In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,32-38).
Due forme di possessioni differenti
La liturgia della parola in queste settimane ci sta presentando una lettura continua del vangelo di Matteo. In particolare stiamo vedendo come Gesù si lasci incontrare da chiunque abbia bisogno di una parola di conforto, di guarigione e di liberazione dalle forze delle tenebre. Non è il suo primo esorcismo, lo abbiamo visto la scorsa settimana quando nella regione dei Gadarèni, ad andargli incontro sono due uomini posseduti da diversi demòni (Leggi anche il nostro articolo “Il male cerca casa“). Leggiamo:
In quel tempo, giunto Gesù all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?». A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; e i demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque. I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio. (Mt 8,28-34).
Cosa differenzia questo esorcismo da quello precedente? Sicuramente il modo in cui il male si manifesta nell’uomo. Se nella regione dei Gadarèni le presenze nefaste erano particolarmente rumorose, qui il male si rivela con il silenzio. Tuttavia quello che hanno in comune (e che fa comprendere come in mezzo ci sia Satana), sia la chiusura alla relazionalità, agli altri, alla carità fraterna. Infatti, se i primi due vivevano fuori della città nei pressi dei sepolcri, luoghi di morte, e impedivano a chiunque di avvicinarsi a loro, il muto del vangelo di oggi, a motivo del suo silenzio, è chiuso a ogni tipo di relazione con l’altro. Non è un caso che appena Gesù lo libera dalle forze tenebrose del male, quell’uomo recupera tutta la sua socialità, la sua capacità di entrare in comunione con gli altri:
E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare.
Muti in un’era di leoni da tastiera?
Diciamolo, siamo in un’epoca in cui nessuno più sta zitto, al contrario l’esprimersi è divenuto eccessivo e irrispettoso. Tuttavia anche una comunicazione eccessiva, ma vuota di contenuti e di valori è muta: non comunica nulla che valga la pena di ascoltare, nulla di oggettivamente buono e utile.
La nostra società segnata da gogne mediatiche, dove si massacra l’altro senza permettergli di esprimersi. Essa è impregnata da ispirazioni sataniche alle quali dobbiamo stare molto attenti non solo a discernerle, ma anche ad evitare di caderci dentro, a fare il gioco del nemico. Diventiamo muti quando il nostro giudizio è frettoloso, quando c’è violenza e arroganza nel nostro parlare, quando dalla nostra lingua abbiamo debellato la dolcezza della Parola di Dio, per riempirci dell’amarezza della parola degli uomini.
Come allontanare Satana dalla nostra vita?
Se è pur vero che il primo potere che Gesù con-divide con i suoi apostoli (e i loro discendenti) è proprio la liberazione dell’uomo dalle forze del male, è anche vero che a tutti coloro che crederanno in lui, egli concede la possibilità della vittoria sul male. Leggiamo:
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità (Mt 10,1)
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16,16-18)
Se il ministero dell’esorcista è di antica (non primissima) istituzione, la possibilità di fronteggiare Satana, nei suoi attacchi ordinari, da parte dei cristiani è di istituzione divina, donata a tutti i cristiani a motivo del Battesimo.
Cosa fare? Come tenere chiuse le porte della nostra vita e della nostra anima al Maligno? Il Vangelo di oggi, ci dona una chiave di lettura: una prospettiva interessante e fondamentale. L’amore fraterno gli crea uno sbarramento di sacralità attraverso il quale lui non potrà passare. In questa prospettiva di comunionalità fraterna possiamo meglio comprendere le parole di Gesù a Pietro:
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa (Mt 16,18).
La Chiesa, in quanto comunità (comune unione di fratelli), diventa baluardo inespugnabile per le forze del male, rifugio di peccatori in cerca di misericordia.
La parola chiave è dunque Riconciliazione. La Chiesa, per mandato di Cristo, da millenni offre agli uomini di tutte le epoche il suo infallibile antidoto al male: il sacramento della riconciliazione, dove tutte le nostre relazioni vengono risanate, dove torniamo a fare la pace con noi stessi, con gli altri e con Dio, nella carità. Per questo il noto esorcista della diocesi di Roma, p. Amorth, affermava:
La confessione è più forte di un esorcismo!
