù invita a un rinnovamento radicale

In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!» (Mc 2,18-22).

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CONTESTO
In questi giorni, la liturgia della Parola ci sta permettendo di riflettere sugli inizi della vita pubblica di Gesù. Nei giorni feriali, poi, abbiamo l’opportunità della meditazione di una lettura continuata del Vangelo secondo Marco.
Il primo cammino di Gesù è contrassegnato da un fallimento. Infatti a causa di un lebbroso, miracolosamente guarito, che non obbedisce al silenzio imposto circa la guarigione ottenuta, Gesù non riuscirà a predicare nelle città della Galilea ed è costretta a cominciare tutto daccapo, tornando a Cafarnao.

Il suo ritorno nella città di Simon Pietro e Andrea, tuttavia, è contrassegnato dall’aggregarsi al seguito di Gesù dei suoi avversari: scribi e farisei. Essi, presenti alla guarigione del paralitico calato dal tetto, cominceranno a seguirlo per cercare cavilli col quale incastrarlo e screditarlo, e non lo lasceranno più.

In effetti il brano di oggi conta tra i suoi personaggi anche i farisei che sollevano una polemica contro la dottrina, considerata libertina, di Gesù e dei suoi discepoli.

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LA QUESTIONE DEL DIGIUNO
Il brano si apre con la polemica con i farisei che si accompagnano ai discepoli del Battista, ormai decapitato, circa la questione di un digiuno, non ben giustificato, dal quale Gesù e i suoi discepoli si sono esentati.
Sappiamo per certo che la dottrina di Giovanni Battista verteva su un atteggiamento di penitenza e conversione nell’attesa della venuta di un Regno di Dio ormai imminente. Ciò che gli oppositori non comprendono è che questo Regno è già qui, in mezzo a loro, e si realizza nella persona stessa del Messia di Nazaret.

Perché i farisei si uniscono ai discepoli del Battista? Di certo non perché ne condividano, ma soltanto per trovare alleati e pretesti contro Gesù. Infatti , l’evangelista Matteo narra che questi riserveranno parole amare anche contro il Precursore:

In quel tempo, Gesù disse alle folle: «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (Mt 11,16-19).

Gesù non nega il digiuno e la penitenza, al contrario, egli stesso fa precedere agli inizi del suo ministero un lungo periodo di digiuno nel deserto, ben quaranta giorni.
Con la risposta che dà ai suoi avversari rivela il motivo per cui non digiunano:

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Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.

C’è un tempo per ogni cosa e quello che adesso vivono i discepoli è il tempo della gioia, perché il Messia atteso è finalmente con loro, cammina insieme a loro, e lo fa non come un despota, ma come uno sposo.

La dimensione nuziale del rapporto che Dio vuole intessere con noi è davvero importante all’interno degli insegnamenti di Gesù. Basti pensare alla parabola del banchetto nuziale (Mt 22,1-14), a quella delle dieci vergini (Mt 25,1-13), a quella del servo che attende il ritorno del padrone dalle nozze (Lc 12,35-40), all’insegnamento sulla scelta dei posti in un banchetto di nozze (Lc 14,7-11) e, non per ultimo, al primo miracolo nel Vangelo secondo Giovanni: le nozze di Cana (Gv 2,1-12) – di seguito i link degli articoli che approfondiscono questi passi dei Vangeli.

Se le attese sono finite e il Figlio di Dio cammina insieme agli uomini, ai discepoli non cresta che una sola cosa: gioire. Il problema è che talvolta, all’uomo di tutti i tempi, viene più facile crogiolarsi nell’autocommiserazione che essere grati di quello che si ha, si preferisce supplicare che lodare, rimpiangere che godere. Per questa ragione intitolammo un nostro approfondimento biblico col titolo: Il Regno dei cieli non è fatto per i musoni.

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IL VECCHIO E IL NUOVO
Appartiene alla risposta di Gesù contro la polemica innescata dai farisei, la questione della toppa e del vino nuovo:

Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!

