A cosa si riferisce Gesù quando parla del segno di Giona?

In quel tempo, alcuni scribi e farisei dissero a Gesù: «Maestro, da te vogliamo vedere un segno». Ed egli rispose loro: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Nel giorno del giudizio, quelli di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona! Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone!» (Mt 12,38-42).

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Il contesto narrativo
Il brano del Vangelo si situa all’interno di un contesto polemico e di gravi tensioni tra Gesù e i farisei. A seguire il Maestro lungo il suo ministero messianico di città in città non ci sono solo i discepoli e le folle che chiedono da lui un miracolo o una guarigione, ma anche scribi e farisei. Essi, però, lungi dal farsi suoi discepoli e aderire ai suoi insegnamenti, lo seguono con l’unico scopo di screditarlo agli occhi delle folle.
Poco prima, infatti, Matteo aveva raccontato di come i farisei nel seguire Gesù mettessero in discussione tanto l’atteggiamento dei suoi discepoli, che di sabato avevano raccolto del grano per sfamarsi, come quello di Gesù che osa guarire un uomo dalla mano paralizzata. Entrambi lavori considerati proibiti dalle leggi ebraiche.

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In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: “Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato”. Ma egli rispose loro: “Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”.
Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga; ed ecco un uomo che aveva una mano paralizzata. Per accusarlo, domandarono a Gesù: “È lecito guarire in giorno di sabato?”. Ed egli rispose loro: “Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l’afferra e la tira fuori? Ora, un uomo vale ben più di una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene”. E disse all’uomo: “Tendi la tua mano”. Egli la tese e quella ritornò sana come l’altra. Allora i farisei uscirono e tennero consiglio contro di lui per farlo morire (Mt 12,1-14).

Quello shabbat ebraico, che doveva essere considerato come giorno di riposo da vivere nel riqualificare le relazioni con Dio e con gli altri, viene pervertito da un legalismo irrazionale che elimina proprio Dio e il prossimo (per un migliore approfondimento circa il riposo così come è inteso da Gesù, rimandiamo al nostro precedente articolo: “Il riposo è da Dio“).

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La polemica continua
Nonostante Gesù non perda occasione per rivelare l’ipocrisia di una mentalità legalista dei farisei nel loro vivere la religiosità, questi non si danno per vinti e continuano a trovare occasione per mettere i bastoni tra le ruote a Gesù.

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È quello che accade proprio poco prima del brano evangelico odierno. Dopo l’ennesimo esorcismo di Gesù (per i due precedenti vi invitiamo ad approfondire i nostri articoli: “Il male cerca casa” e “Come allontanare Satana dalla nostra vita?“), da un lato notiamo lo stupore gioioso delle folle e dall’altra l’incredula bestemmia dei farisei. Leggiamo:

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In quel tempo fu portato a Gesù un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva. Tutta la folla era sbalordita e diceva: “Che non sia costui il figlio di Davide?”. Ma i farisei, udendo questo, dissero: “Costui non scaccia i demòni se non per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni”.
Egli però, conosciuti i loro pensieri, disse loro: “Ogni regno diviso in se stesso cade in rovina e nessuna città o famiglia divisa in se stessa potrà restare in piedi. Ora, se Satana scaccia Satana, è diviso in se stesso; come dunque il suo regno potrà restare in piedi? E se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Ma, se io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Come può uno entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega? Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde.
Perciò io vi dico: qualunque peccato e bestemmia verrà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non verrà perdonata. A chi parlerà contro il Figlio dell’uomo, sarà perdonato; ma a chi parlerà contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato, né in questo mondo né in quello futuro.
Prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono. Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive. Ma io vi dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt 12,22-37).

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Vogliamo vedere un segno
Una volta compreso il contesto narrativo, possiamo approfondire il brano evangelico odierno, dove a presentarsi a Gesù non sono solo i farisei, ma ad essi si aggiungono gli alti esponenti della religiosità ebraica: gli scribi, che poi erano i teologi del tempo.

In quel tempo, alcuni scribi e farisei dissero a Gesù: «Maestro, da te vogliamo vedere un segno».

