Quando Gesù parla della fine del mondo, dovremmo spaventarci?

XXXIII domenica del tempo ordinario – anno C

Ml 3,19-20; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19

INTRODUZIONE
Già da domenica scorsa abbiamo visto come la liturgia ci stia preparando a celebrare la solennità di Cristo Re con la sua venuta nella gloria alla fine dei tempi. E sempre domenica scorsa abbiamo potuto notare come il giudizio universale sarà caratterizzato dalla gioia per tutti coloro che avranno perseverato nella fede e nella carità.

Oggi in particolare la liturgia ci permette di approcciarci alla venuta finale di Cristo nell’ottica della speranza, dell’attesa della buona notizia del nostro riscatto.

Prima lettura
Dal libro del profeta Malachia (Ml 3,19-20)

Ecco: sta per venire il giorno rovente come un forno.
Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà – dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio.
Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.
 

Il profeta Malachia presta la sua voce al Signore e invita gli uomini di tutti i tempi a riconoscere che in questa vita siamo tutti di passaggio e la nostra meta è un’altra. Si tratta di un messaggio duro il suo, parla di un giudizio tremendo, di gente destinata a bruciare come paglia in una fornace. Tuttavia il giudizio finale sull’uomo non sarà indiscriminato, ma si fonderà sulla giustizia divina di cui l’uomo viene avvisato.

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La salvezza di Dio è offerta a tutti gli uomini, eppure non viene donata in maniera automatica: per poterne godere è necessario accoglierla, prepararsi ad essa con una vita virtuosa. Al contrario la dannazione non si configura come una punizione eterna di Dio, ma come deliberata scelta dell’uomo che non ha voluto seguire quegli insegnamenti divini che si sintetizzano nell’amore (Cfr. Mc 12,28b-34; approfondisci ai link in basso).

Salmo responsoriale
Dal Salmo 97

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.
Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine. 

Nel ritornello l’assemblea liturgica ripete l’ultimo versetto del Salmo. Questo si caratterizza per una gioia tanto intensa che esplode in canti, musica e danze. Una gioia così grande che pervade il creato: il mare con la sua flora e la sua fauna, i fiumi e le montagne.
Ma la domanda a cui dobbiamo rispondere è: cosa suscita questa gioia così esplosiva, incontenibile e contagiosa? La giustizia del giudizio divino!

Per lo stesso motivo, tutto ciò che riguarda la rivelazione di Dio per noi – sia che riguardi la nostra vita quotidiana, che quella eterna – non può, e non deve, non suscitarci gioia, emozione, entusiasmo. Dio non può che essere per i cristiani di tutti i tempi, la bella notizia, quella lieta, quella che si aspettavano da tempo.

Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21,5-19)

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Contesto
Siamo nell’ultima settimana del tempo liturgico, tra ormai qualche giorno inizierà l’Avvento e con esso un nuovo anno liturgico. Nel frattempo, la Chiesa ci propone di continuare la meditazione sugli insegnamenti apocalittici di Gesù, quelli che riguardano l’instaurarsi del Regno di Dio e della sua venuta gloriosa alla fine dei tempi.

Abbiamo di ché spaventarci?
La motivazione per cui Gesù insegna queste tematiche non è tesa a spaventare i suoi uditori, ma al contrario per rifondare la loro speranza quando si troveranno ad affrontare periodi di crisi e lui, solo apparentemente, non sarà con loro.
Se dunque l’intento di Gesù quando parla di queste catastrofi, non è teso a fare del terrorismo psicologico, cerchiamo di capire qual è il messaggio che era chiaro agli uomini della sua epoca e un po’ meno a noi, che siamo vissuti duemila anni dopo di loro.

Gesù continua a parlare della fine dei tempi e prende lo spunto sull’atteggiamento di alcuni israeliti che si perdevano nella bellezza del tempio ma non elevavano lo spirito a Dio. Le mura del tempio sono poca cosa se non ti rendi conto della sua sacralità e della presenza di Dio. Così Gesù ricorda che tutto su questa terra di passaggio, persino il grandissimo tempio di Gerusalemme e invita a guardare alle cose più importanti della vita.

«Maestro, quando dunque accadranno queste cose?»
Gesù evita allarmismi, non dà date, ma invita a vigilare, a vivere nella costante attesa della venuta di Dio come si attende una persona cara che non si vede da tanto tempo

«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno…»
Molti propongono forme di salvezza a basso costo: la salute, la posizione economica, la ricerca compulsiva dell’eterna giovinezza, forme deviate di affettività possessive. Qualsiasi cosa serva per stordire la coscienza ed evitare di porsi di fronte all’inevitabilità che in questa vita tutto passa, compreso noi.
Con il suo insegnamento Gesù non si propone come un profeta che porta belle notizie per tutti, ma indica una via per affrontare le prove della vita, mantenendo la pace nel cuore.

«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno»
La condizione del cristiano è quella di chi va costantemente contro corrente e se ne prende le conseguenze.
Vivere coerentemente la propria fede, mette in una situazione di crisi, perché fa emergere l’incoerenza di vita dell’altro che, com’è accaduto per i profeti, cercherà di metterti a tacere. Ma è questa l’indole più vera della vita cristiana. Non si tratta solo di essere discepoli di Cristo, come se fosse un’adesione a dei precetti morali e dogmatici. A questo si deve aggiungere la capacità di seguire il Maestro anche fin su il Calvario, portando la nostra croce, guardando lui, imitandolo.

