Il titolo di questo articolo ci viene offerto da W. G. Morrice, che così lo definisce nel suo contributo pubblicato su “Dizionario di Paolo e delle sue lettere”. Perché Paolo è l’apostolo della letizia? Perché il tema della gioia, l’invito a rallegrarsi nel Signore, è una costante in tutte le sue lettere e perché il termine “gioia”, e sinonimi, appare per oltre 300 volte in tutte le sue opere.
Perché gioire?
In un’era di incomprensione della novità cristiana, in cui nascevano le prime spaccature tra il mondo ebraico (l’ambiente natale, l’humus culturale) nel quale il cristianesimo delle origini ritrovava le sue radici storiche e identitarie, e in cui il mondo pagano si rivelava intollerante e persecutori, Paolo invita alla gioia. Ma qual è il fondamento della gioia per l’apostolo. Da quale gioia i cristiani devono attingere?
La risposta a questo interrogativo lo cogliamo in un passaggio della lettera ai Filippesi, il cui contenuto è di per sé tutto un invito alla gioia. Leggiamo:
Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù (Fil 4,4-7).
All’interno della comunità, probabilmente la prima d’Europa, c’erano dissidi e tensioni che Paolo invita a superare nell’amabilità (v. 5), quindi con uno sforzo personale nella benevolenza e nella comprensione reciproca. Tuttavia l’accento è posto sulla prossimità di Dio (v. 5), la Sua vicinanza attenta e provvidente (v. 6), permetterà il perseverare della comunità nella pace (v. 7). Per questo i cristiani dovranno imparare a vivere alla Sua presenza, sotto la sua luce, per godere della sua grazia. Il tema centrale di questo brano, dunque, è la vita in Dio ed è da lui, da questa unione con lui, che proviene la gioia del credente (vv. 4.7).
Cosa intende Paolo per gioia?
Come abbiamo visto nei precedenti articoli, la gioia biblica è sempre frutto della grazia di Dio e del suo amore misericordioso e salvifico. Quando scrive ai cristiani della Galazia, Paolo li esorterà a non credere a un vangelo diverso da quello predicato da lui e di rimanere fermi nella via della grazia. Per questa ragione oppone tra loro due vie, o meglio, due frutti: quelli provenienti da una vita senza Dio e quelli provenienti direttamente da Dio e dal suo Santo Spirito. Leggiamo:

6Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
18Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. 19Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, 20idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c’è Legge (Gal 5,6-23).
La gioia è posta come dono dello Spirito Santo, secondo in ordine di importanza dopo l’amore, ed è contrapposta alla legge della carne. Si parla, dunque, di una gioia che non ha molto a che vedere con la temporalità e la fragilità della vita umana, ma ha una fonte divina, soprannaturale. Cristo che ha liberato l’uomo dalla schiavitù del peccato e della morte, lo ha reso finalmente libero. Libero di non soddisfare gli impulsi più bassi, le meschine macchinazioni umane per sovrastare egoisticamente il prossimo. Libero di dire no alla proposta del peccato che imprigiona l’uomo, e di accettare la possibilità di un’apertura verso Dio e verso il prossimo. Ecco dunque perché la gioia viene posta come frutto dello Spirito per la libertà interiore dell’uomo.
Gioire nelle tribolazioni
Se la gioia dunque è una virtù infusa da Dio all’uomo che decide di fare sul serio con lui, dunque è possibile gioire sempre, ininterrottamente, anche nei momenti più bui della vita. Per questo per Paolo, la gioia cristiana è un dovere. Lo scrive direttamente di suo pugno, mentre si trova a Roma, in prigione, prima di affrontare il suo martirio.
1Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 2Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. 3E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. 5La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,1-6).
Proprio perché si tratta di una gioia divina, svincolata da procedimenti umani, è possibile goderne anche quando umanamente impossibile. Fondamento di questa gioia è la speranza secondo la quale ci si riconosce come di passaggio in questa vita e avendo come meta, e dimora, il cielo. Questo pensiero è sviluppato dall’apostolo nel terzo capitolo della lettera ai Filippesi, che si apre con una esortazione alla gioia e si conclude con queste parole:

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17Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. 18Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. 19La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. 20La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, 21il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose (Fil 3,17-21).
Gioia ed eternità
A partire da questa prospettiva si comprende anche come la gioia non solo si radichi nella speranza, non solo sia in qualche modo di origine divina, ma diventa anche preparazione per la vita eterna in Dio. È un dato che emerge sempre in quella lettera ai Romani dove Paolo, scrivendo, sta sperimentando le catene del carcere.
12Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera (Rm 12,12).
Se, ad imitazione di Cristo, ci si unisce ai suo patimenti, facendone un’offerta perché altri possano convertirsi e salvarsi, allo stesso modo i cristiani potranno godere della gioia della sua risurrezione.
La dimensione escatologica della gioia, secondo san Paolo, è proprio questo. Si tratta di un andare oltre la materialità e la temporalità dell’oggi dell’uomo, e aprirsi all’eternità di Dio, godendone già nell’oggi della sua vita e della sua gioia. Per questo non possiamo non concludere che con le parole del teologo G, F. Howîhorne, nel suo contributo al succitato dizionario paolino, che commentando la lettera ai Filippesi afferma:
Per Paolo la gioia è una comprensione dell’esistenza che rende possibile accettare sia l’euforia che la depressione, accettare con creativa sottomissione eventi che portano ora delizia ora sgomento, perché la gioia permette di vedere al di là di ogni evento particolare il Signore sovrano, che è al di sopra di tutti gli eventi
G. F. Howîhorne, Lettera ai Filippesi, in a cura di G. F. Howîhorne – R.P. Mennu – D.G. Reid, Dizionario di Paolo e delle sue lettere, San Paolo, 21999, p. 642.

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