II domenica di Avvento – anno C
Bar 5,1-9; Sal 125; Fil 1,4-6,8-11; Lc 3,1-6
Questa seconda domenica di Avvento è generalmente chiamata “del profeta”, perché la liturgia della Parola ci permette di meditare su coloro che, messosi a disposizione di Dio, portano a tutti un messaggio di speranza e di pace. Questo emerge tanto dalla prima lettura, come dal brano evangelico in cui ci faremo compagni dell’antico Israele nell’ascolto di una Parola di Dio che ci esorta a non disperare nei momenti bui della vita. Soprattutto i profeti annunciano un messaggio univoco: Dio verrà per restaurare la giustizia e la pace per il suo popolo e, soprattutto, per liberarlo dall’oppressione del nemico, del peccato.

Questo articolo ti può interessare
Come vivere bene questo tempo di avvento?
I lettura
Dal libro del profeta Baruc (5,1-9)
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,
rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre.
Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo.
Sarai chiamata da Dio per sempre:
«Pace di giustizia» e «Gloria di pietà».
Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti,
dal tramonto del sole fino al suo sorgere,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.
Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici;
ora Dio te li riconduce in trionfo come sopra un trono regale.
Poiché Dio ha deciso di spianare
ogni alta montagna e le rupi perenni,
di colmare le valli livellando il terreno,
perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio.
Anche le selve e ogni albero odoroso
hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio.
Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria,
con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.
Quando il profeta Baruc scrive e presta a Dio la sua voce e la sua persona, il popolo viveva uno dei momenti più drammatici e bui della sua esistenza: era stato deportato all’interno del territorio babilonese, costretto a vivere in una terra pagana, a omologarsi a una cultura e a una religiosità che non era sua. Di fronte a questa grande desolazione, e a questa prospettiva di morte che aveva dinanzi a sé, il profeta si mette a disposizione di Dio perché questo possa parlare al cuore del suo popolo e infondere in loro coraggio e fiducia.
Invito alla gioia
Tutto il brano è un invito alla gioia: benché in un momento drammatico e di grande prova, Israele è chiamato non solo a non scoraggiarsi e a sopportare la frustrazione e le limitazioni della vita presente, ma persino a gioire. Sembra un paradosso, eppure per la Sacra Scrittura la gioia nulla a che vedere con l’allegria, con un’emozione passeggera.
Qui si tratta di una sorta di stabilità emozionale, un equilibrio interiore fondato nella fede e nella speranza, una capacità di restare in intima comunione con Dio anche nei momenti della prova.
È questa la prospettiva della gioia biblica alla quale siamo richiamati: la consapevolezza dell’amore di Dio, della sua benevolenza, della sua incapacità di dimenticarsi di noi al di là del nostro stato morale.
Israele è chiamato a perseverare nella speranza, attendendo pazientemente l’agire di Dio i cui tempi non sono i nostri tempi: egli, infatti, non agisce d’impulso, ma nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando cioè la sua grazia per noi sortisce il massimo effetto.
«Rivestiti dello splendore»
Il brano si apre con queste parole:
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,
rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre.
Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio,
metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno,
perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo.
Il profeta ci invita a un mutamento d’abito, o potremmo anche dire d’habitus, di atteggiamenti. Si tratta di deporre le vesti scure del lutto, indici anche dell’uomo che vive nelle tenebre del peccato e di quella disperazione che è propria di chi ha dimenticato Dio, e di rivestire quelle luminose della gloria.
È interessante che qui si parli di una gloria riflessa che indica come Dio sia completamente rivolto a favore dell’uomo il quale per la luce di Lui, brilla. Il fenomeno è molto simile a quello della luce del mattino, che raggiungendo il creato lo riempie di bellezza nuova, ridona vivacità a tutti i colori e con esso infonde la speranza di un nuovo giorno nei cuori degli uomini.
Anche noi cristiani siamo chiamati ad assumere l’atteggiamento di Dio, mettendoci sotto i raggi del suo amore, della sua grazia, per poter splendere. In questo tempo di avvento, queste parole sono più attuali che mai. Abbiamo visto, infatti, come l’avvento non sia semplicemente un tempo romantico durante il quale ci prepariamo al Natale, ma propriamente un periodo di conversione e penitenza, perché l’arrivo del Messia non ci trovi impreparati. Deporre «la veste del lutto», per noi oggi significa fare un vero e proprio cambio d’abito attraverso il Sacramento della Riconciliazione, lì dove per la grazia di Dio veniamo rinnovati interiormente ed ammessi a quello stato di grazia e purezza che un giorno, nella risurrezione, avremo.
Tuttavia, il profeta tiene a precisare che non si tratta di uno splendere fine a se stessi, di una santificazione privatistica che riguarda solo noi, ma ci interpella soprattutto nelle nostre relazioni interpersonali. Infatti precisa:
Perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo.
Gesù dirà in altri termini:
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,14-16).

