La guarigione del paralitico come rilettura spirituale dell’orgoglio umano

INTRODUZIONE
Prima di approfondire il brano del Vangelo che oggi ci offre la liturgia della Parola, riteniamo utile ricordare che quanto accade a Cafarnao (dal miracolo all’insegnamento di Gesù), rientra all’interno delle priorità stesse del Figlio di Dio. Se c’è infatti una cosa che particolarmente gli sta a cuore è proprio la capacità di far comprendere ai suoi ascoltatori quanto sia importanti coltivare relazioni sane, durature, cattoliche (nel senso che non escludano nessuno e mai siano elitarie).
Abbiamo avuto modo di approfondirlo in diversi dei nostri commenti biblici: la riconciliazione fraterna occupa un posto di primaria importanza negli insegnamenti del Maestro, tanto che affronta questo argomento costantemente e da diverse prospettive. Per questa ragione riteniamo interessante inserire questo argomento all’interno di questo tipo di insegnamenti di Gesù e rimandiamo, per poterne cogliere appieno la straordinaria portata, ai link in basso. Buona lettura!

IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI

Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua».
Quello si alzò e subito prese la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!» (Mc 2,1-12).

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CONTESTO
In questi giorni la liturgia della Parola ci sta offrendo una lettura continuata di tutto il Vangelo di Marco, a partir fin dal primo capitolo.
Ci troviamo nella sezione in cui si narra delle vicende degli esordi di Gesù come predicatore itinerante, coerentemente al tempo liturgico che stiamo vivendo, il tempo ordinario.

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Oggi lo vediamo entrare a Cafarnao e, come ben sappiamo, non è la prima volta che si reca. Nei giorni scorsi, infatti, abbiamo visto lo svilupparsi di una giornata “tipo” di Gesù, che iniziava al mattino presto, prima del sorgere dell’alba, con la preghiera e proseguiva con l’insegnamento nella sinagoga, l’entrare in comunione con la gente del posto, accettando il loro invito a tavola, e poi, dal pomeriggio fino a sera inoltrata, si spendeva per guarire i malati e scacciare i demoni.

Lasciata Cafarnao, consapevole della necessità di far arrivare il suo messaggio a quante più persone, si dirige verso la regione nord di Israele: la Galilea. Qui, dopo la guarigione di un lebbroso e il suo successivo tradire il comando di Gesù circa il tenere segreto quello che gli è successo, il rabbì si vede impossibilitato ad entrare nelle città della regione, tanto quell’uomo ne aveva sparsa la voce, e così mentre il Maestro resta nei luoghi deserti a predicare fare miracoli, molta gente non potettero godere della sua parola e delle sue opere a motivo di quell’uomo guarito che opera da nemico di Cristo.

Oggi, dunque, lo vediamo tornare a Cafarnao, probabilmente costretto dagli eventi (dal pettegolezzo satanico di colui che ha sperimentato la grazia di Dio) e potremmo dire che ricomincia un po’ daccapo.

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COSA VOGLIONO DA GESÙ GLI ABITANTI DI CAFARNAO?
Dopo l’introduzione di tipo geografica, dove l’evangelista annota il ritorno di Gesù nella città di Simon Pietro e Andrea, ci viene rivelato che, come in precedenza, la cosa che accoglie Gesù diventa luogo di pellegrinaggio di una grande folla a cui il Maestro non si nega. Si ripete quello che era accaduto alcuni giorni prima:

Tutta la città era riunita davanti alla porta (Mc 1,33).

Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola (Mc 2,1)

Tuttavia, stando a quanto annota l’evangelista Marco nel brano odierno, questa volta la gente accorre da Gesù non per un miracolo, ma semplicemente per ascoltarlo. Difatti i cittadini di Cafarnao avevano già avuto modo di ascoltarlo nel suo insegnamento nella sinagoga, quando il loro cuore si era riempito di gioia, stupore e santo timor di Dio. In quella occasione ebbero modo di riconoscere quanto qualitativamente superiore fosse il suo insegnamento rispetto a quello dei teologi dell’epoca: gli scribi. Leggiamo:

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Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi (Mc 1,21-22).

Questo è per noi già la prima provocazione: la gente accorre per ascoltare Gesù, le sue parole scaldano il loro cuore, lo innalzano verso Dio, la loro speranza si ritempra. Da qui traggono nuovi entusiasmi e nuove energie per la loro vita spirituale. Allora domandiamoci: abbiamo anche noi la stessa fame della parola di Dio? Accorro alla porta della sua casa, la Bibbia, i Vangeli, per ascoltarlo parlare a me, al mio cuore?

