La solidarietà umana come evento rivelatore della tenerezza del Padre

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Mc 1,7-11).

Un atto di solidarietà
La vita apostolica di Gesù inizia con un atto di umiltà e vicinanza affettuosa nei confronti di tutto il genere umano nella sua condizione di fragilità fisica e, soprattutto, spirituale e morale.
Il battesimo proposto dal suo parente, Giovanni, consisteva in una sorta di lavaggio penitenziale, in cui il pio uomo di fede poteva solo sperare di poter veder rimessa la colpa (questo sarà resa una certezza solo grazie all’opera redentrice di Cristo, vedi articoli ai link in basso). Una volta riemersi dall’acqua del Giordano, che teoricamente avrebbe dovuto contenere il peccato del penitente, questo poteva sperare di iniziare una vita nuova nella grazia di Dio.
Di certo Gesù non aveva bisogno di questo rituale, perché come ben afferma l’autore della lettera agli Ebrei, egli ne era esente:

Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato (Eb 4,14-15).

La pervasività della grazia divina
Dalla solidarietà di Cristo con quanto di peggio cova nel nostro cuore, tanto da immergersi in esso come nelle acque impure del Giordano, sorge una provocazione che dovremmo sempre tenere ben a mente: non c’è nulla di noi che faccia ribrezzo al nostro Dio. Anche quelle zone d’ombra del nostro animo, lì dove coviamo i sentimenti più contrastanti, anche lì può arrivare la sua luce. Per questo non può esserci peccato che non possa essere da lui rimesso: dobbiamo solo credercelo. Gesù non ha ribrezzo di noi, e noi dobbiamo imparare ad accettarci per quello che siamo, amarci perché lui ci ama.

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Scendere dai piedistalli
Il breve dialogo che intercorre tra Gesù e Giovanni, è quanto mai evocativo: par quasi instaurarsi una sorta di braccio di ferro tra chi intenda assumere un atteggiamento più umile nei confronti dell’altro.
Il Battista era al culmine della sua popolarità. Lo abbiamo visto nei precedenti approfondimenti: lui era tutt’altro che alla ricerca di consensi popolari. Anzi, non temeva di rimproverare nessuno: dai soldati, ai pubblicani, per arrivare ai farisei e persino lo stesso re Erode in persona (vedi link in basso).

Allo stesso modo egli sapeva che il suo ruolo aveva come una data di scadenza: non era altro che l’apripista per qualcuno più grande di lui, che avrebbe battezzato non con acqua, ma con «Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16; vedi link in basso) e che come Agnello si sarebbe addossato tutti i peccati del mondo (Cfr. Gv 1,29-34; vedi link in basso).

L’atteggiamento di reciproca umiliazione tra Gesù e Giovanni Battista, sortisce per noi un’ulteriore provocazione: quella di imparare a scendere dai piedistalli, il non pretendere onori e onorificenze, ma avere atteggiamenti di continua umiltà nei confronti dei fratelli, seguendo l’indicazione di San Paolo nella lettera ai Romani:

La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell’ospitalità (Rm 12,-13).

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Facciamoci carico dei pesi degli altri
Dal Battista oggi impariamo che è necessario tornare a guardare i nostri fratelli con occhi diversi. Con lo sguardo proprio di chi serve l’altro, di chi si mette a disposizione del peccato dell’altro non per servirsene, né per ferire in un moto di rabbia per un torto ricevuto, ma perché quel peccato venga rimesso e il fratello ritrovi la bellezza della comunione con Dio.
Giovanni, senza saperlo, dunque, si fa socio di Cristo nell’atto di redimere l’umanità, e perché questo non dovremmo farlo noi? Perché lo stato spirituale e morale di un fratello non dovrebbe interessarci? Chi l’ha detto che uno stato di peccato è qualcosa che lede solo chi lo compie? L’ultima persona che la pensava così era un altro fratello: Caino. Leggiamo infatti nel quarto capitolo della Genesi:

Allora il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?”. (Gen 4,9).

La Bibbia è piena di personaggi tristi, incupiti e ingobbiti dalle loro relazioni malsane. Essi riusciranno a trovare pace solo quando finalmente riusciranno a perdonare e a farsi perdonare (approfondisci al link in basso). E perché noi dovremmo perdere l’opportunità di essere strumento di riconciliazione?

Il Padre esce allo scoperto
A un certo punto della storia, un colpo di scena. Potremmo dire che commosso dalla tanta solidarietà verso gli uomini e dal reciproco mettersi al servizio di Gesù e del Battista, il Padre non riesce a stare oltremodo confinato nella lontananza del suo cielo, tanto che lo squarcia e fa udire la sua voce:

«Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Lo diceva anche un antico padre della Chiesa, sant’Ireneo:

“La gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo da Lione, Contro le eresie).

Così oggi siamo chiamati a rendere orgoglio il Padre nostro che è nei cieli, imitando l’atteggiamento di Giovanni il Battista e di Gesù, perché la nostra vita sia davvero degna di essere vissuta e si realizzi davvero come una sorta di palestra di santità che ci prepari a meritare un giorno il Regno dei cieli, da veri figli di Dio.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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