Il matrimonio cristiano come opportunità di salvezza eterna

Il giorno del matrimonio è il momento più bello della vita di molte coppie, in cui consacrano il loro amore nella grazia di Dio e proclamandolo eterno a tutta l’assemblea riunita.
Tuttavia, svincolato dalla mera dimensione romantica, con questo articolo intendiamo approfondire questo mistero d’amore sacramentale, che proviene come grazia dal fianco squarciato di Cristo, a partire da una delle letture più scelte dagli sposi per la celebrazione del loro matrimonio: il secondo capitolo del libro della Genesi.

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Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto.
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
Allora l’uomo disse:
«Questa volta essa
è carne dalla mia carnee
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall’uomo è stata tolta».
Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.

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Il tema del matrimonio appare fin dalle prime pagine della Bibbia, quasi come se fosse l’urgenza, la priorità di Dio. Egli, infatti, si rivela all’uomo e invita all’amore. Solo più tardi, grazie alle successive rivelazioni storico-scritturistiche l’uomo di fede potrà capire che l’essenza stessa di Dio, la sua identità, è l’amore.

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L’apostolo Giovanni nella sua prima lettera ce ne dà una descrizione chiara, definita, teologicamente alta, chiara e inconfutabile, ma ci troviamo già nel I secolo dopo Cristo, mentre si presume che il libro della Genesi sia stato scritto nel VI secolo a. C., ben settecento anni dopo. L’apostolo con grande lucidità, sintetizza con queste parole tutto il mistero di Cristo, ultima rivelazione di un Dio amante dell’umanità:

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi (1Gv 4,-12). 

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Perché parlare dell’amore umano all’inizio della Bibbia e non di quello divino?
L’interrogativo è lecito. Non è forse più importante il Signore, il suo modo di rivelarsi al mondo, la sua identità, il suo amore, quello che lui si aspetta dagli uomini, invece che parlare dell’amore naturale tra un uomo e una donna?

La risposta a questo interrogativo è presto comprensibile: l’amore che unisce i coniugi è quello più simile a ciò che unisce Dio all’umanità. Sì, Dio ama gli uomini come uno sposo innamorato fissa la sua amata perdendosi negli occhi di lei, non desiderando altro che lei per sempre.
San Paolo nella sua lettera agli Efesini, coglie questo elemento legato all’identità di Dio rivelato dal Figlio e afferma:

E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito (Ef 5,25-33).

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A motivo di questo forte sentimento che lega il Signore all’umanità, si può ben comprendere perché l’Antico Testamento presenta il volto di un Dio geloso di fronte a un popolo di Israele spesso infedele all’alleanza “nuziale”, volgendosi alle divinità pagane. Da qui il divieto di venerare alte divinità. Giusto per fare un esempio, leggiamo nel libro del Deuteronomio:

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Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti (Dt 5,7-10).

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Dunque, per rispondere alla domanda chi ci siamo posti in questo paragrafo: parlare dell’amore sponsale è quanto mai urgente per l’autore sacro, in quanto si tratta di parlare di Dio stesso, di presentarlo in poche semplici battute, delineando la sua intima identità.

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Lo stupore di Adamo quando si perse negli occhi di Eva
Tutta la creazione è un grande atto di premura e attenzione di Dio per l’uomo. Come ogni genitore, prima della sua venuta che gli crea un corredo e un luogo adeguato per accoglierlo, così prepara la sua “creazione “venuta” con la creazione del cielo, degli astri, della terra, del mare, del cielo, della notte e di ogni tipo di vegetale.
Quando tutto è pronto crea l’uomo e gli dona il frutto delle sue fatiche, con l’impegno di prendersene cura:

Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15).

Creato l’uomo, lo sguardo di Dio non si sposta mai da lui, non per controllarlo, quanto per vigilare su di lui, sul suo benessere. E in effetti ben presto si rende conto che per quanto inerito nell’idilliaca cornice dell’Eden, l’uomo si sente irrimediabilmente solo. Da qui la creazione degli animali.

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Eppure, ancora una volta, qualcosa non funziona. Il mondo animale non è sufficiente a riempire il vuoto relazionale che prova Adamo. Da qui la creazione della donna:

Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. 

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La donna segna un momento cruciale all’interno dell’atto creativo divino: il suo atto finale, l’opera della maturità di un grande artista, la creazione dopo il suo capolavoro, il momento in cui si supera definitivamente. Da qui, lo stupore di Adamo:

Allora l’uomo disse:
“Questa volta
è osso dalle mie ossa,
carne dalla mia carne.
La si chiamerà donna,
perché dall’uomo è stata tolta” (Gen 2,21-23).

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Appartenersi l’un l’altro
Esiste una grazia particolare che viene concessa come dotazione dallo Spirito Santo a conclusione del rito del matrimonio, quando sugli sposi il sacerdote imparte la solenne benedizione.  Il rito lo esprime chiaramente: in Chiesa gli sposi entrano separatamente, ma a Messa terminata, i due escono mano nella mano. Questo rivela che ciò che prima era una coppia ora non è che una sola nuova creatura.

