È possibile amare Dio e ignorare il prossimo?

XXXI domenica del tempo ordinario – anno B

Dt 6,2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc 12,28b-34

Le letture di questa domenica intendono indicarci una via, una serie di atteggiamenti e di scelte attraverso le quali noi possiamo fare quello che Dio si aspetta da noi, e ci si venga data l’opportunità di godere della sua salvezza. Il segreto, lo vedremo, è quello del totale affidamento a lui amandolo sopra ogni cosa e fidandoci del suo invito ad amare il nostro prossimo.

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I Lettura

Mosè parlò al popolo dicendo: «Temi il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto. Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore».

Contesto
Le parole di Mosè riportate nel brano odierno, fanno parte del suo grande discorso, quando radunò tutto il popolo, peregrinante verso la Terra promessa, «oltre il Giordano, nel deserto, nell’Araba, di fronte a Suf, tra Paran, Tofel, Laban, Caseròt e Di-Zaab» (Dt 1,1).
Tutto il libro del Deuteronomio, può ragionevolmente essere letto nella prospettiva di una sorta di testamento spirituale del condottiero di Israele, organizzati in una serie di discorsi tematici. Mentre, infatti, egli è prossimo alla morte, il popolo non è molto lontano dal varcare la soglia della Terra promessa.

Il capitolo sei del Deuteronomio, raccoglie il discorso di Mosè sulla fedeltà all’alleanza con Dio, perché il popolo non si dimentichi di quello che YHWH ha fatto per loro: dal momento in cui li ha liberati dalla schiavitù d’Egitto, fino a quando, con tenerezza e provvidenza, lo ha tenuto per mano conducendolo lungo gli anni di viaggio nel deserto, fino alla terra santa.
Ci troviamo di fronte a uno dei brani più importanti dell’Antico Testamento: lo Shemà (letteralmente l'”ascolta”). Si tratta di una preghiera, e allo stesso tempo la formulazione di un Credo, che il pio israelita recitava due volte al giorno: al mattino e alla sera. Con questo brano, ogni uomo alimentava la sua fiducia in un Dio che si interessa del suo popolo, per questo rinnovava il vincolo d’amore con Lui.

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«Temi il Signore»
Il brano si apre con un invito che non è al temere, ma al timore. Qual è la differenza? Nel primo caso l’invito sarebbe ad avere paura di un Dio terribile e vendicativo, nel secondo caso (che è poi quello a cui invita il testo sacro) è l’aver paura di offendere un Dio amorevole, che non ha fatto altro che beneficare il popolo, perdonando anche le sue innumerevoli colpe.
L’atteggiamento che soggiace è propriamente quello di un figlio devoto e grato nei riguardi del proprio genitore, al quale non si vuole in nessun modo dare un dispiacere con la propria condotta.
Ma non solo! Il figlio che teme il suo genitore, non solo non gli causa dispiaceri, ma lo onora persino: lo rende, cioè, orgoglioso di lui. Non è un caso che Mosè, nel discorso precedente a quello odierno, menziona il comandamento del rispetto dei genitori, come il primo tra i comandamenti dopo quelli che riguardano Dio. Pertanto, alzando oggi il nostro sguardo, siamo anche noi, come Israele, invitati a guardare negli occhi il nostro Dio, riconoscerlo Padre provvidente, tenero e misericordioso e, con la nostra vita santa, renderlo orgoglioso di noi.

