In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagòghe della Giudea (Lc 4,38-44).
CONTESTO
Il brano del vangelo di oggi è l’esatta prosecuzione di quanto meditato ieri (Cfr. Lc 4,31-37; vedi link in basso).
Ci troviamo sempre agli esordi del ministero messianico-itinerante del Nazareno. Egli giunge a Cafarnao, dopo il fallimento nella sua città natale: Nazareth.
Come abbiamo visto nell’approfondimento di ieri, e ancora di più in quello odierno, la predicazione a Cafarnao si rivela particolarmente fruttuosa, tanto che il suo messaggio fa breccia nel cuore dei cittadini e rivela subito chi sta dalla parte di Dio e chi dalla parte avversa.
In particolare il brano evangelico odierno, ci rivela quello che accade subito dopo la predicazione e l’esorcismo dell’uomo posseduto nella sinagoga della città.
IL PESO DELLA PAROLA DI CRISTO
Cafarnao è per Gesù la sua seconda patria, qui vi si reca spessissimo. L’accoglienza calorosa della gente e lo spazio che riescono a dare nel loro cuore alla parola del Messia, permettono a quest’ultimo di tornare con piacere tra le sue mura.

Dopo il tempo passato nel luogo di culto ebraico di quella città, Gesù viene invitato nella casa del primo tra gli Apostoli, evidentemente col chiaro intento di essere di aiuto alla suocera allettata. Qui avverrà il secondo miracolo di Gesù: non più una liberazione da uno spirito impuro, ma una guarigione vera e propria. Come con un semplice comando vocale aveva liberato l’uomo nella sinagoga dal suo male spirituale, così avviene per la suocera di Pietro, che viene guarita grazie alla parola del Maestro.
Questo non può non portarci che alla prima provocazione per noi oggi: che peso diamo nella nostra vita alla Parola di Dio? La riteniamo fonte di guarigione e liberazione spirituale? Cerchiamo di meditare la sacra Scrittura, di approfondire cosa Dio intenda dirci nella liturgia della Parola del giorno?
Non ci troviamo di fronte a qualcosa di trascurabile, al contrario. Satana conosce alla perfezione le Scritture e proprio tramite la distorsione di esse, cercò di tentare Gesù nel deserto. Quest’ultimo, dal canto suo, riuscì a liberarsi dai trabocchetti lanciatigli proprio grazie alla più ortodossa comprensione delle stesse. Si aprì proprio così il quarto capitolo del Vangelo secondo Luca:

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In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato (Lc 4,1-13) .
LA SUOCERA DI PIETRO
Non sappiamo molto di questa donna, se non per il fatto che a causa della sua malattia doveva aver fatto preoccupare molta gente. Infatti abbiamo letto:
La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei.
Non è il solo Pietro a chiedere a Gesù una guarigione per la povera donna, ma c’è tutta una comunità che le vuole bene, che in sinagoga, evidentemente, ha pregato per lei e che ora, preoccupata, chiede l’intervento di quel Nazareno che ha toccato le corde del loro cuore con la sua predicazione.
Non sappiamo cosa abbia fatto di straordinario questa donna per meritarsi tanto affetto da tutta la comunità, ma possiamo immaginarlo da quello che fa una volta guarita:
E subito si alzò in piedi e li serviva.
Da quello che l’evangelista ci fa comprendere, è che questa sia una donna di poche parole ma tanta sostanza. Una di quelle che non si perde nel chiacchiericcio e nei pettegolezzi, ma subito, cioè senza perdere tempo, serve, si mette al servizio. Abbiamo di fronte una donna silenziosa, dal cuore grande, che ha fatto del suo amore verso il prossimo la sua più grande eloquenza. Ecco, allora, il segreto per cui è tanto amata dalla comunità di Cafarnao e persino da suo genero.
QUELLO CHE L’ANONIMA SIGNORA CI INSEGNA
La seconda provocazione per tutti noi, oggi, è proprio questa: se desideriamo essere riconosciuti, stimati, apprezzati e amati dal nostro prossimo, noi dobbiamo essere i primi a mettere in circolo l’amore, quello gratuito che non si perde in chiacchiere. Ma non solo. Questa donna così silenziosa, ci ricorda anche che l’amore e il servizio al prossimo non possono essere un optional per la nostra vita, ma sono una vera e propria urgenza.
Riteniamo anche interessante il verbo che l’evangelista usa per indicare la donna che si alza dal suo giaciglio: ἀναστᾶσα. È lo stesso verbo che viene usato per indicare la risurrezione di Cristo.
Da qui un’ulteriore provocazione: solo coloro che hanno fatto esperienza della forza vivificante del Signore, solo coloro che sono risorti dalla morte dei loro peccati, pettegolezzi e mormorazioni possono davvero amare il prossimo come Cristo si attende da noi.
Oggi come allora la Chiesa e il mondo ha bisogno di donne come la suocera di Pietro. Cristiane coraggiose che, attraverso servizio alla famiglia, alla Chiesa e agli altri, sono diventate, secondo le parole dell’Apostolo Paolo:
Sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Rm 12,11).




