Cos’ha a che vedere lo scandalizzarsi di Giuda a Betania con chi si lamenta degli ori nelle chiese?

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali.
Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.
Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.
Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù (Gv 12,1-11). 

CONTESTO
Il brano evangelico che oggi ci offre la Liturgia della Parola, ci fa tornare a Betania, lì dove Gesù si era recato non molto tempo prima, per la risurrezione del suo amico Lazzaro (Cfr. Gv 11,1-45; clicca sul link in basso per approfondire).

IL CRESCENTE INASPRIMENTO DEGLI AVVERSARI DI GESÙ
Su Gesù già pendeva una condanna a morte, decretata dai suoi avversari perché aveva osato chiamare Dio col titolo di Padre., tant’è che i discepoli mettono in guardia il maestro di tornare nella regione della Giudea per non fare una brutta fine. In quella circostanza, infatti, abbiamo letto:

Poi disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”. I discepoli gli dissero: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?” (Gv 11,7-8).

Da qui, dunque, l’amara constatazione dell’apostolo Tommaso quando apprende che niente e nessuno avrebbe fermato Gesù dal tornare in una terra tanto ostile:

Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11,16).

Gesù, come abbiamo visto, non teme niente e nessuno e invita anche i suoi discepoli a fare lo stesso. Infatti l’evangelista Matteo raccoglie una massima del Maestro molto interessante e sempre attuale per i cristiani di tutte le epoche:

E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo (Mt 10,28).

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Tuttavia dalla risurrezione di Lazzaro, gli avversari di Gesù si inaspriscono ancora di più contro di lui, tanto che quando i farisei riporteranno al sinedrio l’evento, la casta sacerdotale comincerà a progettare un piano di eliminazione del Nazareno. La strategia sarà proprio quella del capro espiatorio (e che in qualche modo, rientra anche nel piano salvifico divino, benché con una significatività completamente diversa, ben più alta e decisamente meno becera e meschina). Leggiamo infatti sempre nell’undicesimo capitolo del Vangelo secondo Giovanni:

Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: “Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo (Gv 11,45-53).

Il dodicesimo capitolo, poi, annota un’ulteriore presa di posizione da parte dei capi dei sacerdoti, i quali si vedevano sempre più privare di uomini di fede che aderivano al Cristo e si univano al suo gruppo di discepoli. Infatti il brano odierno si conclude con la decisione di eliminare persino Lazzaro, testimone vivente che Gesù è il Figlio del Dio dei viventi (Cfr. Lc 20,38; approfondisci al link in basso).

LA POLEMICA DI GIUDA
Alla vista di colui che ha riportato il fratello in vita e ridato gioia alla vita famigliare, le sorelle di Lazzaro non si fanno sfuggire l’opportunità di mettersi al servizio del Maestro nazareno e dei suoi discepoli:

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali.
Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.

Ed è proprio il gesto di Maria che indigna l’Iscariota, il quale al vedere lo spreco del tanto e preziosissimo olio di nardo usato per ungere e profumare i piedi di Gesù afferma:

Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?».

Ora, al di là dell’annotazione dell’evangelista che spiega le vere motivazioni di colui che di lì a poco avrebbe venduto la vita del Maestro per una manciata di monete, quello che colpisce è quanto siano attuali le sue parole. Egli infatti lamenta lo spreco commesso da Maria di Betania, quando quell’olio se venduto avrebbe potuto fruttare denaro da orientare in maniera diversa, sicuramente più fruttuosa.

Le parole di Giuda, spesso si trovano anche sulle labbra di tanti cristiani che con commenti simili si lamentano dell’oro che decorano determinate chiese cristiane che godono di particolare venerazione. Sfarzo che proviene dalla generosità di fedeli che non hanno paura di “sprecare” i propri beni in favore del Signore, ma giudicati in maniera indegna da chi poi di quella bellezza ne gode accedendo al luogo sacro. Dopotutto il tema dell’amore è tutto tranne che sostenibile, volendo utilizzare un linguaggio particolarmente in voga in questi ultimi anni. Se questo, infatti, cede alle logiche del calcolo e delle statistiche, smette di per se stesso ad essere amore.
Giudicare chi dona a Dio quanto ha di più prezioso, non ci rende affatto diversi da Giuda, che ha una visione immanente e funzionale dell’amore. Eppure esso per essere tale è tutto tranne che funzionale, legato alle logiche del mercato, del do ut des.
Se questo è vero nella nostra relazione con Dio, e col mondo della sacralità cultuale, è vero anche nelle nostre relazioni fraterne. Come pensiamo di poter amare veramente il nostro prossimo, come ci insegna Gesù (Cfr. Lc 10,25-37; approfondisci al link in basso)
, e poi riflettere se davvero valga la pena farlo, calcolare eventuali perdite date da un rifiuto, o i guadagni se siano in grado di coprire la spesa di un primo passo?

