Perché Maria meditava nel suo cuore tutto quello che le capitava?

UNA SOLENNITÀ MARIANA PER INIZIARE IL NUOVO ANNO
Come ogni anno, anche questo, inizia sotto il segno della Vergine Maria. La Chiesa ha deciso di dedicare a lei, venerandola sotto il titolo di Madre di Dio, gli albori dell’anno che inizia. Sotto il suo manto, con gli auspici di un anno foriero di nuove grazie per l’uomo, dedichiamo a lei la primizia del nostro tempo perché come si mostri anche per noi Madre di eterna tenerezza.
Benché la Chiesa celebrasse, e riconoscesse, Maria come Madre di Dio, Theotòkos, già dal 431 con il Concilio di Efeso, la collocazione di questa solennità al primo gennaio ha avuto una lunga genesi, dovuto all’evoluzione del calendario romano. Fu infatti solo nel 1969, a seguito della riforma liturgica che attuò i decreti del Concilio Vaticano II, che si fissò la data per questa celebrazione all’inizio dell’anno.
Perché si scelse questa data così evocativa? Perché già a partire dal VII secolo si celebrava una memoria della Beata Vergine Maria, denominata Natale Sanctae Mariae. Certamente non si trattava di una solennità, ma di una semplice commemorazione che esaltava la verginità di Maria.
La collocazione solenne della celebrazione della Madre di Dio, al primo gennaio, viene così elaborata da Papa Paolo VI nella sua esortazione apostolica Marialis cultus:

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Il tempo di Natale costituisce una prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica, di colei la cui illibata verginità diede al mondo il Salvatore: infatti, nella solennità del Natale del Signore, la Chiesa, mentre adora il Salvatore, ne venera la Madre gloriosa; nella Epifania del Signore, mentre celebra la vocazione universale alla salvezza, contempla la Vergine come vera Sede della Sapienza e vera Madre del Re, la quale presenta all’adorazione dei Magi il Redentore di tutte le genti (cfr Mt 2,11); e nella Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (domenica fra l’ottava di Natale) riguarda con profonda riverenza la santa vita che conducono nella casa di Nazaret Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Maria, sua Madre, e Giuseppe, uomo giusto (cfr Mt 1,19).
Nel ricomposto ordinamento del periodo natalizio Ci sembra che la comune attenzione debba essere rivolta alla ripristinata solennità di Maria Ss. Madre di Dio; essa, collocata secondo l’antico suggerimento della Liturgia dell’Urbe al primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la Madre santa… per mezzo della quale abbiamo ricevuto… l’Autore della vita; ed è, altresì, un’occasione propizia per rinnovare l’adorazione al neonato Principe della Pace, per riascoltare il lieto annuncio angelico (cfr Lc 2,14), per implorare da Dio, mediatrice la Regina della Pace, il dono supremo della pace. Per questo, nella felice coincidenza dell’Ottava di Natale con il giorno augurale del primo gennaio, abbiamo istituito la Giornata mondiale della pace, che raccoglie crescenti adesioni e matura già nel cuore di molti uomini frutti di Pace.

Paolo VI, MArialis cultus, n. 5

Sottolineiamo l’attenzione cristologica, e cristocentrica, che la Chiesa dà a questa solennità, secondo, appunto, le affermazioni di Papa Paolo VI: celebrando Maria, Madre del Figlio di Dio incarnato, noi celebriamo Cristo che viene a noi come principe della Pace. Per questa ragione a questo giorno è correlata anche la giornata mondiale della pace.
Da qui per noi la prima provocazione: per pace certamente non si intende la sola assenza di guerre, ma di applicare uno stile di vita cristianamente sano che sappia fermare ogni forma di ingiustizia sociale e che si incarni in atteggiamenti pacati, sereni e comunionali fin dalle piccole cellule della nostra società: le famiglie e le comunità.
È questo, infatti, l’indirizzo che Papa Francesco dà quest’anno al suo consueto messaggio per la giornata mondiale della pace. Ne leggiamo uno stralcio tratta dalla conclusione:

Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a dedicarsi con generosità e responsabilità per garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e le loro famiglie.
Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, faccio appello affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il lavoro. Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li accompagni la benedizione del Dio della pace!