Oggi, come ai tempi di Gesù, l’immobilismo fisico, psichico, spirituale e morale di tanti cristiani è indice di una malattia interiore che necessita di essere sanata il prima possibile. Riteniamo solo una comoda mistificazione quella di chi si ritiene tutta di un pezzo e non cambia mai idea su persone, realtà e situazioni. I cristiani sono veramente tali, quando si mettono in cammino verso l’altro. Sono quelli che non si arrendono alle prime difficoltà, né di fronte ai pregiudizi. Sono quelli che riconoscono che ci sono più cose da scoprire su Dio e il mondo, di quello che si pensa di sapere già.
ANCHE GESÙ ERA INFATICABILE NEL SERVIRE
Guardando la suocera di Pietro non possiamo non considerare come ella, pur non conoscendolo, abbia vissuto una vita sul modello di Cristo. In effetti anche quest’ultimo si rivela sempre pronto e accogliente con chiunque bussi alla porta della sua vita. Continua infatti così il brano evangelico:
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Bisogna considerare che il Maestro aveva avuto fino a questo momento una giornata piuttosto pesante: aveva predicato nella sinagoga, esorcizzato un uomo e guarito la suocera di Pietro, eppure non si tira indietro di fronte alle fatiche del giorno ormai in declino.
Anche in questo caso, come nella sinagoga, non permette agli spiriti impuri di parlare. In effetti per quanto facciano la loro impeccabile professione di fede, essi stanno semplicemente facendo un pettegolezzo sul suo conto, per questo Gesù chiude loro la bocca senza troppi giri di parole, intima loro il silenzio e li caccia via: lontani da sé e dagli altri. Questo tipo di “ecologia” della parola è quella alla quale siamo chiamati, non facendoci complici di quegli spiriti impuri che vivono di mormorazioni, giudizi, pregiudizi e pettegolezzi.
SENZA LA PREGHIERA TUTTO DIVENTA INUTILE
Per Gesù la preghiera ricopriva un ruolo fondamentale: non la trascurava mai. L’evangelista Luca, in modo particolare, ci presenta più volte Gesù che si ritira in luoghi isolati per pregare, e spesso lo fa per tutta la notte. In questo caso, però, egli si ritira quando sta per iniziare il giorno e il mondo sta per essere illuminato dall’aurora.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto.
Gesù non si lascia risucchiare da un attivismo efficace, ma dà ad ogni cosa il giusto peso. Per quanto possa essere bello farsi accogliere a casa delle persone, e per quanto si possa rivelare appagante liberare e guarire la gente, riconosce che il primato del suo tempo è da dedicare alla preghiera: è da essa che provengono tutti suoi insegnamenti e i suoi prodigi, non il contrario.
Ci troviamo di fronte a una importante provocazione per tutti noi: riconoscere che non possiamo farci risucchiare dalla frenesia della vita, perché questa prosciugherà inevitabilmente le nostre energie e non necessariamente ci salverà l’anima. Per noi carmelitani, poi, questa dimensione contemplativa della vita, a imitazione di Gesù, è davvero centrale, tanto che le nostre Costituzioni che è già essa la sintesi di tutto il nostro servizio alla Chiesa:
«Noi Carmelitani dobbiamo realizzare la nostra missione in mezzo al popolo prima di tutto con la ricchezza della nostra vita contemplativa» (Ordine dei Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, Costituzioni, n. 92).
LA CATTOLICITÀ DELL’AMOR CRISTIANO
Il brano si conclude con Gesù che lascia Cafarnao quando in quella città ormai era diventato popolarissimo. Egli non cerca il prestigio personale, ma la salvezza delle persone e perché questo avvenga deve fare in modo che tutti possano ascoltare quello che ha da dire: il presentare il volto di un Dio che è Padre buono e tenero. La figura del rabbì di Nazareth, in questo modo, non resta recluso all’interno di un contesto cittadino, di periferia, ma si estende in tutto il territorio di Israele, e poi anche oltre, grazie a quella che sarà anche la collaborazione dei discepoli e degli apostoli.
Anche questo diventa per noi un ulteriore invito a fuggire la logica del dominio all’interno delle comunità ecclesiali, raccogliere invece l’eredità apostolica della missionarietà come priorità per la nostra vita cristiana. Dopotutto, possiamo ben dirlo, il frutto della preghiera di Gesù è proprio la comprensione di lasciare Cafarnao e dirigersi altrove. Allora domandiamoci: quali sono i frutti della nostra vita cristiana? Delle tante nostre preghiere,’ delle celebrazioni delle Sante Messe? A cosa ci stanno portando? Ricordiamo, infatti, che una vita spirituale che diventa sterile di frutti di fraternità, non solo è inutile, ma addirittura dannoso, comporta quello che sarà la maledizione di Gesù all’albero di fichi (Cfr. Mc 11,12-24, vedi anche ai link qui in basso).




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