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«Osservando… tutte le sue leggi»
Successivamente viene spiegato come comportarci da figli timorosi di Dio. Il segreto è osservare le sue leggi. Ora, per comprendere appieno questo passaggio, dobbiamo fare un esercizio di spoliazione dalle nostre sovrastrutture di uomini del III millennio, che vivono la politica come un peso gravoso dove risulta difficile riuscire a fidarsi di qualcuno e dove le leggi molto spesso non sembrano giuste, né eque, ma talvolta fatta su misura apposta per taluni.
Se facciamo un passo indietro, e torniamo al quinto capitolo del Deuteronomio, ci renderemmo conto che tutti i comandamenti dettati da Dio a Mosè sul monte Sion, altro non sono che le declinazioni del verbo amare. Sì, la legge di Dio è l’amore!
I comandamenti, infatti, altro non erano che una sorta di regole perché Israele, una volta entrato nella Terra promessa, potesse vivere bene la sua relazione con Dio (non cedendo alla tentazione dei culti pagani) e nelle relazioni sociali. Che altro significherebbero i comandamenti di non rubare, non uccidere e non commettere adulterio, se non quello di stabilire relazioni giuste, salde e durature all’interno del popolo?

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«Ascolta Israele»
Prima di parlare e di agire, per ben due volte, il popolo è invitato all’ascolto. Dalla capacità di recezione di quello che Dio ha da dire, dipende la felicità e la longevità degli israeliti.
Questo non può che essere anche per noi una provocazione, soprattutto in un’era dove tutti, grazie ai social networks, si sentono in diritto di dire e scrivere qualunque cosa senza ritegno, né rispetto, nella maniera più violenta, volgare e impunita.
Il doppio invito all’ascolto da parte di Dio, ci rivela in maniera palese che il nostro parlare deve essere inversamente proporzionale al nostro ascolto: sono abilitato a dire una parola, se prima ne ho ascoltate due!
L’ «
Ascolta Israele», dunque, è la grande provocazione di tutti i tempi, l’invito a decentrarsi per dare spazio all’altro, perché possa dire la sua opinione, riconoscendola importante quanto la nostra. Esso diventa invito non solo al dialogo (dove a parlare e a tacere vicendevolmente sono due persone), ma prima di tutto a un silenzio accogliente dell’altro. Quante liti in famiglia e quante sanguinose guerre in comunità si eviterebbero, se soltanto avessimo fatto un attimo di silenzio. E non è nemmeno un caso, che nella sua somma Sapienza, il Creatore ci fece con due orecchie e una sola bocca!

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Vangelo

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.  

Il primo comandamento: «ascolta!»
Si potrebbe dire che per Gesù il primo comandamento sia quello dell’amore, eppure a ben vedere, citando appunto il Deuteronomio, per lui il primo comandamento è ascoltare. Si tratta non di un invito, ma propriamente di un ordine perentorio, con tanto di punto esclamativo.

Molti problemi a Israele sono intercorsi nella sua storia, proprio perché non volle ascoltare Dio e i suoi profeti, perché decise di fare autonomamente, seguendo il proprio limitato intelletto e non quello di Dio. Allo stesso modo, oggi, molti cristiani seguono la via della perdizione e della tristezza infinita, perché hanno chiuso l’orecchio a Dio, non ascoltano lui e non ascoltano nessuno. Ben a ragione, dunque, diceva san Paolo:

La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo (Rm 10,17).

Giungiamo alla fede perché qualcuno ci ha parlato di Cristo a un certo punto della vita, ma questa fede può rinnovarsi solo nella misura in cui alimentiamo questo ascolto attraverso la lettura orante della Parola di Dio.

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Il secondo comandamento: «ama!»
Solo nella misura in cui riusciremo a vivere il primo comandamento, allora potremo sforzarci a vivere il secondo: quello dell’amore. Il secondo dipende dal primo: non ci si può dire cristiani che amano Dio e il prossimo, se non si è capace di ascoltare. Al contrario è proprio dell’uomo che ama, quello di mettere da parte il proprio ego, per far emergere l’Altro, e gli altri, con quello che hanno da dire. È proprio del cristiano innamorato il saper ascoltare, inteso come promozione dell’Altro e desiderio di conoscerlo profondamente.

L’amore è intransigente
Ci vuole coraggio per amare, e Gesù non usa mezzi termini: l’amore che ci viene chiesto è totale e totalizzante.

Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso“.

