L’abitino del Carmelo. Sacramentale di salvezza eterna

Convenuti qui perché innamorati della Vergine Maria, chiamati qui a consacrarci a Cristo mediante la Vergine del Carmelo. Ma prima di capire cosa comporta questa consacrazione, di quali grazie poter godere, cerchiamo di capire cos’è l’abitino del Carmelo

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IL MONTE CARMELO: ANNOTAZIONI BIBLICHE
Il termine Carmelo in ebraico significa giardino, ma anche vigna. Rimanda alla bellezza del creato, alla generosità della provvidenza di Dio che si esprime nella natura, ma significa anche fonte della gioia. In effetti la vigna dà l’uva e il vino per la mentalità ebraica antica indicava la gioia dello stare insieme, della fraternità.

Al solo ricordo del Carmelo, il cuore degli Israeliti si riempiva di dolcezza e di consolazione. Pensate magari anche voi a un luogo particolare della vostra vita, il cuore solo richiamarlo alla memoria vi riempie di gioia e pace. Ebbene lo stesso era per gli antichi uomini di Israele.
Quando gli Israeliti furono sradicati dalla loro terra di Israele ed esiliati in Babilonia, l’unica cosa che poteva lenire la loro sofferenza era proprio il ricordo del Carmelo, come sintesi di tutto ciò che Dio ha fatto (e poteva ancora fare) per loro. Così i profeti Isaia e Geremia, prestano voce a Dio e danno un messaggio di speranza agli uomini del tempo.

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Perciò, dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: “Ecco, io punirò il re di Babilonia e la sua terra, come già ho punito il re d’Assiria, e ricondurrò Israele nel suo pascolo. Pascolerà sul Carmelo e sul Basan; sulle montagne di Èfraim e di Gàlaad si sazierà. In quei giorni e in quel tempo – oracolo del Signore – si cercherà l’iniquità d’Israele, ma essa non sarà più; si cercheranno i peccati di Giuda, ma non si troveranno, perché io perdonerò al resto che lascerò (Ger 50,18-19).

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saròn (Is 35,1-2).

Qui il profeta Elia pose dimora e visse la sua vita eremitica e con la sua incessante preghiera ottenne da Dio che terminasse la lunga siccità su Israele, e tornasse a piovere. Leggiamo:

Elia si recò alla cima del Carmelo; gettatosi a terra, pose la faccia tra le proprie ginocchia, quindi disse al suo ragazzo: «Vieni qui, guarda verso il mare». Quegli andò, guardò e disse. «Non c’è nulla!». Elia disse: «Tornaci ancora per sette volte». La settima volta riferì: «Ecco, una nuvoletta, come una mano d’uomo, sale dal mare». Elia gli disse: «Va’ a dire ad Acab: Attacca i cavalli al carro e scendi perché non ti sorprenda la pioggia!» (1Re 18,42-44).

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IL MONTE CARMELO: ANNOTAZIONI STORICO-GEOGRAFICHE
Quando parliamo di Terra santa, non parliamo di una terra tanto lontana da noi. Anzi all’epoca non era nemmeno difficile raggiungerla via mare.

In particolare il monte Carmelo non è propriamente un monte, ma una catena montuosa che si affaccia sul mediterraneo, sopra la grande città di Haifa.

Qui verso la fine del 1100 un gruppo di eremiti provenienti la maggior parte dell’Europa (laici, penitenti, crociati, preti) vollero vivere sul luogo dove visse il profeta Elia cercando di imitare la sua vita monastica e avendo come modello Maria di cui alcune leggende medievali dicevano che lei si recò su quel monte e consacrò la propria verginità a Dio.
Infatti gli eremiti costruirono una piccola chiesetta che dedicarono proprio alla Vergine Maria

Essi eressero la chiesetta al centro delle loro celle scavate nella roccia, riconoscendo in Maria la sorella, colei che fondava e teneva unita la fraternità.

Infatti in un antico scritto di storia orientale si parla dei primi carmelitani in questi termini:

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«Da diverse parti del mondo, da ogni tribù e  lingua, e da ogni nazione che è sotto il cielo, arrivavano nella Terra Santa pellegrini pieni di zelo per Iddio, e uomini religiosi attratti dall’odore di quei luoghi santi e venerabili. Inoltre uomini santi, rinunciando la mondo e accesi dal fervore della vita religiosa, sceglievano, secondo le varie preferenze e desideri, i luoghi più adatti al loro proposito e alla loro devozione.
Altri, imitando l’esempio del santo uomo e solitario profeta Elia, vivevano come eremiti nel monte Carmelo, che si eleva presso la città di Haifa. Vivevano in solitudine, ciascuno per proprio conto, in grotte simili ad alveari, ove, come api, mellificavano il divin miele della dolcezza spirituale».