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Che senso hanno queste parole? Gesù si sta presentando come l’evento salvifico che dona un nuovo indirizzo alla storia dell’umanità, una novità che va accolta adeguatamente nella vita degli uomini, senza recriminazioni per un passato troppo ingessato dalla miriadi di precetti, oltre seicento, che i farisei aggiunsero ai normali comandamenti scritti da Dio sulle tavole dell’alleanza consegnate a Mosè sul Sinai.
Come accogliere la novità di Cristo? Con un cuore nuovo, uno spirito libero dai preconcetti umani del passato e con la capacità, soprattutto, di farsi stupire da Dio. Per poter accogliere Cristo, dunque, dobbiamo rimodernare l’armadio del nostro vestito interiore, quell’habitus che diventa abitudine. Si tratta, in ultima analisi, di cambiare mentalità, lasciare da parte l’imperfezione del passato, per accogliere la novità del presente di Dio.
Vivere di passato, poi, è alquanto attuale per noi oggi. Il “si è sempre fatto così” è il primo passo per la distruzione di una comunità che invecchiando si ripiega su se stessa e altre aspettative non ha se non quello della morte. Ma non solo. L’invito è anche quello di riconciliarci col nostro passato, con i nostri errori di gioventù, i nostri peccati. Dio è colui che ci dona nuove opportunità di crescita, di grazie, di santificazione.
Rinnovare il nostro armadio interiore, oggi, significa imparare a svuotarci dei nostri modi limitati, dei nostri condizionamenti interiori, per riempirci di Cristo, rivestirci di lui fino a quando con San Paolo potremo dire:

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Non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2,20).

Se già troviamo particolarmente evocativo l’immagine che Gesù usa di stoffe per il cambio di abitudini dell’uomo (dal latino vestito è habitus che indica una disposizione di essere nell’animo e nel fisico), non da meno lo è l’immagine del vino. Esso infatti era considerato come un dono e una benedizione di Dio (Cfr. Dt 7,13; Pr 3,10; Os 2,10; Gl 2,24), è indice di gioia e comunione tra gli uomini, è la bevande delle grandi feste, soprattutto dei matrimoni (Cfr. Gv 2,1-12).
Gesù, dunque, si presenta ai farisei come colui che rinnova la gioia nel cuore dei discepoli: qualcosa di tanto nuovo che diventa dirompente, distrugge gli otri delle consuetudini inutilmente cristallizzate da precetti umani che appesantiscono la vita dell’uomo (Cfr. Lc 11,46). Per taluni vedere un uomo gioioso, di una felicità che proviene dall’esercizio della virtù della speranza, è motivo di sospetto. È quello che accade ai farisei nel brano di oggi e poi in quello di Matteo dove oseranno appellare Gesù col titolo di «beone» (Mt 11,19).

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LA PAURA DEL CAMBIAMENTO
Ci troviamo di fronte una realtà molto attuale: il cambiamento comporta sempre una crisi. Soprattutto negli ambienti ecclesiali e religiosi, tra i banchi delle nostre chiese, le sacrestie e le aule parrocchiali: lì dove qualcuno osa fare qualcosa di diverso, di rompere consuetudini cristallizzate e prive di senso, lì lo si mette sotto accusa, al pubblico ludibrio con tanto di attacchi, vigliacchi e meschini sui social: nuova vetrina del decadimento della cultura, per chi è incapace non solo di un vero confronto dialogico, ma soprattutto di portare proprio lì un messaggio serio di cristianità e fratellanza, ma se ne fa pavido leone da tastiera. E basta davvero poco per provocare isterismi, complotti e convulsioni di stampo farisaico.
Papa Francesco, nella sua omelia del 18 gennaio 2016, prende le distanze da questi cristiani perché dice che hanno il cuore chiuso alla novità di Dio e vivono un battesimo pieno di toppe, vecchio e logoro. Eppure la novità, il cambiamento, il rinnovamento, farebbe bene a loro per primi.

Gesù, dunque, viene a noi come l’eterna novità, viene per scompaginare i nostri piani, le nostre consuetudini, viene per liberarci da noi stessi, spingerci verso l’altro, per renderci uomini e donne in cammino su sentieri sconosciuti. Viene per sbaragliare le porte chiuse dei ristretti recinti delle piccole cerchie di amici per renderci cattolici, cioè universali. Sapremo accogliere il suo invito?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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