PREMESSA
Giuda è un uomo per il quale tutti provano rifiuto e disprezzo. A ragione della sua doppiezza e della sua ambiguità morale, appellare una persona col suo nome equivale ad offenderla gravemente. Eppure la sua figura ha sempre suscitato un grande interesse. In ambito religioso, per esempio, molte sette gnostiche hanno esaltato il suo tradimento, perché in questo modo, rimettendoci la vita e l’anima, ha segretamente contribuito all’opera salvifica di Cristo. In ambito filosofico la figura dell’Iscariota è stata largamente approfondita, poiché faceva sorgere il problema del male e di come l’uomo sia in grado di concepirlo e compierlo. Giuda non è esente nemmeno dalla grande letteratura. Dante lo posiziona nella parte più infima dell’inferno con metà corpo nelle fauci di Satana.
La presenza di Giuda all’interno della comunità degli Apostoli, insomma, non fa che interrogare intere generazioni di cristiani: perché Gesù lo scelse? Il Maestro prese un abbaglio oppure lo volle con sé per metterlo appositamente nella situazione di tradirlo? Quali furono, poi, le motivazioni che spinsero l’Iscariota al tradimento? Cosa sperava di ottenere? E soprattutto: cosa ne è adesso di lui?
PERCHÈ GESÙ SCELSE GIUDA?
Per cercare di rispondere a questa domanda, cominceremo con la lettura della vocazione dei Dodici, tratta dal Vangelo secondo San Marco:
Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici – che chiamò Apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni. Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè “figli del tuono”; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì (Mc 3,13-19).
Stando al testo, comprendiamo che Gesù si era reso conto che c’era tanto da lavorare e, affinché della sua azione potessero goderne quante più persone possibili, estende agli Apostoli la possibilità di proclamare il messaggio della prossimità del Regno di Dio e di compiere guarigioni ed esorcismi (v. 14). Giuda, dunque, viene scelto nel gruppo dei
Dodici per lo stesso motivo degli altri Apostoli. Da quanto emerge, poi, dal Vangelo di Giovanni, pare che Giuda godesse della stima del Maestro e della comunità dei Dodici, tanto che gli fu affidato il compito di gestire il denaro della comunità (Cfr. Gv 12,6; 13,29).
Nel corso degli eventi nulla fa presagire il suo tradimento, tant’è che per gli evangelisti Luca e Giovanni la pianificazione della consegna di Gesù al Sinedrio sarà solo successiva e per ispirazione diabolica:
Si avvicinava la festa degli Azzimi, chiamata Pasqua, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano in che modo toglierlo di mezzo, ma temevano il popolo. Allora Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era uno dei Dodici. Ed egli andò a trattare con i capi dei sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo a loro (Lc 22,1-4).
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita (Gv 13,1-4).
Inoltre se avvallassimo la teoria secondo la quale Gesù sceglie un uomo per metterlo nella condizione di tradirlo e quindi di suicidarsi (Cfr. Mt 27,5), si storpierebbe quell’immagine carica di tenerezza di Dio che emerge lungo tutta la rivelazione biblica e si farebbe, altresì, di Gesù un bugiardo quando lo proclama Padre provvidente di tutti gli uomini (Cfr. Mt 5,45; 6,25-32). Giuda non è il predestinato al tradimento e non viene scelto perché, consegnando Cristo, venga condannato per l’eternità. Affermare una teoria del genere significherebbe allontanarsi parecchio dalla dottrina cristiana.
È tuttavia una annotazione dell’evangelista Giovanni a concederci un ulteriore approfondimento su di lui e il suo rapporto con Gesù:
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Gesù riprese: “Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!”. Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici (Gv 6,70-71).