Per questo, dunque, la qualità del discepolato si giudica in base a come si affronta la croce, come la si porta quotidianamente e la si trasformi in strumento di salvezza per noi stessi e per il mondo intero.

«Avrete allora occasione di dare testimonianza»
Cogliendo queste parole di Gesù sembra che si contraddica: se i discepoli subiranno la persecuzione a motivo della loro fede professata e testimoniata pubblicamente, perché dice che la loro testimonianza sarà data una volta che verranno perseguitati?
Qui entra in ballo l’origine etimologica della parola «testimonianza», ovvero il suo significato e la sua origine. Sappiamo, infatti, che i Vangeli ci sono giunti in greco, lingua che gli evangelisti hanno scelto di adottare nella redazione delle loro opere. In particolare la parola «testimonianza» viene dal greco μαρτύριον (martyrion), termine che l’evangelista usa quando riporta questa affermazione di Gesù.

Cosa significa tutto ciò? È chiaro che per quanto nobile il nostro dirci cristiani, questa diventi veramente tale, si nobiliti, quando alla voce si unisce tutto il corpo, tutta la vita, che professa la nostra fede. Il martirio, dunque, inteso come dare la vita per Cristo, per la fede che professiamo e per i valori che ne traiamo e decidiamo di assumere e vivere, diventa la vera testimonianza del cristiano: un libello di fedeltà scritto col sangue che resta a memoria di tutta la storia dell’umanità fecondando questo mondo di vita nuova.

Di fronte a questa ricchezza di significati a cui rimanda l’affermazione di Gesù, non possiamo che domandarci: ma per noi cristiani in Occidente, che non vivono fenomeni di persecuzione, che senso hanno queste parole? In realtà anche se non ce ne rendiamo conto, già l’indifferentismo religioso, celato dietro la parola laicità, contiene in sé una persecuzione che però nei cosiddetti paesi del I mondo, quelli che si ritengono più sviluppati, è decisamente più subdola, perché ideologica.

Non è un caso che non solo si sia tolto Dio da tutti i mezzi di comunicazione, ma lo si rende oggetto di scherno. Basti citare le vergognose copertine del tanto osannato giornale satirico francese “Charlie Hebdo”, che ritraggono nelle figure più oscene la Santissima Trinità e la figura di Gesù Cristo, ma per rimanere in terra italiana basta fare uno zapping tra le maggiori emittenti televisive del paese per rendersi conto dello scherno col quale vengono trattati i cristiani e la loro morale (giusto per fare alcuni esempi rimandiamo alla presunta satira dei programmi di Rai 3 e di Italia 1).

Dirsi cristiani oggi in Italia, per molti risulta essere una vergogna: si diventa prede facili del disprezzo altrui, di polemiche inutili e vuote di contenuti. La via più semplice, per molti purtroppo, diventa proprio quello che l’ideologia anticristiana desidera: vivere una fede privata, nascosta, individuale. E questa già non è fede! Cosa fare allora? A cosa ci invita Gesù? Esorta anche noi a non aver paura, a dare la testimonianza, a morire al nostro orgoglio, all’immagine di noi stessi che vorremmo dare agli altri, a soffrire anche per coloro che in questo modo ci causano dolore e frustrazioni.

«Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita»
L’insegnamento odierno di Gesù si conclude con questa promessa. A chi non avrà avuto paura di morire per lui, imitando il suo sacrificio per la salvezza del genere umano, spetta la salvezza eterna.
È interessante quello che ci suggerisce il significato stesso della parola “perseveranza”. Il temine di origine latina, per-sevèrus, rimanda a una certa severità con se stessi, indica cioè l’imporsi una disciplina di condotta personale che sia ferrea, severa appunto. San Paolo nella sua prima lettera ai Corinti, coglie questo insegnamento di Gesù e avverte che tanto il corpo come l’anima hanno bisogno di un allenamento duro ed estenuante. Leggiamo:

Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato (1Cor 9,24-27).

Cosa significa tutto questo? San Paolo comprende che per dare una vera testimonianza alle comunità cristiane da lui fondate, deve sforzarsi di vivere una forma di ascetismo che educhi il suo corpo e la sua anima alle cose del cielo e non a quelle terrestri, per vivere questa vita costantemente proiettata alle cose celesti. Ha scoperto che vivere questa forma di ascetismo, fondata nell’amore e nella passione per Cristo, lo aiuta ad essere più coerente con la propria fede e lo rende consapevole della transitorietà della vita umana, dell’essere fatto per cose più grandi, più alte, più belle.

Ci troviamo, ancora una volta, di fronte a una grande provocazione per la nostra vita. Lì dove la società invita all’autoconservazione, al limitare le energie e il tempo nel fare le cose, nel donarsi agli altri e a Dio, la fede cristiana ci invita invece allo spreco: all’impegnare tutto ciò che siamo e che abbiamo. A saper fare dono di quella grande ricchezza, sempre più rara, che è il nostro tempo, per donarlo nell’amore all’Altro attraverso gli altri.

Ecco allora che ci viene svelato un ulteriore strumento attraverso il quale guadagnare meriti per il regno dei cieli: il perseverare nella fede quando tutti intorno di dice che è inutile, uno spreco di tempo. Oggi, in maniera così subdola, un cristiano diventa martire quando la domenica anziché prestare ascolto a chi dice che è meglio fare altro (dormire, uscire, affaccendarsi tra i fornelli, stare proprio quel giorno con i figli, o lavorare) decide di andare in Chiesa per partecipare alla S. Messa, accettando la possibilità che al rientro a casa non otterrà che musi lunghi e mormorazioni.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)