La vita nuova come provocazione del Natale cristiano

Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

INTRODUZIONE
L’attesa è finita. Abbiamo vissuto questo tempo di avvento nell’attesa e nella penitenza, in un atteggiamento di conversione. In queste domeniche siamo stati esortati a vivere la nostra vita cristiana come un cammino comunitario, diretti verso la vetta di un monte che è l’incontro con il Signore (vedi link in basso), con lo stesso atteggiamento della Vergine Maria a cui l’angelo dona una vocazione alla gioia (Cfr. Lc 1,28; approfondisci ai link in basso).

Guardando poi l’esperienza del Battista in carcere che chiede conferme sull’identità messianica del Nazareno (Cfr. Mt 2,1-11) e da quella di Giuseppe che nel sogno comprende che il bimbo nel grembo della sua promessa sposa, altro non è che il Figlio di Dio (Cfr. Mt 1,18-24), la Chiesa ci ha invitato a non dare mai per scontata l’opera del nostro Signore, di lasciarci stupire da lui anche quando sembra solo che scombini i nostri piani.

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Carichi di questo grande bagaglio spirituale che ci è stato offerto dalla liturgia della Parola del tempo di avvento, ecco che finalmente è giunto il momento di poter contemplare il Dio che si fa uomo per rendere gli uomini come Dio.

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Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia (Is 52,7-10)

Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.

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Il tono di questo brano è particolarmente gioioso, carico di speranza perché il profeta Isaia, insieme a tutto il popolo di Israele, ha fatto esperienza della fedeltà di Dio che ha liberato il popolo dal giogo dell’oppressione delle nazioni straniere.

«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza»

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Rileggendo questo primo versetto della prima lettura di oggi, l’attenzione deve spostarsi necessariamente sulla figura della madre di Dio. Ella, infatti, una volta accolto l’invito dell’arcangelo Gabriele, come primo “atto istituzionale” del ruolo appena ricevuto, si reca piena di gioia dalla cugina Elisabetta alla quale annunciare l’inizio dei tempi messianici (Cfr. Lc 1,39-45).

Tutto questo sortisce per noi cristiani un forte invito alla condivisione gioiosa della nostra fede: il fatto di aver incontrato Cristo nella nostra vita, non potrà mai restare qualcosa di nascosto o privato, semplicemente perché le belle notizie sono fatte per essere condivise.

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I magi condividono alla corte di Erode della nascita del Messia (Cfr. Mt 2,1-12), lo stesso fanno gli angeli ai pastori di Betlemme (Cfr. Lc 2,8-19) i quali, poi, diventeranno essi stessi annunciatori della lieta notizia (Cfr. Lc 2,20; approfondisci cliccando ai link in basso).

Allo stesso modo, dunque, non può esserci vera fede senza l’impegno missionario del credente. Per poter fare davvero un’esperienza profonda, intima e trasformante di Cristo è intrinsecamente necessario rischiare di compromettersi nell’annunciarlo al mondo come la lieta notizia che da tempo attendeva.

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Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,1-18)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità. 
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

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Contesto
Ci troviamo di fronte al solenne prologo con il quale inizia il Vangelo di san Giovanni. Egli, diversamente da Matteo e Luca, non riporta propriamente i Vangeli dell’infanzia, i brani, cioè, che ricordano gli eventi della famiglia di Nazaret nei primi passi della loro vita domestica. Non viene, nemmeno, riportato nessun episodio del Gesù fanciullo, ma riporta all’eternità la sua “genesi”, come Figlio del Padre generato da lui nell’eternità.

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Per Giovanni quel Gesù storico che muore in croce e poi risorge, nato a Betlemme da una famiglia come tante, è il Verbo coeterno di Dio generato da lui prima che il mondo fosse, anzi è persino coautore della creazione. Infatti afferma:

tutto è stato fatto per mezzo di lui.

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Questo Verbo di Dio inaccessibile, nel tempo e nello spazio, come il Padre, colma l’insondabile vuoto tra il cielo e la terra, divenendone il ponte (da cui Pontefice), condizione di accesso dell’uomo al cielo e di Dio alla terra. Perché questo possa accadere, egli deve abbassarsi, accogliere la fragilità della nostra natura:

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi

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In che modo si rivela nella nostra quotidianità il Verbo?
L’apostolo Giovanni usa due simboli, due immagini, attraverso el quali spiega il modo in cui Dio, attraverso il Figlio, si è rivelato all’umanità non solo nella sua carne, due millenni fa, ma ancora oggi nella nostra esistenza feriale, quotidiana.

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La prima immagine è quella della vita. Rileggiamo:

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
.

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Il Verbo di Dio non solo ha collaborato una sola volta col Padre donando la vita all’universo, nella creazione, ma in qualche modo dona la vita all’uomo ogni giorno, in ogni respiro, e gliela dona, persino, per l’eternità (avendo pagato a prezzo del suo sangue il riscatto dell’uomo dalle falangi della morte e del peccato).