Certo, questo brano è piuttosto tardivo rispetto agli altri Vangeli, è stato scritto intorno al I secolo d. C., tuttavia fa sorgere una domanda importante: se Gesù si rese conto che Giuda lo avrebbe tradito, perché non lo allontanò dal gruppo degli Apostoli? In realtà, quando Dio dona una vocazione, questa è per sempre, è incancellabile. Lo esprime bene San Paolo nella lettera ai Romani:
I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! (Rm 11,29).
Basti pensare al Battesimo: è una vocazione e un sacramento che impone un segno indelebile dell’amore di Dio nell’anima di chi lo riceve, eppure il battezzato a un certo punto della vita può decidere di non essere più cristiano e persino chiedere che venga cancellato il suo nome dai registri dei Battesimi. Ciononostante la vocazione resta, il Sacramento è incancellabile. Così accade anche con Giuda: Gesù ha continuato ad accogliere nella sua vita chi lo avrebbe tradito, esortandolo anche a ravvedersi, per il suo bene:
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: “Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto” (Mt 26,20-25).
Il Signore ha sempre puntato tutto sui suoi discepoli, nonostante le loro fragilità, incredulità e ipocrisie. Basti pensare all’ambizione di Giacomo e Giovanni che speravano di ottenere dei posti privilegiati al momento di quella glorificazione del Maestro, che credevano essere meramente politica e militare (Cfr. Mc 10,35-40). Diverse saranno le esortazioni di Gesù a servire piuttosto che farsi servire, a scegliere la via dell’umiltà e a farsi ultimi (Cfr. Mc 10,31.42-45; Mt 19,30; 20,16.25-28; Lc 22,24-27; Gv 13,5-18).
In sintesi possiamo affermare che Gesù non sceglie Giuda perché lo tradisca. Al contrario, nutre stima nei suoi riguardi, vuole che viva con lui in una relazione di più intima amicizia, nella comunità degli Apostoli. Pensare che Dio possa mettere qualcuno nella condizione di commettere un peccato mortale, non ha nessun fondamento cristiano, né rispecchia il volto del Dio, Padre provvido e amorevole, presentatoci da nostro Signore Gesù Cristo. Giuda era detentore di una vocazione, di un dono, e niente e nessuno glielo avrebbe portato via.
IPOTESI SUL TRADIMENTO
Storicamente si è sempre motivato il tradimento di Giuda a ragione del suo attaccamento al denaro. Si afferma infatti nel Vangelo secondo Matteo, che consegna il Maestro nelle mani dei suoi aguzzini per intascarsi i trenta denari (Cfr. Mt 27,9). Una teoria che si vedrebbe giustificata a motivo del suo ruolo di tesoriere della comunità degli Apostoli, che approfitta della facilità di accesso al denaro, per appropriarsene indebitamente:
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”. Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro (Gv 12,1-6).
In realtà all’epoca in cui l’evangelista Giovanni scrive, la prima cristianità aveva avuto modo di rielaborare il personaggio del traditore, probabilmente aggiungendo altri dettagli che finivano per giustificare il movente del suo orribile gesto. Infatti, lo stesso avvenimento dell’unzione di Gesù a Betania viene raccontato anche da Matteo, scritto qualche decennio prima, in cui a indignarsi per lo spreco di olio non è il solo Giuda – il quale non viene ricordato come un ladro –, ma tutti gli Apostoli:
Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola. I discepoli, vedendo ciò, si sdegnarono e dissero: “Perché questo spreco? Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!” (Mt 26,6-9).
È chiaro che al momento della consegna di Gesù al Sinedrio, c’è una contrattazione monetaria, tuttavia l’evangelista Marco, che fu il primo a raccogliere i detti e i fatti di Gesù e a redigerne un Vangelo, afferma che al momento del tradimento non fu Giuda a mettere in ballo un risarcimento monetario, ma questo fu qualcosa di spontaneo deciso dai sommi sacerdoti:
Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno (Mc 14,10-11).