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L’invito alla meditazione delle Scritture è una costante nel magistero di Papa Francesco. Egli ha dedicato una serie di catechesi sulla preghiera nelle sue Udienze Generali dello scorso 2021. In ognuna di esse non dimenticava di esortare all’approccio affettivo e trasformante con la Parola di Dio. In particolare, nell’Udienza del 28 aprile 2021 ha affermato:

Per un cristiano “meditare” è cercare una sintesi: significa mettersi davanti alla grande pagina della Rivelazione per provare a farla diventare nostra, assumendola completamente. E il cristiano, dopo aver accolto la Parola di Dio, non la tiene chiusa dentro di sé, perché quella Parola deve incontrarsi con «un altro libro», che il Catechismo chiama «quello della vita» (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2706). È ciò che tentiamo di fare ogni volta che meditiamo la Parola. […]
 Non c’è pagina di Vangelo in cui non ci sia posto per noi. Meditare, per noi cristiani, è un modo di incontrare Gesù. E così, solo così, di ritrovare noi stessi. E questo non è un ripiegamento su noi stessi, no: andare da Gesù e da Gesù incontrare noi stessi, guariti, risorti, forti per la grazia di Gesù.

Papa Francesco, Udienza Generale, 28.4.21
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Da qui anche il suo invito a portare sempre con noi un piccolo vangelo, come un compagno di viaggio da sfogliare e meditare in ogni occorrenza. Da qui, anche, la provocazione del regalo dei Vangeli ai presenti in piazza San Pietro per pregare con lui l’Angelus.

Questa urgenza dell’ascolto della Parola di Dio da cui è tanto importante per il credente di ogni tempo, che ben a ragione l’Apostolo Paolo afferma:

Dunque, la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (Rm 10,17).

Per un cristiano, dunque, che intende fare sul serio con Dio e con il proprio Battesimo, l’approfondimento della Parola di Dio e la sua meditazione, restano un’urgenza imprescindibile. Solo attraverso una certa famigliarità con la sacra Scrittura possiamo dare un vero indirizzo cristiano alla nostra quotidianità, comprendere quale sia la nostra vocazione e cogliere le mille provocazioni di Cristo nella nostra vita di tutti i giorni.

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Questo, poi, è quello che ci prefiggiamo con questo blog: un aiuto per tutti i credenti di poter avere una rilettura più accessibile della Sacra Scrittura: un punto di inizio per la propria meditazione personale. Questo è quello che compresero, e che ci insegnano, gli abitanti di Cafarnao.

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LA GUARIGIONE DEL PARALITICO
Abbiamo già avuto modo di approfondire questo prodigio dalla prospettiva dell’evangelista Luca, a cui rimandiamo per un maggiore approfondimento di aspetti sui quali qui daremo un breve accenno.

Ci teniamo a precisare come nella Bibbia dire a una persona che fosse “tutta di un pezzo”, non era proprio farle un complimento. L’immobilismo, infatti, non raramente è sintomo di un grave peccato (l’incapacità di mettersi in moto per andare incontro all’altro), e questo immobilismo per noi uomini del III millennio spesso è di tipo morale, spirituale, si incarna nell’incapacità di perdonare, nell’orgoglio, nel pregiudizio.

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Così in qualche modo, davanti a Gesù c’è più di un malato: c’è il paralitico calato dal tetto, ma ci sono gli immobili perbenisti degli scribi, incapaci di riconoscere la presenza di Dio accanto a loro.

Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?».

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Che il paralitico, poi, venga guarito non per la sua fede, ma per quella di chi lo accompagna, è davvero sorprendente e sortisce per noi un valido motivo di riflessione. Siamo esortati a prenderci cura dei nostri malati non solo dal punto di vista fisico, ma anche quello spirituale. Per quanti genitori anziani, ormai, i figli non si preoccupano di informare il parroco perché questi porti i necessari sacramenti? Quante persone partono da questo mondo senza aver potuto ricevere il viatico, il sacramento dell’unzione degli infermi, la Confessione? Sono mancanze grave a cui un giorno dovremo dare conto e Gesù ce lo di ce con toni molto gravi:

Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25,41-45).

