Domenica delle Palme – anno A
Dal Vangelo secondo Matteo (26,14-27,66)
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La celebrazione della domenica delle Palme è l’unica in tutto l’anno liturgico, che inizia con una processione esterna alla chiesa, ricordando a tutti i cristiani il carattere pubblico, e non privatistico, della fede cristiana.
Si tratta di una liturgia davvero suggestiva durante la quale l’uomo di fede si fa compagno del Maestro dall’ingresso trionfale nella città santa, Gerusalemme, fino al momento drammatico del Golgota.
Il Vangelo, poi, che viene proclamato è, potremmo dire, duplice: un brano, infatti, viene letto all’eterno della chiesa, prima della benedizione delle Palme e la conseguente processione, il secondo, decisamente più lungo, all’interno della liturgia della Parola.
Data la complessità del brano, cerchiamo di focalizzare alcuni punti che possono servirci per comprendere meglio il mistero di Cristo e attualizzarli per la nostra vita cristiana e spirituale.

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IL DISEGNO DEL PADRE
A una lettura più attenta del brano, possiamo renderci conto di quante volte l’evangelista faccia riferimento alle Scritture, come se tutta la Passione del Figlio di Dio sia compimento di tutta la rivelazione divina nel corso della storia di Israele.
Gesù cita le Scritture quando annuncia il tradimento da parte di uno dei suoi amici:
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».
Lo farà ancora una seconda volta, quando ormai uscito verso l’orto degli ulivi, rivela l’imminente abbandono da parte dei discepoli, le quali come greggi resteranno erranti fino a quando da Risorto non li avrà di nuovo riuniti. Leggiamo:
Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».
Ammonirà uno dei suoi, il quale durante il primo tentativo di arresto da parte degli inservienti del sinedrio, sfodererà la spada e gli reciderà l’orecchio. Soffocando, così, ogni tipo di risposta alla violenza subito dirà:
Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.
Gesù cita ancora le Scritture applicandole a sé, durante il processo-farsa che subirà di notte, alla presenza di testimoni fittizi e prezzolati. Così, risponderà al sommo sacerdote:
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». Gli rispose Gesù: «Tu l’hai detto; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».
Con la sua risposta Gesù applica a sé le categorie divine del Figlio dell’uomo, che il profeta Daniele riconobbe in visione. Leggiamo così infatti:
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto (Dan 7,13-14).
È POSSIBILE CHE ANCHE IL PARE ABBIA ABBANDONATO GESÙ?
Persino le sue ultime parole, quello che a qualche inesperto potrebbe sembrare un grido disperato, è la citazione di un brano biblico: il Salmo 22.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Sono le parole con le quali si apre il Salmo che Gesù cita e, come ogni pio ebreo sapeva, il citare l’inizio di un Salmo equivaleva a riassumerlo tutto, a citarlo per intero. Quindi al di là di quelle parole struggenti con il quale inizia questa accorata preghiera dell’Antico Testamento, è interessante notare anche con quali parole essa si concluda. Leggiamo:
Tu mi hai risposto!
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Perché del Signore è il regno:
è lui che domina sui popoli!
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere;
ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
“Ecco l’opera del Signore!”. (Sal 22,2b-23.29-32).
Il Salmo che inizia con un grido accorato, si conclude con una lode di gloria, perché l’orante già mentre pregava ha sperimentato l’azione salvifica di un Dio che è intervenuto così prontamente da non fargli nemmeno finire la preghiera. Davvero interessante, poi, i rimandi cristologici di questo Salmo che apre già alla risurrezione rivelando come tutto questo rientri nel piano divino, nella sua “opera” appunto.
Citando questo Salmo, e dedicando al Padre l’ultimo respiro nei suoi polmoni, rivela che la croce porta già in sé un germe della risurrezione non potendo avere la morte la parola fine su di lui. Ma non solo, citando questo Salmo dai toni tanto drammatici che si conclude con un inno gioioso di lode a Dio, Gesù rivela che il piano salvifico del Padre, che passa attraverso la passione e la croce, è un progetto gioioso, bello, che invita l’uomo all’esultanza.
IL COMPIMENTO DELLE SCRITTURE
Questo continuo rimando alle antiche Scritture che trovano compimento, nella persona di Cristo e in particolare nella sua passione non sono affatto casuali. Tutto questo rivela che la morte in croce del Figlio di Dio, rientra nel piano salvifico del Padre. Un progetto di salvezza per l’umanità peccatrice, inclusi gli avversari di Gesù, che affonda le sue radici fin dalla creazione del mondo e che in questo particolare contesto trovano tutta la loro comprensibilità, il loro senso.
Solo a partire da questa prospettiva così insistentemente sottolineata da Gesù nei suoi ultimi colloqui, comprendiamo che lui non subisce la passione, ma la trasforma glorificandola, affrontandola per quella che realmente è: non semplicemente un patibolo infamante, ma l’unica opportunità di salvezza del genere umano.
E SE ANCHE LA MIA CROCE FOSSE UN’OPPPORTUNITÀ DI SALVEZZA?
Comprendendo questa prospettiva, si rivoluzione il nostro modo di intendere questa celebrazione, con tutto il triduo pasquale. Non si tratta semplicemente di qualcosa che commuove il cuore di fronte al tanto dolore patito da Gesù, ma il riconoscere che anche le nostre croci personali non sono pesi imposti sulle nostre spalle da un Dio crudele, ma opportunità di salvezza personale e comunitaria. Vivendole cristianamente, quindi, le prove e le sofferenze della vita non sono più un tabù, qualcosa da rifuggire, ma opportunità da cogliere per essere veri discepoli di Cristo, suoi fedeli imitatori e collaboratori nella sua opera redentrice, così come dice l’apostolo Paolo ai cristiani di Colossi:
Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24).
Dio non vuole il male, ricordiamocelo, ma la risposta che noi daremo ad esso, la nostra capacità di “trasfigurare” questo male, di glorificare le nostre croci, ci permetterà di essere suoi veri figli, a imitazione dell’Unigenito.
Il male, in ultima analisi, può diventare occasione di santificazione, di rivelazione divina, di gioia eterna, nella misura in cui noi ci relazioniamo ad esso senza ribellioni, ma accogliendolo perché possa sortire una grazia nuova a noi e ai tanti nostri fratelli che vivono immersi nelle tenebre del peccato, della non fede e dell’errore ideologico di questi nostri tempi così confusi.

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