Da alcuni dettagli che emergono dalle narrazioni evangeliche, si capisce che c’era una relazione di stima, fiducia e amicizia tra Gesù e Giuda. Il primo dettaglio è quello dell’affidamento della cassa economica della comunità (Cfr. Gv 12,6;13,29). Ne seguono diversi altri, come per esempio lava anche i suoi piedi insieme a quelli degli altri Apostoli, ben sapendo che presto lo avrebbe tradito (Cfr. Gv 13,1-20). Tra l’altro, è indice di particolare amicizia e intimità, quello di intingere e porgere il boccone nell’ultima cena (Cfr. Gv 13,26). Una particolare attenzione necessita anche il bacio del tradimento (Cfr. Mt 26,48-49). Non si tratta di un comune saluto, filein – verbo greco che comunque traduce una relazione amicale –, ma katafilein (Cfr. Mt 26,49; Mc 14,45), che indica un baciare affettuosamente e in maniera più intensa e ripetuta. È il segno di riverenza e devozione del discepolo verso il maestro. È quello, per esempio, del padre della cosiddetta parabola del figliol prodigo che sull’uscio di casa accoglie il figlio ribelle che se ne era andato (Cfr. Lc 15,20). Un modo di salutare che doveva essere comune tra Gesù e Giuda. Eppure, nonostante il tradimento, il Signore continua a manifestare verso l’Apostolo sentimenti di benevolenza, riconoscendolo come suo amico. Il Maestro non giudica il suo traditore, gli dice che comunque non lo ha colto di sorpresa.
È plausibile che tutta la comunità degli Apostoli nutrisse una certa stima di lui, delle sue capacità e della sua onestà, per avergli dato il compito di economo.
È probabile che entrò in crisi quando Gesù cominciò a parlare di passione e di morte, proprio come capitò a Pietro e che gli valse il satanico appellativo (Cfr. Mt 16,21-23). Di fronte alla passione, infatti, Pietro e Giuda si comportano in maniera simile: entrambi rigettano la possibilità della passione di Cristo. Pietro, per di più, per evitare l’arresto di Gesù si fece violento, sguainando la sua spada e recidendo d’un colpo l’orecchio di uno dei servi del sommo sacerdote venuto ad arrestare il Maestro (Cfr. Gv 18,10).
Arriviamo, dunque, alla tesi finale. Giuda non aveva nessun dubbio sul fatto che Gesù avrebbe potuto liberare il popolo di Israele, tuttavia non ne condivideva la mitezza, il passare attraverso la passione e la persecuzione. Voleva fare di lui il liberatore politico-nazionalista che tutti gli israeliti si aspettavano, il comandante di un esercito che avrebbe cacciato con la forza il potere oppressore romano. Una immagine che probabilmente anche gli altri discepoli si erano fatti. E questo spiegherebbe la presenza tra di Dodici di «Simone soprannominato lo zelota» (Lc 6,15), le ambizioni dei fratelli Giacomo e Giovanni che suscitarono l’indignazione degli altri membri della comunità di Gesù (Cfr. Mc 10,35-41), l’animata discussione avvenuta durante l’ultima cena su chi tra di loro fosse il più grande (Cfr. Lc 22,24-27) e la reazione violenta di Pietro al momento dell’arresto del suo Maestro (Cfr. Gv 18,10).
Giuda, dunque, tradisce Gesù e lo consegna nelle mani dei suoi aguzzini, convito che sarebbe riuscito a obbligarlo a mostrare tutto il suo potere. Evidentemente si sbagliava. Da qui il pentimento, la disperazione, la chiusura totale a Dio e quindi il suicidio:
Allora Giuda – colui che lo tradì -, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “A noi che importa? Pensaci tu!”. Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi (Mt 27,3-5).