G. Amorth, Un esorcista si racconta, EDB, 2010 Bologna, p. 69
Stupore e critica
Dopo l’esorcismo, il vangelo annota un duplice modo di porsi di fronte a questo grande atto di liberazione dell’uomo. Da un lato troviamo le folle che stupite rendono lode a Dio per l’opera del Messia tanto atteso che finalmente vedono passeggiare per le loro strade, dall’altro c’è l’atteggiamento dei farisei. Leggiamo:
E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
La critica mossa dai farisei non è contro una dottrina di Gesù (che può essere accolta, condivisa o meno), ma contro un’opera oggettivamente bella e buona: la liberazione di un uomo dal potere delle tenebre. Essi non sono in grado di gioire per il bene compiuto da altri. Quel diavolo che lavorava in maniera straordinaria nel corpo di quell’uomo, rendendolo muto, lavora in maniera ordinaria (cioè senza manifestazioni eclatanti) in quei farisei incapaci di comunione. La provocazione è forte perché non di rado l’atteggiamento di questi farisei (incapaci di gioia, di comunione e di compassione) è lo stesso di quello di molti fratelli ben inseriti in un cammino di fede, ben attivi nelle nostre comunità ecclesiali, nelle nostre parrocchie. Pettegolezzi, mormorazioni, gelosie non possono appartenere a un vero discepolo di Cristo. Lo ripetiamo. Lì dove non c’è amore fraterno, lì dove non c’è riconciliazione (umana e sacramentale), non c’è posto per Dio e si aprono le porte a tutt’altro tipo di forze.
L’atteggiamento di Gesù
Il Maestro, dal canto suo, non si lascia scoraggiare dalle mormorazioni dei farisei e continua il suo cammino. Non si piega ai pettegolezzi, alle beghe da sacrestia. Ciò che lo muove è la com-passione, l’amore per coloro che soffrono. Leggiamo, infatti, sempre nel vangelo di oggi:
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore.
Guardando Gesù infaticabile nell’annuncio, nel farsi prossimo di un’umanità ferita, privata di pastori che restano chiusi nei loro mondi, insensibili alle altri sofferenze, interessati a rendere soltanto la loro vita quanto più appariscente possibile, ma impoverendola di valori e relazioni, non possiamo non farci mettere in crisi, accogliere la sua provocazione, fare nostra la sua missione e imitarlo nella nostra quotidianità (testimonianza e guarigione, molto spesso si intrecciano tra loro, cfr. “Se lo segui, guariscimi!“).
Pregate!
Se abbiamo ben compreso la provocazione poc’anzi espressa, possiamo passare alla conclusione del bano evangelico odierno.
Alla compassione di Gesù che lo mette in cammino verso ogni situazione di sofferenza, segue il suo ordine perentorio:
Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
Dalla consapevolezza del fallimento dei pastori d’Israele (casta sacerdotale, teologi e movimenti spirituali tra cui anche i farisei), Gesù stabilisce un rinnovamento nella guida del suo popolo. Lui, il pastore buono che raduna e custodisce il suo gregge e per esso dà la vita (Cfr. Ger 31,10; Gv 10,11), istituisce un nuovo ordine capace di prendersi cura più degnamente del suo gregge.
È interessante notare il modo con il quale Gesù chiede ai discepoli di pregare il Padre perché mandi operai per la messe. Non si tratta di una richiesta del Maestro, un “se potete” o “quando avete tempo”. Quello di Gesù è un ordine perentorio diretto ai discepoli.
Il problema della carenza di vocazioni è qualcosa che segna la Chiesa fin dal suo nascere: perché c’è tanto da fare per Cristo e per il mondo. Il problema con il quale il cristiano di tutte le epoche deve combattere, è la propria inclinazione all’immobilismo, a un quietismo comodo e rilassato (Ne abbiamo parlato nel precedente e già citato articolo: “Se lo segui, guariscimi!“).
Molto spesso il pensiero di una grande fatica ci blocca, nella nostra mente ci ronza la solita tentazione: “Ma chi te la fa fare?”. Eppure vi invito a riflettere su quanto sia sciocco questo pensiero, questo modo di dire e di agire. Gesù non parla della fatica di una semina da fare, della trebbiatura di un terreno da dissodare. Al contrario, al grosso ci pensano lui e il Padre. E pensare che ce lo ha pure detto apertamente e noi giriamo sempre pagina, ce ne dimentichiamo subito dopo:
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata (Is 55,10-11).
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti” (Mt 13,3-9).
Gesù, dunque, non sta invitando i discepoli a un lavoro troppo gravoso, perché a questo ci pensano lui e il Padre (quanta tenerezza!), ma invita alla Messe: al raccolto. E questo è il momento di grade gioia del contadino: il momento in cui si raccolgono i frutti di tanto lavoro e dedizione, è il momento della festa e della condivisione. Incredibile, ma vero, ma è a questo che Gesù ci chiama. Lui ha bisogno di persone che a braccia aperte sappiano raccogliere i frutti della sua semina, del sangue che ha sparso per l’umanità, della redenzione da lui operata. Il problema è che talvolta preferiamo restare lì ad autocommiserarci e morire di fame, piuttosto che stendere la mano e nutrire di eternità la nostra vita e quella dei nostri fratelli.
Abbiamo dedicato un intero articolo a questo atteggiamento di Cristo (Nulla toglie, ma tutto dona), per questo concludiamo con due grandi gridi al mondo: quello di Giovanni Paolo II e di Bendetto XVI all’inizio del loro pontificato:
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Giovanni Paolo II, Omelia, 22.10.1978
Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen.
Benedetto XVI, Omelia, 24.04.2005
Fame della Parola di Dio?
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