Questo articolo ti può interessare
Il senso della vita

Questo articolo ti può interessare
Come essere sale e luce del mondo
Ma non solo. Il profeta parla di virtù da indossare come abiti. Infatti fa riferimento a una veste da deporre, per indossare il manto della giustizia e il diadema della gloria. Questo spogliarsi per rivestirsi, rimanda a una sorta di combattimento interiore contro le forze avverse a Dio, quelle che costantemente ci spingono non solo al peccato, ma ad atteggiamenti perennemente indirizzati alla tristezza, al vittimismo, alla disperazione. San Paolo, a riguardo, usa un linguaggio proveniente dal mondo cavalleresco, intendendo questa lotta con se stessi, e parla propriamente di un’armatura da indossare per scendere in battaglia. Leggiamo:
Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi (Ef 6,10-18).

Questo articolo ti può interessare
Il combattimento spirituale
Per noi carmelitani questo deporre le vesti per assumerne altre, rimanda a un concetto di deserto molto caro: lì dove l’uomo non ha altri appigli che in Dio. Lì il contemplativo è chiamato a svuotarsi di tutti i suoi modi imperfetti di agire e di pensare, per rivestirsi di Cristo. Si tratta di uno svuotamento interiore, per lasciare spazio a Dio perché possa sempre più possa occupare spazio dentro la nostra anima e dentro la nostra vita. Questo movimento interiore, è altrimenti chiamato vacare Deo.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (3,1-6)
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea. Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Contesto
Il brano evangelico si apre con una contestualizzazione storica, in cui vengono menzionati nomi e luoghi in cui si avvera la profezia di Giovanni il Battista e la nascita del Messia. Questa introduzione dell’evangelista serve per comunicare qualcosa di importante al lettore, come per dire di fare attenzione, perché non si tratta di un racconto epico, leggendario, ma di un fatto accaduto, storicamente riconducibile ad un periodo ben preciso.
Quando avviene tutto questo? Quando Israele vive un’altra dura prova: l’oppressione dell’Impero Romano che ha inglobato tutta la nazione. Non si trattava, certamente, di una situazione serena e pacifica, perché i Romani non solo opprimevano la popolazione con alte tassazioni e sopprimevano con inaudita violenza ogni forma di ribellione, ma persino osarono entrare con i loro vessilli pagani all’interno del luogo simbolo della cultura e dell’identità del popolo: all’interno del tempio di Gerusalemme. Un atto sacrilego inaccettabile.
Tanto come al tempo del profeta Baruc, come a quello di Giovanni Battista e Gesù, Israele si sentiva fortemente provato e oppresso. Tuttavia, proprio grazie alla sua storia, in cui ha fatto esperienza della provvidenza divina che non li abbandona mai, vissero questa prova con uno spirito diverso: convinti che il Signore si sarebbe presto rivelato per liberare il paese.
«La parola di Dio venne su Giovanni»
Chi sceglie il Signore perché prepari l’avvento ormai più che imminente della venuta del Messia? Non di certo sugli abitanti delle grandi città, su un sacerdote del tempio di Gerusalemme o un uomo di spicco della politica dell’epoca, ma su un uomo solo che viveva in un luogo sperduto: nel deserto.
Dio sceglie sempre i piccoli, coloro che vivono nell’umiltà e nel nascondimento, per renderlo suo collaboratore. Questa è la prima provocazione per noi cristiani in questo tempo di avvento: essere uomini e donne che sanno vivere nel deserto, lì dove è scomodo. Gente che sanno riempire la propria solitudine, della compagnia di Dio e farsela bastare. Non raramente i deserti nei quali viviamo sono proprio i luoghi della nostra quotidianità: dalle mura domestiche, agli uffici e ai luoghi di lavoro, dai banchi di scuola alle comunità parrocchiali. Lì dove sperimentiamo l’asperità della nostra presenza non sempre ben accolta, lì dove sperimentiamo la solitudine e l’emarginazione, quello può essere il nostro deserto: luogo prescelto per l’incontro trasformante con Dio. Dopotutto queste furono le parole di Dio al profeta Osea per tutto il popolo che si stava piegando al culto pagano:
Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16).
Guardando Giovanni il Battista, comprendiamo che Dio si rivela lì dove l’uomo si apre a lui nella povertà dei suoi mezzi e nell’umiltà della sua persona. Siamo chiamati a riempire di senso e di presenza di Dio, lì siamo chiamati ad essere uomini e donne dell’oltre, a farci carico dei pesi dei nostri fratelli e portar loro un messaggio di fiducia e di speranza.
Il ministero del Battista
L’evangelista Luca, ci presenta colui che è il precursore di Cristo, come un uomo infaticabile che si sposta lungo tutta la sponda del Giordano parlando di Dio e dell’imminente venuta del Messia.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati
In cosa consiste la sua predicazione? Si tratta di un invito a una conversione che oggi, alla luce della Risurrezione di Cristo, potremmo chiamare sacramentale, teso cioè al fare i conti con la nostra coscienza, camminare nella verità di noi stessi, riconoscere i nostri limiti, gli errori e i vizi, per ritornare nella grazia di Dio.
Se l’esortazione del Battista era veritiera per gli uomini dell’epoca, tanto che in diversi si accalcavano per farsi battezzare da lui e cambiare vita, è, però, altrettanto veritiera per noi oggi che viviamo in questo tempo di avvento.
Come prepararci alla venuta del Signore?
L’evangelista invita a raddrizzare vie e sentieri, a riempire i burroni e ad abbassare i monti. Cosa significa tutto questo? Il simbolismo è chiaro: le strade sono vie di comunicazione, attraverso le quali è possibile per le genti incontrarsi. Per Giovanni Battista non c’è altra conversione e perdono dei peccati, se non quella che passa attraverso il risanare le nostre relazioni fraterne. Non solo raddrizzando quelle vie che rallenterebbero l’incontro, ma persino riempiendo i burroni e abbassando i monti, cioè mettendo un valore aggiunto del nostro impegno perché con pazienza facciamo il primo passo, e limando i nostri spigoli, il nostro orgoglio.
Per il Battista, il Signore viene, ma lo fa attraverso quelle vie che noi avremo raddrizzato e ricostruito. Ma se noi non facciamo niente per risistemare le nostre relazioni, come possiamo pensare di essere raggiunti da Dio, dalla sua benevolenza, dalla sua presenza nella nostra vita?
Fratelli e sorelle, non permettiamo che questo Natale sia sempre uguale agli altri, non permettiamo che la novità di un Dio che si fa uomo non ci trovi davvero diversi rispetto allo scorso anno. Almeno per questa volta facciamoci davvero trovare preparati, rinnovati interiormente, lasciamo che almeno quest’anno Dio sia davvero orgoglioso di noi!
Fame della Parola di Dio?
Cerca altri articoli catalogati nelle sezioni qui in basso