ATTUALIZZIAMO
L’amore è una realtà interrogante, che impone il destinatario una presa di posizione, suscitando accoglienza o rifiuto. Allo stesso modo Gesù non impone ai suoi discepoli di amarlo o di restargli fedeli sempre. A loro lascia persino la libertà di abbandonarlo nella misura in cui non accettano il suo insegnamento (Cfr. Gv 6,66-67). Così Giuda ha deliberatamente deciso di fare di testa sua. In quell’ultima cena, col tradimento nel cuore, aprì le porte a Satana, abbracciò le tenebre e diede le spalle al Maestro e alla sua comunità (Cfr. Gv 13,21-30).
Cosa ne può venire di buono per un uomo in queste condizioni spirituali? Se Paolo nella sua lettera ai Romani invita a rifuggire con orrore da ogni forma di malvagità (Cfr. Rm 12,9), San Pietro nella sua prima lettera, esorta i cristiani di ogni epoca con queste parole:
Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono imposte ai vostri fratelli sparsi per il mondo (1Pt 5,8-9).
Nessuno di noi è esente da questa vigilanza: tenere chiuse tutte le porte dell’anima, della mente e del cuore al Nemico e non lasciargli nemmeno il benché minimo spiraglio attraverso il quale possa insinuarsi.
La tentazione del bastare a se stessi, dell’autosufficienza nei riguardi persino di Dio, resta ancora oggi uno dei grandi problemi per molti cristiani e Giuda ne è un esempio emblematico. Decide di portare avanti il suo di piano, non quello di Dio, diventando così il tralcio di una vite che ad altro non serve se non come legna da ardere (Cfr. Gv 15,4-6). Benedetto XVI nell’udienza generale del 18 ottobre 2006, approfondendo la figura del traditore, esortava con queste parole tutti i cristiani a vincere la tentazione di bastare a se stessi:
«Le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L’unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista. Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui»
L’errore di Giuda deve essere per i cristiani di tutti i tempi una costante verifica sulla qualità del proprio rapporto con Dio, del suo discepolato, della sua totale adesione e dipendenza da Lui. Non avere la pretesa di piegare la sua volontà alla nostra, ma al contrario cedergli il timone della nostra vita e fargli dono della nostra volontà nella più totale fiducia. Non possiamo allora esimerci dal domandarci: cosa anteponiamo alla volontà di Dio? Giuda probabilmente antepose il denaro o i suoi ideali, ma per noi deve sempre valere l’invito di amare Dio sopra ogni cosa (Cfr. Dt 6,5; Mt 6,24; 10,37), a riconoscere nella preghiera, nei Sacramenti e nella lettura orante della Parola di Dio, il legame fondante e affettivo che ci lega con vincoli indissolubili a Dio.
Un’ulteriore provocazione per la nostra vita cristiana ci viene dal modo con cui Gesù appella il traditore: amico (Cfr. Mt 26,50). L’invito è quello di non permettere che i tradimenti, i colpi bassi, le calunnie, ci rendano delle persone aride, chiuse e incapaci di accoglienza e riconciliazione. Sia l’atteggiamento di Gesù un costante invito a vincere il male col bene (Cfr. Lc 6,5; Rm 12,17.21; 1Ts 5,15). Anche qualora i traditori fossimo noi, la vita di Giuda sia per noi un insegnamento a non disperare mai. Abbiamo tutti una seconda possibilità, sempre. Dio è lì pronto a tenderci una mano, a perdonarci.
Tuttavia l’invito è quello di non rimandare troppo l’incontro sacramentale della riconciliazione, perché potremmo arrivare in un punto di non ritorno.
Non dimentichiamoci che se Gesù sceglie come apostoli gente rozza, di poca cultura, con uno spessore morale o spirituale che lascia desiderare, e riesce a vedere in loro del potenziale, andando oltre i loro limiti, se allo stesso modo si comporta così anche con noi, perché non dovremmo fare lo stesso anche noi col nostro prossimo, con i tanti Giuda che hanno svenduto la nostra fiducia e la nostra amicizia?
Fame della Parola di Dio?
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