Os 2,16.17.21-22; Sal 44; Mt 25,1-13
Prima lettura
Così dice il Signore:
«Ecco, la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore.
Là mi risponderà
come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d’Egitto.
Ti farò mia sposa per sempre,
ti farò mia sposa
nella giustizia e nel diritto,
nell’amore e nella benevolenza,
ti farò mia sposa nella fedeltà
e tu conoscerai il Signore».
Contesto
In questo brano tratto dal libro del profeta Osea, è Dio che parla e dà al suo mediatore un messaggio per il popolo adultero, che ha tradito la sua relazione con Dio e, peccando di infedeltà, si è dato all’idolatria. Di fronte a questo grave atto di chiusura a quel Dio di cui Israele ha potuto fare esperienza della sua tenerezza, della sua provvidenza e della grande potenza nel liberarlo dalla schiavitù in Egitto per farlo entrare in una terra tanto fertile dove simbolicamente scorrono latte e miele, YHWH che fa? Anziché minacciare tremende punizioni e vendette, si lascia andare a una grande dichiarazione d’amore per il suo popolo.
Lo avevamo visto nel precedente approfondimento biblico, “Nutrire l’anima“: Dio premia i cristiani anche quando questi non devono far altro che lasciarsi attrarre dal magnetismo della sua tenerezza. L’esperienza di questa inaudita, paradossale e assurda tenerezza divina, fu particolarmente dolorosa per S. Teresa d’Avila che di fronte ai suoi peccati si vedeva punita da Dio con copiose grazie:
«Oh, Signore dell’anima mia! Come potrò esaltare le grazie che in quegli anni mi avete fatto? Pensare che proprio mentre io più vi offendevo, voi, in poco tempo, mi disponevate, mediante un vivissimo pentimento, a godere dei vostri doni e favori! In verità, o mio Re, facevate ricorso al più raffinato e penoso castigo che poteva esserci per me, come chi ben capiva ciò che doveva riuscirmi più increscioso: punivate i miei misfatti con grandi favori»
Teresa d’Avila,Libro della vita, 7,19.
Il messaggio d’amore di Dio per il suo popolo
In cosa consiste l’inno d’amore che Osea deve riportare all’adultero popolo di Israele? Che Dio, nonostante tutto, lo ama con un amore sponsale, e perché ritorni in sé lo condurrà nel deserto (luogo in cui per quarant’anni il popolo ha fatto esperienza della sua tenerezza e non ha avuto altro appoggio che in lui) e lì, nella totale solitudine, nell’allontanamento da tutte le sue idolatri, potrà tornare a sentire la voce dell’Amato divino che sussurrerà ancora al suo cuore.
L’amore di Dio va sempre oltre, per fortuna, la nostra disposizione morale e spirituale. Se c’è una cosa che Dio non può fare è non amare. L’amore lo definisce intimamente ed Egli continuerà ad amare al massimo delle sue facoltà l’uomo, al di là se egli lo accoglierà o lo tradirà.
Perché Israele, però, possa rientrare in se stesso, riafferrare la sua identità di popolo eletto, santo e salvato con mano potente da un Dio liberatore, è necessario che vada nel deserto e sperimenti silenzio e solitudine. Allo stesso modo anche noi abbiamo bisogno di questi due strumenti per ricentrare la nostra vita morale e spirituale. Lì dove non possiamo più contare su noi stessi e sulle nostre idolatrie, possiamo tornare a fare esperienza di un Dio che già da tempo ci tendeva la mano, ma accecati dalla nostra idolatria non potevamo percepirlo.
Salmo 44
Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio:
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
il re è invaghito della tua bellezza.
È lui il tuo signore: rendigli omaggio.
Entra la figlia del re: è tutta splendore,
tessuto d’oro è il suo vestito.
È condotta al re in broccati preziosi;
dietro a lei le vergini, sue compagne,
a te sono presentate.
Condotte in gioia ed esultanza,
sono presentate nel palazzo del re.
Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai prìncipi di tutta la terra.
Il Salmo parla di un rito nuziale che sta per iniziare: la prospettiva è quella di una principessa che sta per entrare al cospetto del re per il quale sta consacrando la sua vita e il suo amore.
Come per ogni matrimonio, i due sposi sono chiamati a lasciarsi alle spalle le loro famiglie di appartenenza, per progettarsi in un futuro completamente nuovo che riplasmi la loro vita, la loro storia e persino la loro identità.
Il rito nuziale viene anticipato dalle parole del Salmista, quasi sussurrate all’orecchio della principessa alla soglia dell’ingresso dell’aula liturgica, quasi fossero le ultime parole di raccomandazioni perché questa possa vivere appieno questo giorno così importante e divenire la donna che è chiamata ad essere.