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Nella seconda metà del 1200 quel gruppo di eremiti fu costretto a lasciare quell’angolo di paradiso e far ritorno nelle loro terre di origine a causa della cacciata dei saraceni (islamici). In Europa si trovarono con una chiesa rinnovata dagli ordini mendicanti (francescani e domenicani) così quel gruppo adattò il suo stile di vita sul Carmelo a quello dei mendicanti, costruendo, però, conventi appena fuori delle città (lontani dai rumori e dai trambusti) facendo di ogni convento il loro monte Carmelo.
Da quei primi eremiti discende tutta la famiglia carmelitana: frati, suore, terziari e confratelli, e quindi anche coloro che indossano l’abitino!

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LA SIMBOLOGIA DELL’ABITO BELLO NELLA BIBBIA
Lo scapolare è anche chiamato abitino, che a sua volta deriva dal greco “habitus”, “abitudini” inteso come un rinnovato impegno per la propria vita cristiana e ha dei forti richiami biblici.
Pensate alla storia di Giuseppe figlio di Giacobbe avuto nella vecchiaia e il suo bell’abito con le maniche larghe, segno della predilezione paterna:

Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche (Gen 37,3).

Questo significato dell’abito inteso come “elezione” e predilezione torna anche negli insegnamenti di Gesù

Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22,11-14).

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MARTIRE DELLO SCAPOLARE
Per questo l’abitino che indosserete deve diventare segno esteriore di quello che vivrete, della vs santità di vita, della vostra appartenenza a Cristo per mezzo di Maria. Indossandolo ricorderete la vostra vocazione a seguirlo. Proprio uno come voi, un laico, preferì la morte a vedersi privato dell’abitino del Carmelo. Parliamo del Beato Isidoro Bakanja.

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Nato verso il 1885 nello Zaire, è un giovane di 24 anni convertito al cattolicesimo. Per lui lo Scapolare, insieme al Santo Rosario, era un segno visibile della sua fede, più che un’uniforme Per questo motivo, quando il suo padrone, ateo, gli ordinò di togliersi lo Scapolare, egli si rifiutò, e in cambio ricevette delle frustate che lasciarono sulla sua schiena ferite incurabili. Quando i Missionari stavano amministrandogli gli ultimi Sacramenti, lo sollecitarono di perdonare all’uomo che lo aveva frustato. Isidoro rispose: L’ho già perdonato, e quando sarò nel paradiso, ho l’intenzione di pregare anche per lui. Morì abbracciando lo Scapolare e il rosario nell’agosto del 1909. Il 24 aprile 1994, in Piazza San Pietro a Roma è proclamato Beato da Giovanni Paolo II.

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LA STORIA DELL’ABITINO
La storia si rimanda a San Simone Stock, priore generale, in un’epoca critica dell’Ordine perché la Chiesa tendeva a sopprimere i tanti Ordini mendicanti che erano sbocciati in Europa. Egli pregando invocava la protezione della Vergine Maria, ed ella apparendogli disse:

«Prendi, amatissimo figlio, questo Scapolare; questo sarà il segno dell’Ordine tuo e della mia Congregazione e del privilegio ch’io ho ottenuto per te e per tutti i Carmelitani, col quale chiunque piamente morrà, non soffrirà l’eterno incendio. È questo un segno di salute, salvezza nei pericoli, pegno di pace e di alleanza eterna»

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Questo scapolare che è grande per i frati e le monache, venne poi adattato perché potessero indossarlo anche i laici, così è nato l’abitino che per disposizione papale ha due immagini: quella della Vergine del Carmelo e quella del Sacro cuore di Gesù.
Successivamente la leggenda narra che papa Giovanni XXII, in sogno vide la Vergine Maria che prometteva la liberazione di un’anima dal purgatorio, il sabato successivo alla sua morte, se in vita avesse devotamente indossato l’abitino carmelitano. Si tratta di un racconto catechetico, che rivela che l’abitino può salvarci la vita nella misura in cui viviamo quello che esso significa.

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L’IMITAZIONE DI MARIA
L’abitino del Carmelo, lungi dall’essere un amuleto, un portafortuna per ottenere la salvezza, impone in chi desidera portarlo degnamente, lo sforzo di vivere il proprio Battesimo, tenendo la Vergine Maria come modello sul quale conformare la propria esistenza.
I carmelitani di tutti i tempi si sono lasciati interrogare su questo aspetto, in particolare, Santa Teresa d’Avila con queste parole esortava le sue monache:

«Cerchiamo, figlie mie, di somigliare in qualche piccola cosa a questa santissima Vergine, di cui portiamo l’abito. C’è da riempirsi di confusione al pensiero che ci chiamiamo sue monache! Seguiamola imitando almeno un po’ la sua umiltà» (Cammino di perfezione, 13.2).