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La grazia del matrimonio, dunque, comporta una vera e propria trasformazione non solo esistenziale, dato dal rinnovamento dello stile di vita, ma anche spirituale, intacca l’essenza stessa degli sposi. Si tratta di avere un nuovo progetto di vita condiviso, con una sola volontà.

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Rivedere le priorità
Nella vita dei nuovi coniugi è probabile che arrivino tempi nei quali molte cose sembreranno più che importanti, imprescindibili: la casa da sistemare, la carriera, i figli da seguire ed educare, i genitori che si fanno anziani., ecc. Eppure, non dimentichino gli sposi che mai nulla sarà più importante della loro relazione, della tenerezza che deve legarli e che per sussistere necessita di essere alimentata con costanza ogni giorno.

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Il teologo don Fabio Rosini, con fare emblematico, al riguardo, esorta gli sposi ricordando loro che sono i figli nascono dalla coppia, ma non potrà mai essere il contrario.
Da qui l’esortazione a non cedere alla tentazione di rivedere le priorità degli sposi a partire proprio dal giorno del loro matrimonio, imparando a prendersi del tempo per loro stessi, per loro da soli. Dopotutto, il più grande insegnamento che i genitori possono dare ai loro figli, prima delle parole e dei gesti, sarà proprio la tenerezza del loro amore. Null’altro li farà crescere più felici, sereni e realizzati.

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Celebrare solennemente, e pubblicamente, una sconfitta
Amare significa saper perdere, donarsi completamente e gratuitamente all’altro. Per amare bisogna saper perdere tempo, progetti personali. E in effetti gli sposi, alla presenza del sacerdote che li assiste nella celebrazione, dei testimoni e dell’assemblea, proclamano pubblicamente questa sconfitta. Essi decidono di perdere alla superbia di pensarsi autosufficienti, di poter bastare a se stessi. Decidono, altresì, di perdere mettendo tutto se stessi in discussione, mentre tutto in turno la società vi dice: “Ma chi te la fa fare”.

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Per sposarsi occorre davvero una certa dose di coraggio, ma dopotutto solo chi è in grado di fare follie per amore è capace di amare veramente. L’amore vero non potrà mai accompagnarsi al calcolo statistico

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Essere salvezza l’uno per l’altro
La creazione di Eva dalla costola di Adamo, non svolge un ruolo funzionale. La donna non viene creata perché l’uomo non si senta solo, perché sia felice ed ella possa renderlo sempre tale. Eva viene creata per completare una creazione bella, ma ancora non pienamente perfetta, non ancora del tutto completa. Ella sortisce per l’uomo, come per l’intero creato, come quell’ultimo tassello di un mosaico senza del quale non si può godere pienamente del disegno.
Di questa maniera, gli sposi possono riconoscersi come esseri umani, solo nella misura in cui comprendono che l’altro è il tassello che mancava alla sua vita, la parte mancante che dona splendore e comprensibilità all’opera.
Eva viene creata, dunque, perché salvi Adamo dall’oblio di un’eternità vuota, di solitudine, privo di senso e significatività, condannato a vagare, con lo sguardo perso nel vuoto, per il giardino dell’Eden. Allo stesso modo Adamo salva Eva dall’inesistenza: ella nasce da un’esperienza di carenza dell’uomo.

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Salvarsi reciprocamente è l’imperativo morale che sorge ai coniugi fin dal momento del loro “Sì” all’altare di Cristo e con esso essere anche salvaguardia della gioia dell’altro, come della saluta fisica, morale, psicologica e spirituale.
È per questo che non ci si sposa perché si sta bene insieme. Al contrario, lo si fa per salvarsi, perché il marito senza la moglie sarebbe perso, vivrebbe da dannato, e lo stesso vale per la moglie. Da qui la necessità di alimentare sentimenti di devozione e gratuita reciproca. È dall’altro che ci si deve aspettare gioia e salvezza: ciò che non ci si può dare da soli.

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Imparare ad amarsi in maniera sovrannaturale
Il problema di molte relazioni coniugali oggi, è la pretesa di vivere secondo l’illusione di un amore romantico e passionale, come un fuoco che arde incessantemente di desiderio per l’altro. Tuttavia il cuore, come la persona dell’uomo, ha le sue stagioni che il tempo muta, matura. Per questo non si può vivere di innamoramenti, né di passioni forti. Questi hanno i loro tempi, e sono segnati, cedono al tempo.

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Per amarsi per davvero, in eterno, gli sposi hanno bisogno di un altro tipo di amore: un amore sovrannaturale e per poterne godere è necessario chiederlo a Dio nella preghiera, ogni giorno, con molta umiltà.

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“Signore dammi tu l’amore col quale amarla”, e viceversa, deve essere la preghiera quotidiana del coniuge che intende far funzionare il suo matrimonio, perché lo sguardo resti sempre lucido quando guarda la sua metà, come se fosse il primo giorno, anche quando gli anni passano.

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Si tratta di una vera e propria grazia che proviene dal cuore misericordioso e tenero del Padre, che permetterà agli sposi di superare le difficoltà della convivenza, le prove di ogni tipo, le divergenze sull’educazione dei figli e le incomprensioni.