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Ma non solo. Se il paralitico viene guarito per la fede non sua, ma di chi lo conduce con coraggio e caparbietà dinanzi a Gesù, questo sortisce per noi l’invito a pregare i malati, a fare in modo che la nostra fede, la nostra preghiera, costituisca un valore aggiunto per l’allevio delle loro sofferenze, per riparare ai loro eventuali peccati, per invitarli a saper vivere la condizione di sofferenza in maniera cristiana. Essi, infatti, nella misura in cui impareranno a offrire le loro sofferenze a Cristo, non solo accumuleranno meriti per il Regno dei cieli, ma renderanno la loro croce, a imitazione di Gesù, un trono glorioso sul quale regnare.
Si esprime, infatti, con queste parole la Penitenzieria Apostolica:

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La Chiesa da sempre afferma che il cristiano portando la sua croce ogni giorno e offrendo il suo dolore a Dio per la conversione dei peccatori, può assimilarsi a Cristo che sul suo patibolo morì anche per i suoi uccisori, abilitandoli alla salvezza eterna. La Penitenzieria apostolica codifica persino un’indulgenza parziale in merito: «Si concede l’indulgenza parziale al fedele che, nel compiere i suoi doveri e nel sopportare le avversità della vita, innalza con umile fiducia l’animo a Dio, aggiungendo, anche solo mentalmente, una pia invocazione

Penitenzieria Apostolica, Manuale delle indulgenze, p. 35.

L’AUTORIVELAZIONE DI GESÙ

E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua».

Gli scribi si scandalizzano delle parole del Nazareno verso l’uomo calato già dal tetto su di una barella, perché all’epoca non esisteva la certezza che Dio perdonasse i peccati dell’umanità. V’era solo una vaga speranza che gli israeliti celebravano liturgicamente una volta all’anno: il cosiddetto yom kippur, o giorno dell’espiazione (ne abbiamo parlato nell’articolo raggiungibile al link qui in basso).

Se per i teologi dell’epoca parlare della remissione dei peccati, faceva accapponare la pelle perché rimandava direttamente alla imperscrutabile coscienza di Dio, ecco che Gesù in un paio di battute, quasi si sfuggita o come se fosse qualcosa di scontato, rimette i peccati del paralitico, rivelando così, senza mezzi termini, la sua figliolanza divina.
In diverse circostanze Gesù insieme alla guarigione concederà la remissione dei peccati. Questo per lui diventa così importante, perché rivela il volto misericordioso del Padre, che affiderà questo incarico agli apostoli e ai loro successori così che possa arrivare agli uomini di tutti i tempi e di tutte le nazioni.

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Ed ecco per noi un’ulteriore provocazione: se per Gesù è così importante la rivelazione della misericordia divina, tanto da istituire un Sacramento, che peso diamo noi alla Confessione?
Molti cristiani si illudono grandemente dicendosi: «Non ho bisogno del sacerdote, mi confesso direttamente con Dio». Benché l’incontro intimo, trasformante e affettivo con Dio sia una cosa davvero utile, per cui valga davvero spendere energie e tempo della propria quotidianità, tuttavia essi, ispirati da chissà quale spirito, si fanno una propria religione, su misura alle loro esigenze, che nulla ha a che vedere col cristianesimo. Dopotutto quello che la Chiesa riconosce come Sacramento è di istituzione divina e vede nelle parole di Gesù il suo fondamento:

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La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,19-23).

IL RITORNO A CASA DEL PARALITICO

Quello si alzò e subito prese la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!»

L’annotazione con la quale si conclude il brano evangelico di oggi, è quanto mai evocativa. Il paralitico potrà tornare con le proprie gambe nella sua casa. Indice di un ritorno agli altri, di una mobilità fisica e interiore che ha riacquistato grazie anche a un atto di misericordia immeritato: la remissione dei peccati.

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Se ne torna portandosi dietro quella barella che lo aveva tenuto imprigionato nel suo immobilismo, come a perenne memoria di cosa può comportare una vita di peccati. Non è di certo l’invito a vivere nel senso di colpa, ma nella gratitudine per l’incontro trasformante con Cristo, ottenuto grazie all’amore che hanno nutrito per lui i suoi amici e alla loro fede nei riguardi di Gesù.

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Di fronte al muso lungo degli scribi, i veri paralitici del racconto, lui se ne torna rinnovato a casa e la gente spettatrice dell’evento guarda con gioia le grandezze di Dio che si rivelano attorno a loro. Gli scribi e la gente entrambi guardano lo stesso evento, ma con occhi, con filtri diremmo oggi, diversi. I primi resteranno a mormorare per tutta la vita, gli altri vivono nello stupore delle grandezze di Dio e gioiscono per i doni che questi fa anche agli altri.
L’ultima provocazione per noi oggi è questa: sappiamo gioire del successo dei nostri fratelli? Godiamo nel vederli gioiosi, realizzati, pieni dei talenti di Dio?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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