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L’intuizione di Giovanni è particolarmente importante perché ci rivela il modo di donarsi di Dio. Infatti se il Verbo si identifica nella vita, questa non resta rinchiusa in sé, ma si dona. Infatti condivide con l’uomo, non solo ciò che ha, ma ciò che è: essendo vita, dona la vita.

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Da questa donazione di Dio che si dona e si fa dono, cogliamo ancora una volta la sfida dell’amore per il nostro prossimo, come condizione per realizzare quella vocazione alla quale Dio ci chiama fin dagli albori dell’amicizia con l’uomo:

Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo (Lv 11,44)

Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro (Lc 6,36).

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La connotazione del simbolismo della vita, poi, ha un rimando affettivo che sarebbe utile ricordare. Dio è la vita che ci consente l’esistenza (ora e per l’eternità), ma allo stesso tempo rende bella la nostra esistenza perché appunto è lui stesso l’Amore (Cfr. 1Gv 4,8). Se c’è una cosa che comprendiamo fin dagli inizi della nostra adolescenza è che l’amore rende bella da vivere la nostra vita. Non a caso quando si ama particolarmente una persona, le si dice: “sei la vita mia”. Se questo è vero tra due persone innamorate, o comunque molto unite da vincoli affettivi o parenterali, è ancora più vero nella nostra relazione con Dio.

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La seconda immagine che Giovanni usa per qualificare il Verbo increato e divinamente generato è quella della luce:

La luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta
.

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Come la luce di un nuovo giorno dona nuovo colore alle nostre città, nuova bellezza al creato e lo splendore dell’alba cattura i nostri sensi e tacitamente ci invitano a lodarne il Fattore, ancora di più lo è presenza di Cristo nella nostra vita. Egli illumina non solo il nostro mondo interiore (le nostre mozioni, scelte e atteggiamenti, paure ancestrali e gioie), ma anche ci permette di essere persone nuove, capaci di riflettere la sua luce al nostro prossimo. Dopotutto è innegabile che chi ha davvero incontrato Cristo nella sua vita e ne ha fatto un’esperienza trasformante, è subito riconoscibile. È come se avesse una marcia in più, una luce particolare nello sguardo, una gioia intima che traspare in gesti di tenerezza e accoglienza.
Ma non solo. Gesù è la luce che distrugge le tenebre del nostro peccato e della morte, accostarsi a lui significa accostarsi alla gioia eterna pregustabile già qui ed ora.

La conseguenza di una vera accoglienza di Cristo
Se c’è qualcosa di davvero tanto grande che Giovanni scrive, riguardo Dio e il Figlio, tanto da sembrare quasi incredibile, è quello che scrive poco dopo. Rileggiamo:

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A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio
:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.

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L’evangelista Giovanni sta rivelando qualcosa di meraviglioso: l’accoglienza di Cristo nella nostra vita (nella serietà di tutto quello che comporta di adesione e conformazione alla sua vita), sortisce in noi una nuova esistenza: veniamo rimessi al mondo, non più gestati nel grembo materno, ma in quello divino.

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L’uomo, dunque, che decide di fare sul serio con Dio, e di vivere una vera conformazione a Cristo, diventa davvero figlio di Dio proprio al pari del Figlio generato nell’eternità. Si realizza così l’intuizione del Salmo 82, che poi viene ripreso da Gesù in un suo insegnamento:

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Io ho detto: “Voi siete dèi,
siete tutti figli dell’Altissimo (Sal 82,6).

Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. Gesù disse loro: “Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?”. Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”. Disse loro Gesù: “Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre” (Gv 10,31-38)

Guardando alla grandezza alla quale siamo chiamati, oggi siamo invitati a riscoprire quanto è bella la dignità della nostra vita, della nostra esistenza. Siamo così belli che il Verbo di Dio ha voluto assumere la nostra natura, farsi simili a noi perché noi acquisissimo anche la dignità divina.

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Ma per godere di questo valore aggiunto di bellezza, siamo chiamati davvero a credercelo, a non accontentarci della mediocrità di una vita cristiana fatta di una sola semplice Messa domenicale, del piccolo, ristretto e asfissiante, gruppetto di amici e parenti, della sciocca presunzione di bastare a noi stessi e di poter ignorare l’altro, sabotandolo.

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Se la Chiesa nella quale vogliamo vivere, la riconosciamo per davvero come Corpo mistico di Cristo, allora dobbiamo amarlo questo Corpo in tutte le sue membra.
Nella seconda domenica di Natale, in maniera paradossale, dunque, non celebriamo il Natale di Gesù, ma il nostro (Cfr. Maestro Eckhart, Il Natale dell’anima)! Cristo nasce uomo, perché noi oggi possiamo rinascere come figli di Dio, ma per esserlo dobbiamo davvero comportarci in maniera degna di un tale Padre.

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CONCLUSIONE
Tutta la grandezza e l’eternità di questo Verbo di Dio, oggi lo contempliamo umile in una mangiatoia, disprezzato fin già dal grembo di Maria quando a Betlemme nessuno ha voluto dargli un alloggio.
Per questo, sia per noi oggi un Natale di accoglienza: di quel Cristo che ci raggiunge attraverso strumenti umili che sono le persone che incontriamo e che riempiono le ns giornate.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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