Ultimi articoli inseriti.
La risurrezione di Lazzaro e il coinvolgimento concreto del cristiano del III millennio
Commento a Gv 11,1-45
«Vuoi guarire?«». La proposta di Gesù al malato di Gerusalemme e a tutti noi
Commento a Gv 5,1-16
Ultimi articoli inseriti.
Solenni sette suppliche a San Giuseppe
Solennità di San Giuseppe: patrono della Chiesa universale e protettore dell’Ordine Carmelitano
Perché la sofferenza dell’uomo? La risposta di Gesù ai discepoli
Commento a Gv 9,1-41
È cristianamente possibile amare Dio e ignorare il prossimo?
Commento a Mc 12,28-34
Ultimi articoli inseriti.
Siamo sicuri di sapere cosa significhi perdonare?
Commento a Mt 18,21-35
Perché gli abitanti di Nazareth non accolsero la predicazione di Gesù?
Commento a Lc 4,24-30
Gesù, la samaritana e i suoi fallimenti sentimentali.
Rileggere la nostra epoca attraverso questo brano del Vangelo
Ultimi articoli inseriti.
L’attualità della trasfigurazione di Gesù per la vita del cristiano nel tempo di Quaresima
Quando anche noi siamo chiamati a salire sul Tabor
Cosa intendiamo veramente per elemosina?
Catechesi quaresimale
Pregare in quaresima. Opportunità gioiose di un tempo di grazia
Vivere meglio e gioiosamente la quaresima
8 pensieri riguardo “Cosa c’è bisogno per preparare le vie del Signore?”