Molto evocative risultano anche le parole di Santa Teresa di Lisieux:

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«Devo riconoscere, mia santa Vergine, di essere più fortunata di voi, perché io ho voi per Madre, mentre voi non avete una Madonna da amare. È vero che siete la madre di Gesù, ma questo Gesù l’avete dato a me interamente, e lui, sulla croce, vi ha dato noi per Madre Così noi siamo più ricchi di voi: possediamo Gesù e anche voi ci appartenete».

Il neo-canonizzato, San Tito Brandsma, nella sua opera sulla spiritualità del Carmelo, afferma:

«Noi dobbiamo cercare di somigliare a Maria, soprattutto perché riconosciamo la sua perfezione come la più alta che una creatura per grazia di Dio ha mai potuto raggiungere. Questa perfezione può venir portata in Maria e ci uniamo a lei.
La nostra devozione a Maria deve tendere a far di noi quasi delle altre madri di Dio, in modo che io sia concepito anche in noi e generato da noi» (Bellezza del Carmelo).

E sempre lui in un altro passaggio della sua opera:

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«La devozione a Maria è uno dei fiori più deliziosi del giardino del Carmelo. Lo direi un girasole. È un fiore che si innalza sopra tutti gli altri fiori. Nato su un grosso stelo, ricco di grandi foglie, il fiore si eleva più alto tra il verde fogliame, ed ha la caratteristica di girarsi verso il sole. È un fiore semplice: può crescere in tutti i giardini. È alto e robusto ed ha radici profonde come un albero. Allo stesso modo nessuna devozione è più salda di quella a Maria.
Il fiore rappresenta l’anima creata a immagine di Dio per assorbire lo splendore della sua bontà. È talmente rapito dai raggi del sole che brilla su di lui, che non può volgersi altrove, ma soltanto vivere per lui e di lui. Maria era un fiore così. Fiori della sua semenza, anche noi possiamo crescere e fiorire davanti al Sole che ha infuso se stesso in lei, e vuole trasmettere a noi pure i raggi della sua luce e del suo calore» (Bellezza del Carmelo).

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I PONTEFICI E LO SCAPOLARE DEL CARMINE
Sono stati tanti i Papi che nel corso della storia si sono espressi a favore dell’abitino del Carmelo. Purtroppo non abbiamo tempo per citarli tutti, ci limitiamo ai due che forse sono i più rappresentativi: Papa Leone XI e Giovanni Paolo II. Il primo, sul letto di morte, a chi voleva togliergli l’abitino disse:

«Lasciami Maria, perché Maria non lasci me»

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Tutti sappiamo della grande devozione di Giovanni Paolo II per l’abitino del Carmelo. Tanti sono i suoi approfondimenti in merito. Pare che proprio lo scapolare riuscì a fermare miracolosamente la pallottola di chi lo voleva morto. In due diverse circostanze affermò:

«Chi riveste lo Scapolare sperimenta quindi la presenza dolce e materna di Maria, nell’impegno quotidiano di rivestirsi interiormente di Gesù Cristo e di manifestarlo vivente in sé per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità.
Anch’io porto sul mio cuore, da tanto tempo, lo Scapolare del Carmine! Per l’amore che nutro verso la comune Madre celeste, la cui protezione sperimento continuamente».

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COME È FATTO L’ABITINO DEL CARMELO?

La struttura è simile a quella dei frati e delle monache, adattato alle esigenze della vita laicale. Si tratta di un tessuto che si appoggia sulle scapole, da qui il nome scapolare.
La parte con l’immagine della Vergine Maria va posta al petto, mentre quella col Sacro cuore di Gesù, dietro la schiena.
Per disposizione pontificia, solo successivamente, fu concesso anche la forma a medaglietta per chi avesse problemi di questo tessuto a contatto con l’epidermide.

Può capitare che col tempo l’abitino si logori, in tal caso sarà necessario bruciarlo e prenderne uno nuovo senza dover ripetere il rito dell’imposizione.