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L’indissolubilità come sigillo su un amore già eterno
La grazia propria del sacramento del matrimonio, fa dell’unione sponsale tra un uomo e una donna, un legame indissolubile. Tuttavia bisogna riconoscere che gli sposi che si presentano presso l’altare di Cristo per celebrare sacramentalmente la loro unione,
sperimentano già che il loro amore è per sempre, che non potrà esserci altra realtà (cosa, persona, vissuto) capace di dare pienezza, senso e bellezza alla propria vita se non il marito o la moglie.
Per questo il tempo del fidanzamento è un vero e proprio periodo di discernimento, una sorta di seminario per i futuri sposi. Durante questo percorso essi devono comprendere se davvero sono fatti l’uno per l’altro e capire se quello è un amore sano, bello, voluto da Dio. Una volta che i due fidanzati avranno compreso e fatto esperienza che la loro storia d’amore è già di per se stessa una storia di salvezza, possono non solo promettersi amore eterno, ma riconoscere che amore più grande di quello non esiste perché reso bello dalla grazia del Signore che li ha uniti e condotti mano nella mano anche nei giorni bui delle prove della vita, che non li ha fatto desistere e scoraggiare nemmeno di fronte alle normali crisi di coppia, portandoli fino all’altare.

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In questo senso si può ben comprendere che non ci si sposa semplicemente perché si sta bene insieme. La prospettiva, infatti, dev’essere quella esattamente opposta: si sta bene insieme perché sposati, perché si è fatto esperienza della genuinità di un rapporto voluto e tenuto insieme da Dio, di un amore che proviene come dono dalla sua Provvidenza e dalla sua misericordia che dona il marito alla moglie, e viceversa, come opportunità di salvezza eterna sperimentabile già qui e ora.

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Quale conseguenza di fronte a questo dono così grande?
In diversi dei nostri approfondimenti biblici, abbiamo avuto modo di affermare come ogni dono di Dio comporti per l’uomo una certa responsabilità nella risposta: ogni grazia ricevuta contiene in sé un compito, una vocazione specifica, che se accolta comporterà la possibilità di vivere veramente appieno quella grazia ricevuta.

Riflettendo, dunque, su quanto affermato nel precedente paragrafo, comprendiamo che al fare un dono così grande agli sposi, Dio si aspetti qualcosa di specifico da loro. In effetti la prima missione degli sposi, non è propriamente quella di fare figli e sistemarsi monoliticamente attorno a un focolare domestico e guai a chi li smuove. Al contrario, proprio la fecondità del loro amore pro-creativo, li rende soci di Dio nell’opera redentrice del mondo. Il Signore, lo abbiamo visto, non crea l’uomo e la natura abbandonandoli a loro stessi in un paradisiaco Eden. L’atto creativo di Dio è strettamente collegato a quello redentivo.

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Per questa ragione, il primo compito degli sposi, quello che rende davvero fecondo, apportatore di vita nuova, il loro amore è la missionarietà. Se il marito realizza la sua vocazione al matrimonio divenendo opportunità di salvezza per la moglie, e viceversa, questo non può rimanere chiuso all’interno delle mura domestiche. Infatti, come il nostro Dio è un Dio comunicativo, che entra in relazione extra-trinitaria con chi è completamente diverso da sé, l’umanità, così gli sposi sono chiamati a farsi missionari, testimoni delle grandi opere compiute dal Signore per loro, affinché altre anime possano salvarsi.

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La pro-vocazione della tenerezza coniugale dunque deve tendere a mettere in crisi l’uomo di oggi, disperso nel marasma del non-senso e dei mille idoli da adorare (in primis se stesso), e fargli sorgere una riflessione: “Se questi due sposi sono capaci di un amore così tenero, gratuito e oblativo, quanto più Dio nella sua onnipotenza deve amare me”.

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Per una nuova professione di fede
Ogni domenica a Messa, dopo l’omelia del sacerdote celebrante, l’assemblea è invitata a porsi in piedi recitando una lunga preghiera che si è imparati fin da bambini al catechismo, e in cui sono contenute una serie di verità profonde senza nemmeno comprenderne bene il significato.

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Dal momento del loro “sì” all’altare, però, ai coniugi viene consegnato, potremmo così dire, un nuovo Credo, non molto diverso da quello di sempre, ma che in qualche modo lo specifica, lo incarna nel loro vissuto quotidiano.

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Gli sposi, accogliendo la loro vocazione di missionari della divina tenerezza, sono chiamati a urlare al mondo, pubblicamente, come veramente non esista che un solo Dio – «Padre onnipotente» –, un solo Gesù Cristo –«unigenito Figlio di Dio» – e un solo Spirito Santo – «che è Signore e dà la vita» – e che il suo mistero si riassuma proprio nell’amore che prova verso l’umanità. Amore di cui essi hanno fatto esperienza giorno per giorno attraverso eventi concreti, tangibili, nella loro storia personale e di coppia.

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È il Credo di gente grata, toccata dalla misericordia di Dio, così felice che non possono fare altro che proclamare, a imitazione di Maria:

L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono (Lc 1,46b-50).

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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