Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti (Gv 20,1-9).

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INTRODUZIONE
Dopo il lungo cammino della quaresima e della settimana santa, arriviamo finalmente al giorno tanto atteso: la Pasqua, la risurrezione di Cristo. Dopo i faticosi, e non meno pieni di grazia, quaranta giorni di digiuno, preghiera ed elemosina (vedi link in basso), possiamo finalmente cantare il gloria, facendo risuonare nelle nostre chiese quella gioia che abbiamo meditato nel nostro cuore, nelle ultime settimane. L’attesa è finita, il Cristo è risorto, proprio come aveva detto, rivelandosi qual Dio fedele.
Sollecitati dalla liturgia della Chiesa a fare un cammino introspettivo, capace di sortire un rinnovamento interiore, una crescita spirituale e umana, una ri-conversione a Cristo, abbiamo potuto meditare su alcuni insegnamenti di Gesù che ci invitavano a guardarci in viso gli uni gli altri, tornando a scoprire l’uno la vera identità dell’altro, l’uno il fratello dell’altro. Da qui la rivelazione del duplice comandamento dell’amore (Cfr. Mt 12, 28-34; vedi link in basso), l’esortazione a una riconciliazione universale e perenne (Cfr. Mt 18, 21-35; vedi link in basso), il riconoscere nel volto dell’altro la condizione indispensabile per aver accesso al Regno dei cieli (Cfr. Lc 16,19-31; Gv 13,21-33.36-38; vedi link in basso), l’esortazione a smettere di fissare il peccato altrui per aver il coraggio di guardare al proprio (Cfr. Gv 8,1-11; vedi link in basso), e infine l’invito al farsi gli uni i servi degli altri (Cfr. Gv 13,1-15; vedi link in basso).
Arricchiti da questo importante patrimonio biblico, spirituale e morale, come il popolo di Israele – in cammino nel deserto, dalla schiavitù egizia, alla terra santa promessa da Dio –, guardiamo la meta ormai a portata di mano, e il cuore si ricolma di gioia tanto da poter esclamare: «Sì, il nostro Signore è il Dio della vita, il liberatore, colui che ci ha riscattato dalla schiavitù del nostro egoismo, del narcisismo al quale questa controcultura occidentale e dei social media vogliono indottrinarci, e ci ha liberati da noi stessi, dalla nostra incapacità di amare».

