Introduzione
La Chiesa oggi celebra la solennità di Ognissanti. Ma di chi si tratta? Di certo non di super uomini, di gente vissuta in un passato troppo lontano, magari anche mitizzata nelle storiografie. Ma di uomini e donne comuni, vissuti in ogni era della cristianità: dal protomartire Stefano all’ultimo canonizzato da Papa Francesco.
Si tratta di uomini e donne che hanno saputo cogliere il ripetuto invito di YHWH al popolo di Israele, riportato nel libro del Levitico:

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Poiché io sono il Signore, vostro Dio. Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo (Lv 11,44a-c)
Poiché io sono il Signore, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere il vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo (Lv 11,45)
Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo (Lv 19,1-2)
Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono il Signore, vostro Dio. Osservate le mie leggi e mettetele in pratica. Io sono il Signore che vi santifica (Lv 20,7-8)
Sarete santi per me (Lv 20,26a)
Secondo le parole di Dio a Mosè, la santificazione del popolo deve nascere come intima esigenza di fronte alla sperimentabilità del suo amore e della sua tenerezza. Di fronte all’amore di Dio che Israele ha sperimentato lungo gli anni nel deserto, il popolo sente l’urgenza di ricambiarlo imitandolo: facendosi santo (per quanto possibile) come lui. YHWH, come abbiamo visto, lo ripete in diversi modi e circostanze al popolo, indice che la sua volontà per il popolo non è semplicemente un capriccio, ma indica la strada perché il popolo stesso viva bene su questa terra, felice e in pace.