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La richiesta mossa da questi personaggi ha davvero qualcosa di grottesco, ora che abbiamo letto cosa era accaduto poco prima. A Gesù, che poco prima aveva liberato un uomo dal demonio, rivelando la vittoria di Dio sul male, manifestando a tutti la sua identità di liberatore di Israele e riconciliatore dell’umanità a Dio, a lui, che poco prima avevano osato chiamarlo collaboratore di Satana (Mt 12,24), chiedono ancora un segno.

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Gesù di segni ne avrebbe compiuti a miriadi ma essi comunque non avrebbero creduto e questo loro voler forzargli la mano, rivela il doppiogioco di chi avrebbe continuato a trovare elementi per screditarlo.

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Il segno di Giona
Gesù comprendendo l’ipocrisia del cuore dei suoi interlocutori, propone un altro segno: non miracolistico, ma profetico.

Ed egli rispose loro: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta.. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Nel giorno del giudizio, quelli di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona!

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Se da un lato Gesù dice che il segno della veridicità del suo insegnamento e della sua persona verrà svelato nella sua passione, morte e risurrezione, dall’altro non meno eloquente è il menzionare, tra i tanti, proprio Giona.
Questi era il profeta che avrebbe dovuto portare un messaggio di distruzione ai cittadini di Ninive che avevano corrotto i loro costumi:

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: “Àlzati, va’ a Ninive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico”. Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino. Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (Gn 3,1-4).

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Il dato interessante è che non appena il profeta annuncia questo messaggio in città, subito tutti gli abitanti decidono di convertirsi, evitando la punizione divina:

I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Per ordine del re e dei suoi grandi fu poi proclamato a Ninive questo decreto: “Uomini e animali, armenti e greggi non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e animali si coprano di sacco, e Dio sia invocato con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!”. Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece (Gn 3,5-10).

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Su questa scia profetica Gesù sintetizza il mistero della sua persona e del suo insegnamento: entrambi tesi a un cambio di costumi dei suoi uditori, una conversione o, per meglio dire, una riconciliazione con Dio. Gesù propone ai suoi oppositori il suo perdono, il volto misericordioso di Dio che tende la mano agli uomini.
E questa è davvero una forte provocazione per i cristiani di tutti i tempi: o a Dio lo si riconosce per la misericordia, o non lo si riconosce affatto.

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Riconoscerlo nella morte
Molti cristiani oggi vivono come scribi e farisei, oppositori di Cristo che dicono di voler credere solo quando lo vedranno faccia a faccia, ma ahi loro sarà troppo tardi. Come scribi e farisei molti cristiani per credere hanno bisogno di qualcosa per credere: segni nel cielo, miracoli, sogni e coincidenze. Tuttavia questo, lungi dall’esprimere una vera fede in Dio che deve manifestarsi in una fiducia incondizionata in coloro che solo sensibilmente non vedono, diventa semplicemente una forma di superstizione, una religiosità prêt-à-porter, a buon mercato.

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Gesù rivela che lo riconoscerà nel momento del suo fallimento: nell’orrore cruento di quella croce e nel silenzio tombale del sepolcro. Perché?
Il nostro non è il Dio della platealità, ma dell’umiltà e della discrezione. Poiché egli è Carità agapica, come ogni manifestazione d’amore, quando è puro e gratuito, non si mette in mostra, non si pavoneggia (rimandiamo al nostro precedente articolo: “Dio rifugge l’esibizionismo“), ma resta nascosto.

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Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra (Mt 6,3)

La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio (1Cor13,4)

È, dunque, nell’amore che va riconosciuta la divinità di Cristo, la presenza di Dio nella nostra vita. Nell’amore ricevuto dal nostro prossimo, nei gesti di gratuità, comunione e riconciliazione. Allo stesso modo noi cristiani siamo chiamati ad essere mediatori della misericordia del Padre, trasparenza della sua presenza nella storia degli uomini, nella nostra società. L’amore, dunque, continua a restare il primo annuncio evangelico del cristiano, atto discreto e rivelatorio di un Dio che decide di rendersi presente attraverso la via della piccolezza, quella delle fragili mediazioni umane. Per questo Egli si è fatto uomo, perché restasse storicamente riconoscibile e non semplicemente una leggenda, un mito pagano. Allo stesso modo lui torna ad incarnarsi nelle nostre vite, per rivelarsi a coloro che ancora oggi hanno bisogno della sua misericordia, della sua grazia e salvezza.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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