Papa Francesco, Messaggio PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE, 01.01.22

A partire da questa prospettiva cristologica, dunque, che possiamo cogliere in pienezza il senso della liturgia della Parola in cui si evidenzia l’importanza della grazia divina mediata da Mosè, per la prima lettura, e dalla Vergine Maria che dà alla luce il Messia, nella seconda lettura e nel Vangelo.

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I LETTURA
Dal libro dei Numeri (6,22-27)

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”.
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

Contesto
Ci troviamo all’interno del quarto libro di quella sezione biblica chiamata “Pentateuco” (cioè i suoi primi cinque libri). Insieme al libro del Levitico, quello dei Numeri raccoglie una serie di normative, leggi e disposizioni che Dio dà al popolo di Israele, mentre è in cammino verso la terra promessa, attraverso Mosè.
Il brano che la liturgia della Parola oggi offre alla nostra meditazione, in particolare, conclude il sesto capitolo che è di per sé molto evocativo, perché legifera come debba svolgersi il nazireato, cioè la consacrazione a Dio. Si tratta di un voto temporaneo che implica per il consacrato, una serie di rinunce per poter vivere in maniera più intima la sua unione con YHWH. Tra i vari nazirei che la Bibbia conosce, riportiamo il più famoso: Sansone. Egli si consacrò non solo per un certo periodo di tempo, ma per tutta la sua vita.
Al termine, dunque, della legiferazione circa il nazireato, il sesto capitolo del libro dei Numeri, si conclude con quella benedizione che rientra nella prima lettura di oggi.

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«Il Signore faccia risplendere per te il suo volto»
Cosa significa questa espressione? Nella lingua ebraica antica non esisteva un’espressione riguardante il sorriso, così vedendo come il volto di un uomo cambiava quando diventava allegro, gli si diceva che diventava luminoso (espressione che poi resta anche in italiano).
Mosè, dunque, facendo da tramite tra Dio e Aronne e ai suoi figli, che si occupavano della gestione liturgica e cultuale del popolo, spiega al fratello in quale modo dovrà benedire Israele
.
Qui, dunque, viene presentato un Dio diverso da quello che ci si sarebbe sempre aspettato, austero ed esigente, ma sorridente, allegro, gioioso. Ma non solo. Poiché è YHWH che insegna ad Aronne le parole che dovrà usare verso il popolo, questi dice che vuole essere ricordato e adorato da Israele nella sua giovialità, col volto luminoso e sorridente.
Impartendo la sua benedizione, Aronne, augura al popolo di essere motivo di allegria in Dio, capace di essere illuminato dal suo sorriso fiero e orgoglioso per il cammino degli israeliti.

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Da qui dunque emergono due provocazioni per ognuno di noi. La prima riguarda l’idea che abbiamo di Dio: se questa non combacia con la rivelazione biblica, sul modo cioè con cui Dio si è rivelato al mondo nel corso dei secoli, forse è il caso di fare una seria revisione della nostra vita, cercare di conoscerlo meglio adottando tutti gli strumenti possibili: dai sacramenti e la preghiera, a un approfondimento biblico e teologico attraverso la meditazione della Sacra Scrittura e la lettura di qualche buon libro. La seconda provocazione è più di tipo spirituale e riguarda la possibilità di rendere fiero Dio del nostro operato, della nostra vita cristiana.

