La risurrezione di Lazzaro e il coinvolgimento concreto del cristiano del III millennio

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui (Gv 11,1-45).

CONTESTO
La liturgia della Parola nelle domeniche di quaresima, ci introducono gradualmente al mistero pasquale di Cristo, vero Dio e vero uomo. Per questa ragione dopo aver compreso che lui sia l’unico datore di acqua viva che placa ogni nostra sete e appetito (Cfr. Gv 4,5-42), e sia lui la vera luce del mondo (Cfr. Gv 9,1-41; vedi link in basso), adesso viene presentato come vita del mondo, proprio attraverso la risurrezione di un suo caro amico: Lazzaro di Betania.

BETANIA: CASA D’ACCOGLIENZA
Se nel Vangelo di Marco, abbiamo visto come Cafarnao sia un po’ la sua seconda casa, e quasi diventa la base operativa dalla quale progettare sistematicamente il suo ministero (giusto per fare un esempio, rimandiamo al link in basso), per ‘evangelista Giovanni Betania occupa un posto privilegiato nel cuore del Messia. Questo non solo perché vi ci abita una famiglia alla quale è particolarmente legato, ma perché non molto distante da lì predicava il suo parente Giovanni Battista (Cfr. Gv 1,19-28).

L’importanza di questo legame che unisce Gesù ai fratelli di Betania viene anche ripreso dall’evangelista Luca il quale, benché non menzioni il nome della città, rivela il coraggio di Marta di ospitare nella sua casa non solo Gesù, ma anche tutti i suoi apostoli (Cfr. Lc 10,38-42; vedi link), mentre sua sorella, quale vera discepola (al discepolato femminile abbiamo dedicato un articolo, clicca sul link in basso), ai piedi del Maestro ascolta i suoi insegnamenti.

L’AMORE DEL MAESTRO PER MARTA, MARIA E LAZZARO
Che Gesù, poi, sia coinvolto affettivamente, con vincoli di vera stima e amicizia, nei confronti dei fratelli di Betania, viene subito rivelato dall’evangelista:

Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro.

Riteniamo importante sottolineare la qualità dell’affetto che legava il Nazareno a questa famiglia. In effetti l’evangelista precisa che il tipo di amore che lo lega ad essi, non è semplicemente un affetto amicale (il quale per sussistere è necessario che due persone si ritengano amiche), ma un vero e proprio amore profondo, viscerale, oblativo e gratuito.
Il tema dell’amore è particolarmente importante all’interno del quarto Vangelo. Basta ricordare il dialogo che intercorrerà tra Pietro e il Risorto lungo la riva del mare di Tiberiade:

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Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo, per la seconda volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pascola le mie pecore”. Gli disse per la terza volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”, e gli disse: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecore (Gv 21,15-17).

La differenza dei sentimenti di Pietro e Gesù, è che il primo rivela di provare per lui un amore amicale (φιλῶ), e in quanto tale condizionato all’altro, mentre il Risorto gli chiede se per lui ha sentimenti agapici, che sono altra cosa (proprio quello che prova per i fratelli di Betania). Per un maggiore approfondimento, rimandiamo al link in basso.

IL CORAGGIO DEL MAESTRO
Gesù che ormai si era lasciato alle spalle l’ortodossissima Giudea, con una condanna di morte che già gli pendeva sulla testa, per il legame che lo unisce ai fratelli di Betania, sfida i suoi avversari e senza esitazioni torna sui suoi passi. Abbiamo infatti letto le rimostranze di coloro che lo seguivano:

I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».

Il riferimento viene raccontato giusto non molti versetti prima, con preciso nella seconda metà del decimo capitolo, quando di fronte all’auto rivelazione del Nazareno, quale Figlio di Dio, c’era chi voleva metterlo a morte (Cfr. Gv 10,22-39; vedi link in basso).

Nonostante la pena di morte che già, agli inizi del suo ministero, pesa sulla sua testa, Gesù per il forte affetto che lo lega ai fratelli di Betania, sfida il pericolo incombente sulla sua testa e decide di tornare sui suoi passi.

UNA SOFFERENZA GLORIFICANTE
Quello che di questo brano stupisce, fin dalle sue prime battute, è che non appena Gesù viene a sapere della gravità fisica nella quale versa il suo caro amico Lazzaro, non si fionda subito verso la sua casa, ma tergiversa, si prende del tempo, diversamente da come ci aspetteremmo visto il legame che lo unisce a quella famiglia.

Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava.

Il motivo di questo gesto così inconsueto e incomprensibile, viene rivelato poco prima:

Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato.

L’atteggiamento procrastinante di Gesù da un lato viene compreso dal lettore che si aspetta il miracolo da un momento all’altro, ma si rivelerà ingiustificato per le sorelle di Lazzaro che si sarebbero aspettate un intervento più repentino da parte del loro amico di Nazareth.
In effetti al suo arrivo, Marta gli va incontro con tante domande nel cuore, mentre Maria resta seduta in casa sua.

Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 

Ora, al di là del fatto, che già sappiamo che Lazzaro tornerà da lì a qualche momento alla vita, resta per noi forte la provocazione dell’atteggiamento di Gesù che non corre a soccorrere Lazzaro mentre era ancora malato. Dopotutto l’evangelista lo ha reso noto: Gesù non era molto distante da Betania, sarebbe potuto arrivarci in poco tempo.

Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri

I fratelli di Betania stanno per fare esperienza di qualcosa di davvero grande, inaudito: quella risurrezione dai morti della quale molti Giudei non credevano nemmeno più – basti vedere la polemica dei sadducei e la trappola tesa al maestro (Cfr. Lc 20,27-38; vedi link in basso) –, ma perché questo accada, devono scendere nell’abisso del loro dolore, fino a raggiungere quello che molto paganamente, ancora oggi, si ritiene essere una via senza uscita: la morte.

Questo particolare passaggio del Vangelo risulta essere molto attuale per noi cristiani del III millennio che viviamo di consumismo sfrenato, di quel tutto e subito possibile nella misura in cui si è disposti a sborsare qualche centesimo in più. Con Dio, però, questo modo di fare non può funzionare. Spesso invece è proprio attraversando i nostri deserti, le notti buie dell’anima, le dure prove della vita, che possiamo fare esperienza della sua grazia.
Come abbiamo visto la scorsa settimana con la guarigione del cieco di Gerusalemme (Cfr. Gv 9,1-41; vedi link in basso), per Gesù la sofferenza acquista un tutt’altro valore: essa non è più una conseguenza del peccato, una punizione divina, ma un’opportunità perché attraverso di essa splenda la grazia di Dio che illumina ogni uomo e diventi opportunità di redenzione personale e comunitaria.

È proprio quello che accade a Betania, dove la morte di Lazzaro e la sofferenza provata tra le sue mura domestiche, diventano opportunità di salvezza non solo per i fratelli, ma anche per tutta quella serie di persone che erano arrivate alla casa di Marta e Maria per consolarle nella sofferenza e che alla fine giungono alla vera fede nel Cristo di Dio. In effetti, il brano si conclude con queste parole:

Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Meditando su questo racconto, dunque, siamo chiamati a riconoscere che morte e sofferenza non possono essere nella nostra vita una sorta di tabù da evitare ad ogni costo, ma realtà importanti che possono essere riempite di senso e significatività e che, ancor di più, possono diventare opportunità di redenzione per tante persone.

USCIRE DAI LUOGHI DI MORTE
Un’ulteriore provocazione, la cogliamo nel modo in cui Gesù fa tornare Lazzaro alla vita. Non fa prima uscire il feretro dal sepolcro e gli dà vita, ma fa arrivare la sua vita dentro quel luogo di morte e putrefazione. Rileggiamo:

Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

Togliere il masso sepolcrale, ridare la vita e liberare dalle bende, sono i verbi che prendiamo in considerazione: quelli che permettono al defunto Lazzaro di tornare in vita e riprendere le sue relazioni.
Si tratta di gesti che non possono non coinvolgerci soprattutto in questa epoca così difficile che viviamo. Anche noi, a imitazione di Gesù, siamo chiamati a togliere le pietre sepolcrali di tanti nostri fratelli chiusi a vere relazioni fraterne che preferiscono l’olezzo di morte e putridume dei loro angusti luoghi chiusi. Al contrario, non ci stanchiamo mai di ripeterlo, sono proprio la qualità delle nostre relazioni (fondate sulla misericordia e sulla fraternità a portarci alla luce, alla vita e alla salvezza eterna). Qui di seguito riportiamo i commenti solo ad alcuni insegnamenti di Gesù in merito:

Solo una volta che all’uomo di oggi verrà data l’opportunità di uscire dagli spazi angusti dei suoi recinti tanto sicuri quanto asfissianti, allora questo potrà tornare a sperimentare la vita vera, quella che implica relazioni non necessariamente sempre facili. Solo allora, potrà ritenersi un uomo davvero libero dalle bende dei pregiudizi che lo tenevano legato monoliticamente a se stesso, schiavo di un’idea di sicurezza che non gli ha impedito la morte.
Ecco dunque, che oggi guardando Gesù siamo sì chiamati a riconoscerlo come la vita vera, il liberatore dalle nostre schiavitù, ma a partire da questa consapevolezza siamo chiamati all’imitazione, a fare lo stesso, e, nel nostro piccolo, essere capaci di liberare i nostri fratelli che si precludono alla vita vera per paura di soffrire, incapaci di relazioni sane e liberatrici, preferendo una non vita che non solo condurrà alla morte, ma anche, molto probabilmente, alla condanna eterna.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)