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L’amore, dopotutto, non lascia mai indifferenti, soprattutto quando lo riceviamo nella maniera più immeritata possibile. Allo stesso modo Israele, vedendosi amato, perdonato, provveduto decide di imitare Dio nella sua più intima essenza: nella santità dell’amore.
Gesù, cogliendo l’invito divino nel libro del Levitico, dirà ai suoi discepoli:
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36).
Abbiamo già avuto modo di ripeterlo in diverse circostanze: Gesù era davvero un uomo molto pratico (giusto per farne alcuni esempi rimandiamo ai seguenti articoli: “Cosa si aspetta Gesù dai cristiani del III millennio?” e “Servitori non re. La comunità secondo Gesù.“). E anche in questa ulteriore specificazione circa la santità divina, sfugge la possibilità di una rilettura individualistica, astratta, platonica o comunque di un semplice amore romantico. Per Gesù la santità si concretizza nella misericordia a imitazione del Padre. E perché questo risultasse per noi il più chiaro possibile, lo insegna nella preghiera del Padre nostro (per un approfondimento su questa preghiera rimandiamo ai seguenti articoli: “Per una recita più consapevole del Padre nostro” e “Consigli di Gesù per una preghiera gradita al Padre“):
E rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12).
Ben a ragione Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, sintetizzava tutta l’opera e la predicazione di Gesù nella misericordia:
Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio.
Francesco, Misericrdiae vultus, n. 1
Dalla misericordia, dunque, dalla qualità delle nostre relazioni interpersonali, dipende la nostra salvezza, la nostra santificazione alla quale oggi siamo chiamati e provocati.
Gesù par che ci dica, in altri termini: chi ama il suo prossimo, nessuno escluso, e ha un animo capace di riconciliazione, è già sulla buona strada per la sua santificazione.
Cosa significa questa festa?
Perché la Chiesa celebra oggi in maniera così solenne questa festa? Di certo i santi non hanno bisogno delle nostre preghiere, essi già godono della visione beatifica di Dio, diversamente dalle anime purganti per le quali pregheremo domani. Forse, allora, siamo noi che ne abbiamo bisogno, noi che ancora siamo su questa terra in cammino verso la patria del cielo. Sì, tutti abbiamo bisogno di almeno un santo al quale guardare: per chiedere di intercedere per noi, per proteggerci in una determinata situazione, ma anche semplicemente da guardare come modello di vita per raggiungere la felicità eterna. Per questo San Bernardo in uno dei suoi Discorsi affermava:
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
S. Bernanrdo abate, Discorsi, n. 2
Vangelo
Dopo questo lungo preambolo, veniamo, dunque, al Vangelo che la Chiesa oggi proclama solennemente.
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,7-12a).
Non è la prima volta che approfondiamo questo brano (vedi “Tristi e sconfitti per Cristo? Le Beatitudini“). Tuttavia se nel precedente nostro contributo abbiamo voluto rileggerlo come strada che porta a una gioia imperitura, oggi vogliamo capire perché la Chiesa ci invita a meditare proprio su di esso nella solennità di Ognissanti, e non magari qualche altro passo, magari sul discepolato o sulla passione di Gesù.
Nel suo insegnamento Gesù accosta tra loro situazioni contrastanti tra loro: l’invito a gioire a chi invece sta attualmente soffrendo. Qual è la provocazione alla quale sta chiamando i suoi uditori? L’invito è quello di trasfigurare il pianto in gioia: il vivere profondamente l’oggi con tutte le sue sfide, le sue prove, le sue sofferenze, senza, però, dimenticare di tenere ben alto lo sguardo.
Brillanti nell’oscurità, come una festa in Paradiso
Si tratta di riconoscere che Dio non è solo nell’alto dei cieli, ma anche su questa terra; di scoprire i semi di bellezza che sono attorno a noi, le piccole e fioche luci di speranza che illuminano il nostro cammino, anche quando siamo nella notte più oscura (vedi per esempio il nostro articolo “Per una fede che sia gioiosa anche nelle avversità“). In un’epoca segnata fortemente dalla pandemia che ci vuole tutti socialmente ben distanziati, in maniera paradossale, potremmo dire che il Signore ci vuole contagiosi. Sì, contagiosi di gioia e di speranza, essere fari o piccole fiammelle la cui luce ha senso solo nella misura in cui illumina il cammino dell’altro e lo accende della sua stessa luce.
Il titolo di questo paragrafo, è volutamente provocatorio, perché si tratta di parole prese da una canzone di successo di un cantautore italiano che potremmo definire “ateo in cammino”. Parliamo di Zucchero Fornaciari (per un approfondimento del suo cammino rimandiamo all’articolo di Niccolò Magnani del 8.12.2019 pubblicato sul giornale online “Il sussidiario.net“), che in effetti invita ad essere brillanti nell’oscurità: di certo capaci di una luce insufficiente se da sola, ma in grado di illuminare strade intere se insieme con altre.
Il processo di “gioificazione“
Oggi Gesù ce lo ripete nella maniera più provocatoria possibile: non c’è santità senza gioia!
La gioia è il preludio per una fede autentica, indice di una speranza che si rinnova, di una fede che diventa vera fiducia in un Dio buono e provvidente. Essa è di per se stessa contagiosa, prima e più efficace testimonianza del cristiano.
Perché un cristiano venga canonizzato nella Chiesa Cattolica, questo prima deve passare attraverso un processo di beatificazione (potremmo persino tradurlo, passi il termine, come gioificazione). Quanto ha da dirci questo? La Chiesa studiando la vita di un uomo e le sue virtù è chiamata a chiedersi se quell’uomo, o quella donna, sia stato felice nella sua vita. Ma dove pensiamo di arrivare se viviamo una vita da musoni, da disperati, da depressi?
Trasfigura il tuo pianto
Siamo pellegrini su una terra fragile, ma non abbandonati a noi stessi. Come ai discepoli di Emmaus, Cristo Risorto si fa nostro compagno di viaggio, ma per riconoscerlo nel viandante che ci affianca nel cammino, dobbiamo saper guardare questo mondo e la nostra vita con uno sguardo rinnovato.
Se ci si ferma alla cronaca nera, ai guai che ci affliggono, alle croci che pesano sulle nostra spalle e ai peccati che ci schiacciano, alla fin decidiamo di vivere solo metà della nostra esistenza e forse potremmo persino giustificare la nostra depressione. Tuttavia, la provocazione che oggi la Chiesa ci lancia è questa: quante volte abbiamo saputo riconoscere in chi ci era accanto, in chi ci ha dato la forza per andare avanti, in chi ci ha offerto una spalla su cui piangere, la mano provvidente di Dio? Quante volte abbiamo saputo riconoscere proprio negli sguardi di chi ci è accanto (coniuge, fratello, amico, membro della comunità, collega) la presenza premurosa di Dio? Quanti miracoli e quante grazie abbiamo voluto dare per scontato, ritenendole frutto del caso?
Ecco la provocazione dei “beati” di oggi: gente comune, madri e padri di famiglia, adolescenti, giovani bambini, consacrati e non, piegati dalla vita ma non spezzati. Gente che ha saputo sopportare l’oggi con tutte le sue difficoltà, ma senza perdere mai la speranza e il sorriso. Persone della porta accanto (Cfr. Francesco, Gaudete et exultate, n. 7; “Il Regno di Dio dentro un “mi piace”“, “Come compiere le opere di Cristo?“, “È possibile rendere Cristo fiero di noi?“) che hanno saputo a vivere su questa terra non come se non ci fosse un domani, ma proiettati in quell’eternità che hanno sperimentato già nell’oggi.
I santi, prima o poi è il caso che lo riconosciamo, non sono stati cristiani alienati, ma gente che ha deciso di sfuggire alla logica di questo mondo, per accogliere la logica del vangelo come unica via alla vera felicità qui e adesso, per goderne in maniera perfetta ed eterna nel regno dei cieli.
Allo stesso modo, i beati di cui parla Gesù, non sono masochisti che godono del dolore, ma uomini che hanno imparato a dare senso alle loro sofferenze, le hanno saputo accogliere, loro malgrado, per andare oltre ad esse, trasfigurarle, glorificarle.
L’ultima provocazione
Nell’esporre le sue beatitudini, come capacità di gioire per la promessa del grande bene eterno, nonostante le prove e le difficoltà del presente, Gesù inserisce il beato all’interno di un contesto relazionale.
Facciamo qualche esempio: quelli che soffrono perché sono nel pianto, nella persecuzione; coloro che patiscono la fame e la sete della giustizia, quelli che si distinguono per mitezza, povertà di spirito, purezza di cuore e misericordia sono tali perché altri li perseguitano, li costringono a versare lacrime, ad essere affamati di giustizia. Essi sono beati non perché soffrono, il nostro non è un Dio sadico che gode del nostro dolore, ma perché nonostante i torti subiti non rispondono al male col male. Da qui, dunque, la capacità di santificarsi.
Ancora una volta notiamo che l’altro, il fratello, si situa, secondo l’insegnamento di Gesù, come la condizioni indispensabile per avere l’anima salva e, in questo caso, per essere beati. Di conseguenza colui che ritiene di poter fare a meno del suo prossimo per vivere bene, si inganna grandemente e si dirige speditamente verso una direzione pericolosa: la dannazione eterna.
Rimandiamo al nostro precedente articolo, non solo per approfondire una delle beatitudini di Gesù, quella riguardante i puri di cuori, ma anche perché in esso abbiamo elencato, e approfondito, una serie di insegnamenti di Gesù che puntano sull’impellenza di tornare a rifondare le nostre relazioni interpersonali nella riconciliazione e nella comunione fraterna.

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