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«Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace»
La benedizione che Dio “insegna” ad Aronne per mezzo di Mosè, non si propone al popolo come un augurio di prosperità economica, carrieristica o che riguardi la salute, il prestigio personale o la sicurezza di una vita lunga e comoda. Al contrario essa riguarda la possibilità di camminare alla luce benevola e gaudiosa di Dio. Conseguenza di questa benedizione è la pace. Ecco allora il senso di queste parole che concedono all’uomo ciò che è costantemente, e affannosamente alla ricerca: la pace, la serenità, la vita gioiosa, realizzata e piena di senso.
Il brano rivela che se Israele vuole vivere bene la sua esistenza, altro non deve cercare che l’amicizia con Dio, unica, e inesauribile, fonte della sua felicità. Ci troviamo di fronte a un vero e proprio invito a camminare costantemente alla presenza di Dio, renderlo vicino nelle scelte e nelle vicissitudini di ogni giorno. È, infatti, in lui, e nella sua amicizia, che viene riconosciuta la fonte della pace tanto dell’antico israelita, come del cristiano contemporaneo.

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II LETTURA
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati (4,4-7)

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

«Quando venne la pienezza del tempo»
Se per la mentalità greca il tempo si identificava in una costante ciclicità di eventi che si ripetevano, la teologia cristiana ha spezzato questa concezione rendendo il Chronos greco in Kairòs: luogo della rivelazione salvifica divina proteso non più all’eterna ciclicità, ma verso la sua fine, proteso, cioè, all’eternità. Per questo ogni istante di questo tempo è riempito di kairoi, eventi salvifici divini tra cui spicca, sommo tra tutti, e il più luminoso, l’evento pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Si situa all’interno di questa nuova concezione del tempo, anche l’evento della nascita di Cristo, che secondo Paolo avviene nella pienezza del tempo, cioè al momento opportuno.

Cosa significa questo? Significa che Israele invocava e attendeva da secoli la venuta del Messia liberatore che avesse preso le redini della nazione e ricondotta all’antica prosperità. Tuttavia questo avviene nella «pienezza del tempo», cioè al momento opportuno, quello stabilità da Dio che ha intessuto la sua grazia all’interno della storia degli uomini, così come emerge da quella lunga lista di nomi che è la genealogia di Cristo (vi invitiamo ad approfondirla nel link sottostante).

Ci troviamo di fronte a un importante insegnamento per tutti noi. Non raramente, infatti, la nostra preghiera è una supplica e chiediamo a Dio una grazia, un dono o un miracolo. Quando questa non arriva secondo i tempi che noi, anche un po’ superbamente, ci aspetteremmo, ecco che subentra lo scoraggiamento: “Dio non mi ascolta”, “A Dio non interessano le mie preghiere”, e così via.
Di certo siamo chiamati a non scoraggiarci e a non lasciarci prendere da queste considerazioni che hanno più che altro il sapore della ribellione e del piegare Dio ai nostri desideri, ma siamo anche invitati a non perdere la speranza. Dio interviene al momento opportuno, quando cioè la sua grazia sortisce per noi il massimo effetto.
Se da un lato, dunque, siamo chiamati a perseverare nella preghiera, seguendo gli insegnamenti di Gesù, d’altro canto siamo chiamati a non dimenticare quella bellissima supplica del Cristo al monte degli ulivi:

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Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione” (Lc 22,39-46).

Con la sua preghiera Gesù ci invita a rimetterci completamente nelle mani del Padre, a riconoscere il primato della sua volontà. Tuttavia dobbiamo riconoscere che non viene lasciato in balia del suo dolore, ma, come annota l’evangelista Luca, un angelo lo raggiunge per confortarlo. Siamo, dunque, chiamati anche noi a riconoscere tutte quelle volte in cui ci è sembrato di non restare esauditi nella preghiera, eppure la tenerezza di Dio, mediata il nostro prossimo, non c’è stata negata.

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Lo Spirito attesta la nostra adozione filiale
Da semplici creature il Padre ha deciso di elevarci allo stato di figli, e questo è avvenuto non quando l’uomo viveva nella grazia, ma nel peccato. Dalla consapevolezza di questo amore divino, immeritato per tutti noi, oggi siamo chiamati a vivere nella gratitudine alimentando le nostre relazioni nella fraternità.