Guardando questo Salmo, oggi, ogni cristiano è chiamato a identificarsi: Dio, il Re, vuole sposarci a sé, entrare in una comunione intima e amorosa con noi, pervadere di «gioia ed esultanza» la nostra vita. Allo stesso tempo, però, all’anima-sposa non è chiesto che di dimenticarsi di quel suo passato lontano da Dio, perché non si può arrivare a lui e continuare con il peccato e l’idolatria. Lo abbiamo ben compreso nella prima lettura, quando Israele per arrivare al suo sposo, deve necessariamente passare per il deserto.
Se già per mezzo del Battesimo il cristiano è entrato in questa logica di sponsalità con Dio, maggiormente questo patto nuziale viene rinnovato per mezzo del Sacramento della Riconciliazione e in quello dell’Eucaristia dove i due sposi, misticamente, diventano un solo corpo e un solo sangue.
Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
Contesto
Avviandoci ormai verso l’ultima sezione del tempo ordinario, la liturgia della Parola ci invita a riflettere sulle realtà ultime dell’uomo, quelle, cioè, che riguardano la rivelazione finale di Cristo come Signore del cielo e della terra. Per questa ragione nella celebrazione di ieri, è risuonato l’invito di Cristo a farci trovare pronti per il suo ritorno alla fine dei tempi (vedi link in basso). Si situa, in questo modo, anche il brano evangelico odierno, in cui si rivela con quale aspetto e intenzioni egli verrà alla fine dei tempi e come si aspetta che noi dovremmo riceverlo.
Dieci vergini per un Re
Con questa parabola, Gesù ci rivela che tutti siamo degni di ereditare il regno dei cieli, tutti siamo chiamati alla salvezza e alla gioia eterna, ma per poterne godere dobbiamo farci trovare pronti al suo arrivo, con la lampada accesa della nostra fede. Saranno le nostre stesse azioni a decretare se siamo degni di godere della sua eternità amorosa, o autocondannati a vivere in un perenne e tenebroso oblio.
Stolti come le cinque vergini
Il brano del Vangelo di oggi ci rivela una cosa fondamentale: se penso di poter godere di Dio, della sua salvezza e starmene con le mani in mano, sto proprio sbagliando. È quello che capita alle cinque vergini stolte che aspettano lo sposo, ma poi non se ne preoccupano più di tanto. La loro accoglienza dell’amato è inesistente, sono disinteressate di lui, credono che tutto debba ruotare attorno a loro. Si illudono grandemente! Eppure non bastava altro che farsi trovare preparate, nient’altro. Lo sposo non si aspettava che un minimo di accoglienza.
Molti cristiani, oggi, vivono come queste vergini una vita da stolti, insensati, senza un minimo di pensiero critico a quello che fanno, capaci solo di pretese nei riguardi di Dio e degli altri. Se pensiamo che tutta la nostra vita cristiana consisti semplicemente nella partecipazione ad una S. Messa domenicale e a una Confessione un paio di volte l’anno, siamo davvero molto lontani da quello che significa essere cristiani.
Quando lo sposo arriva cosa hanno il coraggio di chiedere? L’olio dalle altre vergini. È qualcosa di assurdo, ma anche molto attuale. Non possiamo pensare di salvarci con la pretesa che gli altri lavorino per noi. Non possiamo pretendere di avere una grazia e lasciare che siano gli altri a pregare per noi. Così come nella vita adulta, anche in quella cristiana ci sono responsabilità e doveri che non possono essere demandati. Se nel corso della tua vita non hai fatto nulla per alimentare la tua fede (preghiera, sacramenti, impegno personale nella comunità ecclesiale, approfondimento personale sui temi della fede, meditazione della Bibbia), come puoi pretendere che siano gli altri a darti ciò che hai sempre rifiutato o ritenuto superfluo?
Le vergini sagge
Cosa rende tali queste cinque ragazze? L’amore per lo sposo! Lo amano e lo attendono a tal punto che non lasciano nulla al caso, desiderano poterlo accogliere nel migliore dei modi, così come egli merita. Così, anche se alla fine pure loro si addormentano (indice di una fragilità accolta e compresa da Dio), al richiamo che preannuncia il suo arrivo, loro possono farsi trovare pronte e imbellettate.
Per queste vergini, il fatto che lo Sposo non sia presente, non implica che possano disinteressarsene. Al contrario per loro l’attesa della sua venuta aumenta il desiderio di incontrarlo. Questo è l’atteggiamento che oggi come cristiani siamo chiamati ad imitare.
L’ottica esistenziale di queste donne è l’aver compreso che tutta questa vita è una attesa, qualcosa che volge a un fine (e a una fine), a un compimento, che non sia questa esistenza tutto ciò che possiamo attenderci e sperare per il futuro, che c’è molto altro ed esse vivono in funzione dell’attesa, e soprattutto dell’Atteso.

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