Il tesoro e il cuore. Tecniche pratiche per una vita mai più votata alla morte

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.
La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,19-23).

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CONTESTO
Anche oggi la liturgia della Parola, ci permette di approfondire e meditare il grande insegnamento di Gesù, il cosiddetto discorso della montagna che comprende tre capitoli del Vangelo secondo Matteo (Mt 5,1-7,29). Alcuni di questi passaggi abbiamo già avuto modo di approfondirli, così vi rimandiamo ai link in basso che si stanno delineando come un mosaico dai tanti tasselli teologici e spirituali:

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EVITARE LA LOGICA DELL’ACCAPARRAMENTO
Gesù aveva già lanciato questa provocazione, giusto pochi istanti prima, quando ai suoi discepoli aveva insegnato la preghiera del Padre nostro:

Dacci oggi il nostro pane quotidiano (Mt 6,11).

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L’invito è quello di farsi bastare il necessario, senza progetti di accumulazione che non raramente generano disuguaglianze e ingiustizie sociali (divario che purtroppo nelle nostre società occidentali va sempre più ampliandosi).
Gesù riporta tutto a quel regno dei cieli che ci invita a invocare nella preghiera da lui insegnatoci: quella è la meta, quello il fine del nostro viaggio.
Gesù approfondirà questo tema, proprio qualche istante più tardi, affermando:

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Non una semplice Bibbia

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6,25-34).

Vivere una vita unicamente orientata all’accumulare beni è una vita priva di senso, spesa nell’ansia dell’accaparramento e nella paura che qualcuno frodi o derubi il malloppo. È quello che capita al ricco epulone dell’omonima parabola di Gesù, raccolta dall’evangelista Luca:

Poi disse loro una parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio” (Lc 12,16-21).

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Ben a ragione Papa Francesco nella sua nota omelia, della domenica delle Palme del 2013, ha provocato i cristiani “epuloni” affermando che la vera conversione inizia dalle tasche, e ha ripetuto un detto insegnatogli dalla nonna: “Il sudario non ha tasche”.

Anche il mistico carmelitano San Giovanni della Croce, si esprime a riguardo, e lo fa in una delle sue massime lasciate alle monache da lui spiritualmente dirette:

Non rallegrarti del benessere temporale, perché non sei sicuro che ti garantisca la vita eterna (Giovanni della Croce, Detti di luce e amore, n. 64).

La prima comunità cristiana, illuminata e fortificata dallo Spirito Santo, comprese perfettamente questo insegnamento di Gesù, tanto che l’evangelista Luca la tratteggia con questi toni:

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La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune.
Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore.
Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levìta originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli (At 4,32-37). 
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Ma non solo. Il mancato ottemperamento a questo comando di Gesù, sortisce l’effetto di una vera e propria maledizione per quei cristiani che hanno fatto dei loro beni una idolatria. È il caso di Anania che insieme alla moglie tengono per loro una parte del ricavato di un terreno che avevano venduto. Leggiamo:

 Un uomo di nome Anania, con sua moglie Saffìra, vendette un terreno e, tenuta per sé, d’accordo con la moglie, una parte del ricavato, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: “Anania, perché Satana ti ha riempito il cuore, cosicché hai mentito allo Spirito Santo e hai trattenuto una parte del ricavato del campo? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e l’importo della vendita non era forse a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio”. All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. Un grande timore si diffuse in tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i giovani, lo avvolsero, lo portarono fuori e lo seppellirono (At 5,1-6).

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UNA QUESTIONE DI CUORE

Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

Il cuore nella Sacra Scrittura e nella mentalità israelitica anche al tempo di Gesù, non era considerato la sede degli affetti, ma della coscienza, delle scelte profonde e definitive dell’uomo. Oggi potremmo dire che il cuore per la Sacra Scrittura è il centro delle attenzioni e delle preoccupazioni dell’uomo.
Per questo la provocazione che sorge per noi da questa affermazione di Gesù è questa: cos’è che ritengo assolutamente prezioso per la mia esistenza? Qual è il centro dei miei pensieri, delle mie attenzioni? Chi ha l’assoluta priorità nella mia vita?
Rispondendo a queste semplici domande potremmo seriamente capire se stiamo davvero vivendo il Vangelo di Cristo, oppure quello nostro, dei nostri affetti e desideri, il vangelo di questo mondo egoistico ed egolatrico. Se la risposta a questa domanda riguarda gli affetti della nostra vita, ricordiamo quello che in un altro momento il Signore disse:

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Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me (Mt 10, 37).

Abbiamo approfondito questo insegnamento di Gesù: è possibile leggerlo al link qui in basso:

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L’amore totalizzante

Perché questa severità da parte di Gesù? È semplice: solo nella misura in cui riusciremo a fare della nostra relazione con Dio un assoluto per il nostro cuore, riusciremo a prenderci cura dei nostri cari. È lui che ci insegna come essere sua immagine e somiglianza (Cfr. Gen 1,26): solo lui che è l’Amore per eccellenza, ci può insegnare ad amare il nostro prossimo.
Dal fare del cielo il nostro tesoro, discendono come a cascata tutti i beni spirituali e le grazie di cui abbiamo bisogno. Solo amando con questo amore potremo evitare gli orrori più indicibili di questa vita, come l’infanticidio per opera proprio di colei che mette al mondo. Dove i figli non vengono intesi come impedimento alla propria realizzazione personale, né soggetti-oggetti su cui sfogare la propria rabbia per una relazione coniugale fallimentare.

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La cronaca di questi giorni ha acceso l’incubo, il dolore, di una piccola bambina di 5 anni nel catanese, uccisa per ripicca della madre verso il coniuge col quale si era separata. Ma Elena del Pozzo resta soltanto l’ultima delle tante vittime innocenti, uccise da chi le ha messe al mondo.
Per questa ragione non possiamo esimerci dal compito di cogliere l’esortazione di Cristo e urlare al mondo che esiste un solo modo per amare veramente chi ci è accanto, ed è quello di imparare prima ad amare Dio, saper dare priorità alla nostra vita e ai nostri affetti.
Diciamocelo: una società senza Dio è una società votata alla morte, e quella del suicidio assistito che ormai anche senza una vera legge è stata introdotta anche in Italia, vedi il caso di Federico Carboni.

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L’uomo ha bisogno di Dio per riscoprire la grandezza della sua dignità costituzionale e sociale, ma chiamati a questo compito siamo ognuno di noi: cristiani frequentatori di sacrestia che non raramente amiamo le comodità dei salotti, lasciando vuote le strade dei nostri quartieri dove poter portare un annuncio che riaccenda la vita a chi ha perso ogni punto di riferimento, ogni speranza in questa vita.
Ben a ragione il cantante romano, tanto trasgressivo da non dimenticare di pronunciarsi convinto nella sua fede cristiana, Renato Zero, nella sua iconica canzone “Potrebbe essere Dio” invita i suoi fan con queste parole:

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Se mai, un Dio, non ce l’hai,
io ti presenterò il mio…
Dove abita, io non saprei…
Magari in un cuore, in un atto d’amore,
nel tuo immenso io, c’è Dio!!
Riporta Dio, dove nascerai,
la dove morirai…
Riporta Dio nella fabbrica,
nei sogni più avari che fai… (Renato Zero, Potrebbe essere Dio)

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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