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Vangelo
Dal vangelo secondo Luca (2,16-21)

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Giuseppe e Maria per divenire i genitori del Figlio di Dio, non vivono una vita da privilegiati, tutt’altro. La Madre dà alla luce Gesù in una stalla, fuori Betlemme perché, come l’evangelista Luca annota, per loro non c’era spazio nell’alloggio. Il contesto è quello di una vera e propria emarginazione sociale, che Gesù vivrà di nuovo a Gerusalemme, nella passione. Uno stato di fragilità, che però viene condiviso da Maria e Giuseppe che vedono venire alla luce il Figlio di Dio in un luogo destinato agli animali.

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L’atteggiamento dei pastori
Ad accoglierli, tuttavia, sono altre persone che vivono la loro stessa situazione di emarginazione: i pastori. Essi vivevano fuori la città per permettere il pascolo delle loro pecore. All’accogliere l’annuncio dell’angelo, essi si prostrano dinanzi al vero pastore, quello buono (Cfr. Gv 10,1-18).
La prima provocazione cogliamo da questo brano evangelico, è un invito alla solidarietà, non lasciamo che il nostro cuore si indurisca di fronte alle necessità degli altri: essere uomini e donne capaci di accoglienza fraterna.

Ma non solo. Loro vegliavano tutta la notte, facendo attenzione alle loro pecore, tuttavia all’annuncio dell’angelo lasciano tutto per accorrere alla grotta. Se prima la loro unica preoccupazione era diretta al loro unico mezzo di sostentamento, andando alla grotta impareranno che ci sono altre priorità nella vita. Sono arrivati a Cristo come pastori e se ne vanno da missionari. Gesù ha cambiato la loro vita e ha ridato un nuovo ordine alle loro priorità.
Ecco per noi la seconda provocazione per noi: riconoscere che il lavoro è una cosa importante, e con esso anche la carriera, il riconoscimento e la realizzazione personale, ma non è tutto. A cosa serve lavorare tutta una vita, per poi dannarsi l’anima ed ereditare infelicità eterna? Allo stesso modo se l’incontro con Cristo non mi cambia la vita, ogni domenica, vuol dire, allora, che qualcosa nel mio cammino di fede non sta funzionando, non sta andando nel verso giusto.

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L’atteggiamento di Maria
Se da un lato, dunque, stupisce questa radicale conversione d’intenti e priorità dei pastori, non meno interessante è l’atteggiamento della Vergine Maria. Di fronte alle ristrettezze della sua vita, al mistero iniquitatis dell’inospitalità dei betlemiti incapaci di fare spazio a una donna in procinto di dare alla luce, lei acquisisce un atteggiamento contemplativo, di fede. Rilegge quello che le sta capitando non da una prospettiva umana, che finirebbe per giustificare una ribellione nei riguardi di Dio, ma da quella di Dio, facendosi testimone della novità che suo figlio sta già portando in questo mondo, rinnovandolo interiormente.
La provocazione che cogliamo per la nostra vita cristiana, è quella di non cedere all’ideologia di poter godere di una certa aristocrazia spirituale: ho fede, per questo Dio deve preservarmi da ogni male. Maria non ha chiesto questo per sé, al contrario ella si è professata serva di Dio e, allo stesso tempo, ha potuto magnificarlo per le grandezze che ha compiuto nella sua vita.
Facendo di lei la nostra maestra di vita spirituale, oggi siamo chiamati a imparare a mettere i nostri piedi dietro i suoi e a scoprire il segreto di una vita bella e felice anche in mezzo alle difficoltà e alle sfide di ogni giorno. Da lei, oggi, impariamo che la nostra vita può avere due criteri di lettura: uno umano e uno teologico. Il primo resta sempre limitato e non comporta che conflitti con gli altri e con Dio. Il secondo è teologico, allora tutto il nostro tempo può diventare Kairòs, luogo della manifestazione della tenerezza divina, anche se non tutto è lineare e semplice come vorremmo.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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