Ci troviamo di fronte a una richiesta intransigente da parte di Gesù: amare Dio con tutto quello che siamo e abbiamo, senza lasciare spazio alcuno all’amor proprio. Qui si tratta di un morire d’amore, un morire a noi stessi, un annullarci completamente. È vero, ma potremo leggerlo da un’altra prospettiva: non si tratta di un morire sterile, ma di un dissolverci in Dio che è Amore, un diventare tutt’uno con lui, imitando l’atto nuziale in cui i coniugi non sono più due ma una sola carne. Essi possono vivere bene la loro relazione solo nella misura in cui l’uno si perde nell’altro. Allo stesso modo avviene nell’amore chiesto da Gesù.
L’amare Dio totalmente ci permetterà di cogliere appieno quell’amore per il prossimo, dove l’altro non è solo il famigliare, l’amico, ma anche colui che è difficile voler bene: il nemico, l’antipatico. Questo diventerà possibile, però, solo quando avremo abdicato all’amor proprio, per annullarci in Dio.

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«Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti»
L’amore è la sintesi di tutta la rivelazione biblica, di tutti i comandamenti divini, di tutta la morale ebraica e cristiana. Quando credi di non sapere cosa Dio voglia da te, ricordati questa lettura. Da millenni, Dio non fa che ripeterci sempre la solita solfa, detta e ridetta in diversi modi perché noi lo capiamo: «Ama!».
L’amore è la risposta a tutti i nostri interrogativi, a tutte le nostre ricerche di senso, l’amore, e solo quello incondizionato, libero, che impone sofferenza (vedi nostri articoli “Il senso della vita” e “Cosa si aspetta Gesù dai cristiani del III millennio?“), dà quella pienezza di vita che stai cercando da tempo. Solo amando, e lasciandoti amare, puoi sperare di ottenere il Regno dei cieli, nonostante i tuoi tanti peccati, nonostante le tue tante miserie e fragilità
Oggi allora siamo chiamati a guardarci in faccia l’uno con l’altro con uno sguardo nuovo, andando al di là dei torti e degli sgambetti che ci siamo fatti. Si tratta di fare chiarezza con noi stessi, camminare nella verità, consapevoli che ognuno di noi è una persona infinitamente amata da Dio, tanto che egli per noi ha donato ciò che aveva di più caro: il Figlio.

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È possibile amare Dio e odiare, o ignorare, il prossimo?
La grande tentazione del cristiano d’oggi, è la pretesa di amare Dio prescindendo dagli altri. L’apostolo Giovanni smaschera questa intima ipocrisia dell’uomo di fede di tutti i tempi, e nella sua prima lettera afferma:

Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello (1Gv 4,19-21).

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Ora, ogni parola nell’opera Giovannea (vangelo, tre lettere e Apocalisse) non è mai casuale, ma ha sempre un preciso riferimento teologico. In particolare per l’apostolo la menzogna ha sempre un rimando diabolico, satanico. Non è un caso che nel suo Vangelo raccoglie un detto di Gesù agli scribi e ai farisei. Nella loro incapacità di ascoltare la sua parola e di amare il prossimo, li chiama non figli di Abramo, ma di Satana. Leggiamo:

Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio” (Gv 8,43-47).

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Ora, chi ha la pretesa di dirsi cristiano, colui che ha il coraggio di riempirsi la bocca di belle preghiere, di testimonianza di fede teologicamente perfette ed erudite, ma poi concretamente non mette in atto gesti di accoglienza, perdono, riconciliazione e amore del prossimo, altro non è che un figlio di Satana vestito di pailettes luminose.

Conclusione
Ecco, dunque, la concretezza dell’amore alla quale oggi il Signore ci chiama: nulla di romantico, platonico o astratto, ma tanto concreto come la vita e come la morte. E tutto inizia dall’ascolto. Da esso nasce l’amore e questo ci fonda nella Verità, quali figli di Dio. Tu da che parte stai?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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