LA LITURGIA DELLA CHIESA E QUEL BRANO COSÌ STRANO
Rinnovata nella gratitudine la nostra memoria, per quanto vissuto in questi giorni di quaresima e di settimana santa, possiamo finalmente, e con maggior consapevolezza, meditare la narrazione evangelica che la liturgia della Chiesa ha scelto per questa domenica di quaresima.
A ben vedere, però, il brano scelto sembra davvero molto strano: dov’è Cristo? È davvero risorto? Se sì, perché allora non è stato scelto un racconto dove lo si vede apparire ai discepoli?
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti (Gv 20,1-9).
Rileggendo con maggiore attenzione il racconto, è facile notare come tutto sia concentrato non sulla presenza gloriosa del Figlio di Dio, ma proprio il contrario: se ne celebra la totale e inspiegabile assenza. Questo è davvero il paradosso della fede: il cuore dice che egli è davvero risorto, anche se gli occhi non possono evidentemente confermarlo. Sembra che in qualche modo risuonino nelle orecchie nostre e in quelle dei discepoli, una delle sue affermazioni più celebri, che rivolse ai suoi avversari:
Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. (Mt 12,39-40).
LE REAZIONI DI FRONTE ALLA TOMBA VUOTA
Noi sappiamo che Gesù fonderà la fede dei discepoli, apparendo loro in diversi modi e circostanze, ma è interessante è la reazione che i discepoli (tra cui, ripetiamo anche le donne, ricordando la differenza tra discepoli, apostoli e i Dodici; vedi link in basso) hanno di fronte al sepolcro vuoto, in una sorta di crescendo emotivo e di consapevolezza che qualcosa di grande è davvero accaduto. Così vediamo che Maria di Magdala ha un sussulto, corre e si mette alla ricerca di Pietro, ipotizzando il trafugamento del cadavere; questi, insieme al discepolo amato, si fionda verso il sepolcro, per osservare minuziosamente l’interno (con la disposizione stranamente ordinata dei lenzuoli e del sudario) ma non si esprime, e infine il più giovane tra i seguaci del Messia che vede e crede nella risurrezione.
Guardando i tre discepoli accorsi al sepolcro vuoto, siamo chiamati a fare nostri i loro sentimenti. Da Maria di Magdala impariamo l’urgenza di servire il Signore, al «mattino, quando era ancora buio», rivelando che il nostro cuore se non palpita costantemente per Cristo, per servirlo premurosamente, allora non è veramente capace di amare e ha ancora bisogno di conversione.
Da Pietro impariamo ad avere uno sguardo attento, non indagatore, ma scrutatore della presenza del Risorto, capace di penetrare la realtà nel suo profondo, con fare contemplativo (approfondisci ai link in basso).
Dal discepolo amato, impariamo la delicatezza nel cedere il passo a chi è più grande, ha chi ha una maggiore responsabilità e autorità nei confronti della comunità. Egli cede il posto a Pietro, ma entrando nel sepolcro per secondo, avendo fatto tesoro dell’esperienza di chi l’ha preceduto (Maria di Magdala e Pietro), può fare una sua sintesi e quindi credere.
Facciamo bene attenzione, perché questo è il momento preciso in cui nel cuore della primitiva comunità cristiana, scatta qualcosa, scoppietta una scintilla che accende la fede. Rileggiamo la conclusione della narrazione, vista la sua importanza:
E vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti
È da questa comunione comunitaria, da questa esperienza fraterna fatta di urgenze, annunci, corse e cedimento di posti, che nasce la fede. Se questa comunicazione vitale e fraterna non ci fosse stata, se solo uno dei tre personaggi coinvolti non avesse fatto la sua parte, coinvolgendo l’altro, tutto questo non sarebbe accaduto: la fiammella non si sarebbe accesa. Di questo importante passaggio, ne parleremo più avanti.
UNA COMUNITÀ IN CAMMINO
Se c’è una cosa davvero interessante nell’atteggiamento dei tre discepoli, è che in qualche modo tutti sono sopraffatti da un’urgenza: quella di Maria di Magdala che si reca prima che il sole spunti al sepolcro, tanto amava il Nazareno che per lei ha assoluta priorità servirlo anche da esanime. Ma la sua urgenza si rivela anche nel cammino di ritorno, quando di corsa va da Simon Pietro per annunciare che la tomba sembra essere stata svuotata.
Corrono anche lui insieme al discepolo amato: quella che doveva essere una stasi immobile, silenziosa e ripiegata su se stessa per la morte del Maestro, diventa un crescendo emotivo nello scomodarsi dalle proprie confort zone per lui. Questa è già per noi la prima provocazione della Pasqua: se la nostra fede non mette ali ai nostri piedi, se non ci mette in cammino, facendoci consumare le sule delle scarpe, per andare incontro a Cristo e servirlo, allora quella fede ha qualcosa che non va, si è accomodata, ha perso vigore e ben presto morirà a se stessa. La stasi, diciamolo, non è mai un buon segno per noi che vogliamo essere veri discepoli del Nazareno. L’immobilismo, che può essere inteso come una sorta di pigrizia spirituale, ma può renderci tali anche a livello morale rendendoci inevitabilmente fermi sulle nostre posizioni, o incapaci di andare incontro all’altro, spesso assume le forme di una vera e propria malattia dell’anima. La guarigione del paralitico calato col suo lettuccio, dal tetto di una casa di Cafarnao (Cfr. Mc 2,1-12), è alquanto eloquente. Lo abbiamo trattato in uno dei nostri recenti articoli, rimandando al link in basso per il suo approfondimento.
SENZA COMUNITÀ NON C’È RISURREZIONE
Un altro aspetto particolarmente importante di questo brano è la sua dimensione comunitaria. Essa verrà poi approfondita nelle successive apparizioni del Risorto, ma comunque se ne intravede un segno importante fin da questo momento: dagli albori della risurrezione.
Nessuno resta solo al sepolcro: nessuno fa esperienza della Pasqua in maniera solitaria. Maria di Magdala, sente l’impellenza di tornare sui suoi passi e avvisare la comunità, condividendo la sua esperienza. Pietro e l’altro discepolo, insieme, si recano al sepolcro e anche quando il più giovane, distaccando nella corsa Simone, avrebbe potuto entrare da solo nel sepolcro, non lo fa, ma attende l’arrivo del suo fratello nella fede.
Guardando questi tre personaggi che si alternano nei pressi di quel luogo di morte, diventato testimonianza di risurrezione, comprendiamo che nelle cose di Dio, non può esserci individualismo, né la possibilità di primeggiare sugli altri.
Lo abbiamo affermato più volte, e non smetteremo di ripeterlo visto il pericolo spirituale e morale nel quale vivono tanti nostri fratelli che affollano più le sacrestie che i banchi delle chiese, non può esserci vera vita cristiana senza comunione fraterna! Se questa manca, vien meno anche tutto quel terreno solido che dovrebbe sostenere la nostra fede e condurci alla salvezza eterna.
La risurrezione di Cristo, pur nella sua iniziale assenza, in maniera misteriosa, conferma quegli insegnamenti sulla carità fraterna che con tanta pazienza aveva condiviso con tutti i suoi uditori (discepoli, apostoli, folle e avversari) e fonda ulteriormente la comunità, tanto che senza di essa non può esserci Pasqua, non può esserci una vera celebrazione della gioia della vita che si impone sulla morte, non può esserci, infine, risurrezione per noi.

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CONCLUSIONE
Buona Pasqua, dunque, e che sia davvero una Pasqua di risurrezione per gli animi ripiegati di tanti cristiani che si dicono tali, ma che poi vivono da pagani. Sia una buona Pasqua per tutti coloro che vivono l’oscurità dell’assenza di una persona cara, perché anch’essi a imitazione dei tre discepoli di Cristo, possano passare dallo sconforto del trafugamento di un cadavere, alla gioiosa fede di coloro che vedendo i segni di colui che non c’è più – i teli e il sudario –, iniziano a comprendere che l’assente è già risorto, confermando la veridicità delle sue parole, quando presentava il volto di un Dio che è Padre e datore di vita:
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui (Lc 20,38).
Sia una buona e santa Pasqua anche per noi che con fatica, ma anche con coraggio ed entusiasmo proviamo a mettere i nostri passi sulle orme lasciate da Cristo, quelle che intravediamo nel dispiegarsi della nostra quotidianità e nell’approfondimento meditativo della sua Parola. Siano la gioia e la fraternità a segnare il passo del nostro continuo cammino, incontro a colui che sappiamo attenderci dall’altro lato della vita, a braccia aperte. Amen! Alleluya!

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3 pensieri riguardo “Dall’angoscia di un’assenza, alla gioia della risurrezione. Un passaggio non affatto scontato.”