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IL RITO DELL’IMPOSIZIONE
Si tratta di un atto particolarmente solenne, nel quale consacrerete la vostra vita a Cristo, mediante la Vergine Maria del monte Carmelo. Decidendo di vivere alla presenza del Figlio, imitando le virtù della sua prima discepola: la Madre. Godendo dei beni spirituali della famiglia del Carmelo che vi accoglie, cercherete di vivere il suo carisma contemplativo, intessendo di preghiera, fraternità e apostolato, la vostra quotidianità.
Generalmente il rito di imposizione viene celebrato all’interno della Santa Messa. Rispondendo a una chiamata che vi ha spinto a vivere questo momento così importante e solenne, dopo l’omelia verrete chiamati per nome e vi avvicinerete al presbiterio. Seguirà la benedizione del sacerdote sugli abitini, il quale, successivamente, dirà:

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«Ricevi questo Scapolare (col quale entri nella Confraternita della famiglia della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo). Fiducioso dell’amore preveniente di così grande Madre, dedicati alla sua imitazione e alla sua intimità. Porta questo simbolo come ricordo della presenza di Maria nell’impegno quotidiano di rivestirti interiormente di Gesù Cristo e di manifestarlo vivente in te per il bene della Chiesa e di tutta l’umanità e a gloria della Santissima Trinità».

Tutti insieme, risponderete con il “sì” della vostra vita: «Amen».
Bacerete l’abitino in segno di devozione, e quindi il sacerdote lo imporrà sulle vostre spalle. Seguirà la raccomandazione conclusiva. Si tratta, cioè, di quello che la Chiesa, da questo momento in poi, si aspetta da voi:

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«Ricevendo questo Scapolare siete stati accolti nella Famiglia del Carmelo, consacrata in special modo all’imitazione e al servizio della Vergine Madre di Dio, perché possiate vivere per Cristo e la sua Chiesa con il medesimo spirito contemplativo e apostolico dell’Ordine del Carmelo. E perché possiate conseguire perfettamente questo ideale, con le facoltà che mi sono concesse, io vi ammetto alla partecipazione di tutti i beni spirituali dell’Ordine del Carmelo».

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L’INDULGENZA
Abbiamo detto che l’abitino è un sacramentale di salvezza eterna, e in effetti, oltre alla grazia proveniente dal rinnovato impegno di farvi discepoli di Cristo, la Chiesa vi concede una grazia speciale: quella dell’indulgenza parziale. Ecco, dunque, come si esprime in merito la Penitenzieria Apostolica, nel suo Enchiridion indulgentiarum, ovvero nel Manuale delle indulgenze:

«Il fedele può ottenere una indulgenza se devotamente usa uno dei seguenti oggetti di pietà convenientemente benedetto: crocifisso o croce, corona, scapolare, medaglia» (Norme sulle indulgenze n. 15, in Manuale delle indulgenze, p. 26).

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Cosa sono le indulgenze? La Penitenzieria Apostolica si esprime in questi termini:

«L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi» (Norme sulle indulgenze n. 1, in Manuale delle indulgenze, p. 23).

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Cosa significa? Facciamo un esempio pratico. Se da ragazzi avevamo la brillante idea di giocare con una palla in casa e rompevamo un vaso, potevamo con buona ragione fare ricorso a un genitore e rivelare tutto il pentimento per l’errore commesso. Il genitore in questione ci avrebbe, ovviamente, perdonato redarguendoci sul non ricorrere agli stessi errori e che il soggiorno non è il luogo adeguato per giocare a palla. Tuttavia restava un danno da sanare: il vaso rotto andava incollato, o comunque bisognava comprarne un altro, o almeno pulire i cocci. Un atto di giustizia, per quanto i rapporti con il genitore siano tornati sereni.

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Ecco che allo stesso modo accade con i nostri peccati. Il ricorso al Sacramento della Riconciliazione, unico rimedio al peccato che ci permette di evitare quell’errore spirituale nel quale molti cristiani incorrono – la presunzione di salvezza – (approfondisci ai link in basso), riporta il fedele a un equilibrio armonico di comunione con Dio, la Chiesa e gli altri. Tuttavia per giustizia c’è da rimediare al danno commesso, e questo si sconta con un tempo in Purgatorio.

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L’indulgenza, dunque, lucrabile per sé o per un defunto, provenendo dalla tenerezza divina dispensata dalla Chiesa, permette di annullare tutto o parte di quel tempo in purgatorio attraverso le indulgenze. In particolare, l’indulgenza plenaria –acquistabile solo una volta al giorno – permette di scontare tutta e completamente la pena in Purgatorio, quella parziale –acquistabile infinite volte in una giornata – solo una parte. In quest’ultima, dunque, si situa lo scapolare del Carmine, diventando un vero oggetto di santificazione personale che ci accompagna nel nostro cammino di costante crescita spirituale e di conversione.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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