Versando tutta la boccetta dell’olio di nardo, Maria di Betania ci invita a donarci senza riserve, con tutto quello che siamo e che abbiamo, a Cristo e ai fratelli.
C’è un passo molto illuminante riguardo questo tema: è narrato negli Atti degli apostoli, allorquando la prima comunità nascente cominciò a sentire l’esigenza di mettere tutte le proprie sostanze economiche in comune, per potersi sostenere nella carità vicendevole e verso i poveri.
Tra loro però c’erano anche una coppia di coniugi: Anania e Saffira. Essi, vendendo un campo di loro proprietà, decisero di tenere per sé una parte del ricavato e la restante parte darla agli apostoli. Dura sarà la reazione di Pietro che li giudicherà rei di essere stati ingannati da Satana, per poi spirare improvvisamente.

Un uomo di nome Anania, con sua moglie Saffìra, vendette un terreno e, tenuta per sé, d’accordo con la moglie, una parte del ricavato, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: “Anania, perché Satana ti ha riempito il cuore, cosicché hai mentito allo Spirito Santo e hai trattenuto una parte del ricavato del campo? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e l’importo della vendita non era forse a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio”. All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. Un grande timore si diffuse in tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i giovani, lo avvolsero, lo portarono fuori e lo seppellirono (At 5,1-6).

Sul tema dell’avidità, abbiamo dedicato un articolo del nostro blog, lo riportiamo in basso, così che chi volesse potrà leggerlo cliccandoci sopra.

A confermare la necessità di donarsi agli altri e per gli altri in maniera totalitaria, si pongono le parole di Gesù il quale, sorvolando sulle vere intenzioni di Giuda afferma:

Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».

Le sue parole sono valide non solo nelle nostre relazioni con lui, ma anche con il nostro stesso prossimo. In qualche modo Gesù è come se ci dicesse che è oggi che abbiamo l’opportunità di amare il nostro prossimo, facendo il nostro dovere di cristiani, e che domani potrebbe essere già troppo tardi per cui dovremo poi renderne conto.

DALLA PREGHIERA DI UN GIOVANE SEMINARISTA
Riportiamo qui di seguito la preghiera di Alessandro Galimberti, un seminarista della Brianza morto prematuramente, all’età di ventiquattro anni, per una forma tanto rara quanto aggressiva di leucemia. Tra i suoi tanti scritti di carattere spirituale che consegnava ai giovani dell’oratorio per aiutarli nel loro cammino spirituale, spicca una particolare preghiera, dal titolo “Barattolo di Nardo”, che riportiamo qui di seguito e con la quale concludiamo il nostro articolo.

Barattolo di nardo
Signore Gesù,
voglio essere per te
come quel barattolino di olio di nardo
che Maria riversò sui tuoi piedi.
Voglio essere come nardo
per camminare con te,
amare con te le persone che incontriamo quotidianamente;
voglio essere strumento di rivelazione della tua presenza.
Dal mio profumo tutti devono sentire che tu sei qui.
Dal mio profumo tutti si devono accorgere della tua presenza,
del tuo amore.
Consumami tutto Signore;
non lasciare che nessuna goccia vada sprecata.
Riversami dove tu vuoi;
fa’ che il mio agire, il mio diffondere la tua presenza
parta sempre da te e non avvicini amori fatui, amori leggeri.
Io come quell’olio e come Maria ho scelto la parte migliore
che non mi verrà tolta.
Aiutami ad afferrarti Gesù.
Non permettere che la vita e i suoi buffi e strani andamenti mi stacchino da te.
Ho trovato un tesoro, una perla preziosa;
non posso sprecare una così bella e grande occasione.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)