In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,15-20).
Il brano del vangelo di oggi è tanto provocatorio quanto attuale soprattutto per gli ambienti ecclesiali, lì dove si fatica a recepire l’importanza della comunionalità di cui in diverse occasioni abbiamo avuto modo di approfondire e richiamare:
Gesù non appare ai discepoli mentre sono da soli, chiusi nella loro individualità. Al contrario, appare sempre mentre sono insieme. Lo vediamo infatti nel brano di questa domenica: per due volte appare mentre i discepoli si trovano in casa a porte chiuse (vv. 19,23; ), e la terza volta mente i discepoli tornano da un’infruttuosa notte di pesca sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-14). Il modo di apparire di Gesù ai discepoli, esclusivamente quando sono insieme, deve essere per i cristiani di tutti i tempi, una forte provocazione: la comunione fraterna è condizione per fare esperienza del Risorto. Dio non ci salva come singoli, ma come popolo, ed è all’interno di questo popolo, che è la Chiesa, che siamo chiamati a riconoscerlo e accoglierlo.
Il cammino di Tommaso
Se dico che il Signore è il mio pastore, poi devo vivere coerentemente con quello che dico… e devo sentirmi parte di un gregge. Dio non è il pastore di pecore singole, ma di un gregge. Oggi, dunque, ci viene offerta un’occasione propizia di comunionalità, di riconciliazione fraterna in famiglia come in chiesa. Che senso ha fare la comunione col corpo di Cristo e non essere in comunione tra noi? Che senso comunicarci sacramentalmente e non avere un animo riconciliato con Dio, non accostandoci alla confessione? Ci si prende solo in giro, diventiamo la caricatura di noi stessi.
Il riposo è da Dio
Per un maggiore approfondimento rimandiamo ai seguenti articoli:
“Certe ferite fanno crescere“, “Nessuno può fermare il sogno di Dio“, “L’identikit del vero discepolo“, “Come allontanare Satana dalla nostra vita“, “Con lo Spirito, artigiani di fraternità“.
La dimensione della fraternità viene affrontata da Gesù in questo insegnamento, strutturandolo in 4 punti: la correzione fraterna, la riconciliazione, la grandezza della preghiera comunitaria, la fraternità come epifania.
La correzione fraterna
Ci troviamo nella prima sezione del brano evangelico odierno. Gesù invita i discepoli ad essere costruttori di una comunità instancabile nel dialogo e nella riconciliazione.
Il riprendere un fratello che sbaglia non va vissuto come un atto punitivo nei suoi riguardi, ma come un aiuto per far luce su situazioni che non sono consone al vangelo e al Battesimo ricevuto. I diversi tentativi che la comunità è chiamata a vivere nell’incontro col fratello, ricordano che non è lecito mai darsi per vinti quando si tratta di fondare la comunità. Ogni fratello è importante: uno non vale uno, ma vale tutti. Per questo lo sforzo di correzione ed accoglienza del membro che sbaglia deve essere lo sforzo di una intera comunità che non giudica chi sbaglia, non lo emargina, non lo ritiene inutile alla sua sussistenza. Il continuo e progressivo approccio nei suoi riguardi manifesta la premura del buon pastore che instancabile va alla ricerca di quella pecora perduta che è causa di gioia nel cielo (Cfr. Lc 15,7).
La correzione fraterna è davvero un tema particolarmente urgente per i cristiani del nostro tempo i quali preferiscono tacere di fronte a certe situazioni di ingiustizia, che compromettersi. La provocazione per tutti noi oggi, è molto forte: non possiamo non ritenerci complici degli scandali nella chiesa, quando avremmo avuto tempo e opportunità di intervenire e invece abbiamo preferito spostare lo sguardo, fingere di non vedere. Così dice Dio tramite il profeta Ezechiele:
Se io dico all’empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo (Ez 33,8-9).
Allo stesso modo, un altro pericolo da evitare è quello di fare i moralizzatori: ogni correzione di un fratello che non segua l’iter indicato da Gesù e non sia mosso e intriso di carità, questa non ha nulla a che vedere col vangelo, al contrario ne è una perversione.
Il senso della correzione fraterna così come intesa da Gesù è tesa al recupero di un fratello non alla sua espulsione dal circolo ristretto e asfissiante dei buonisti, non si tratta di umiliarlo, ma aiutarlo a fare luce nel suo cuore, al reintegro di un fratello all’interno di un cammino comunitario di cui ne è membro importantissimo e imprescindibile.
Tuttavia, nel caso in cui questi non ne voglia sapere, Gesù dice di trattarlo come un pubblicano e un pagano, cioè come qualcuno che ha bisogno di nuovo di essere evangelizzato, qualcuno che necessita ricentrarsi nel vangelo. Non si tratta di eliminarlo dalla vita della comunità, gettarlo fuori dai portoni delle parrocchie, al contrario significa accoglierlo con maggiore energie, dargli i primi posti nei banchi delle chiese perché torni a comprendere il vangelo e a recuperare la sua intima comunione con Cristo.
La riconciliazione
È il secondo punto di cui tratta Gesù in questo insegnamento a lui particolarmente caro.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
La Chiesa vede in queste parole di Gesù il fondamento scritturistico per il Sacramento della Riconciliazione come di istituzione divina. Si tratta di un ruolo che Gesù dà ai discepoli perché possano essere nel mondo, e nel corso della storia, i continuatori della sua opera salvifica. Questa della remissione dei peccati come segno salvifico sacramentale è così importante per Gesù che è la seconda volta che lo ripete. Poco prima infatti, con queste parole si era riferito a Simon Pietro:
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,17-19).
Con amarezza potremmo dire che il tema della Riconciliazione e della misericordia è tanto importante per Gesù, ma così poco per molti cristiani che portando una croce al collo dicono di amarlo.
La grandezza della preghiera cristiana
A livello narrativo ci troviamo all’interno di una sorta di spirale che va in crescendo, dove via via con sempre maggiore enfasi (e anche meno parole) Gesù rivela l’importanza della comunionalità fraterna. Ci troviamo alla terza tappa di questa ascesi, e Gesù dopo aver invitato i discepoli a uscire dall’ottica moralizzatrice ed escludente propria degli ambienti religiosi dell’epoca per riconoscere che il fratello è un guadagno, invita a vivere la propria fede nella misericordia.
In questo punto, come nel successivo, Gesù rivela quali sono i beni che i discepoli possono cogliere nella misura in cui vivono da fratelli e si impegnano per mantenere unita la comunità nella verità e nella carità. Il primo frutto, dunque, è l’onnipotenza della preghiera comunitaria. Rileggiamo:
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà.
Il motivo per cui questa preghiera è così potente da piegare quasi la volontà del Padre, viene rivela nell’ultima sezione del brano evangelico odierno: l’apoteosi dell’insegnamento di Gesù sulla fraternità.
la fraternità come epifania
Gesù era un grande oratore, un rabbi che ben conosceva l’arte di tener ben viva l’attenzione dei suoi uditori. Per questo, quindi, conclude il suo discorso con una sorta di giochi di fuochi d’artificio:
Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro
Essere riuniti nel nome di Cristo, indica una comunione non solo di affetti, ma anche di intenti (il perseverare nell’unità secondo il suo insegnamento), indica l’unione dei cuori che aderiscono a uno stesso Credo, infiammati dell’amore divino. Per questo la Chiesa, tra i tanti suoi appellativi, è chiamata Corpo mistico di Cristo: perché già il suo essere ecclesia, cioè comunità, concretizza la presenza di Cristo nella storia degli uomini e ne continua nel tempo e nello spazio la sua missione.
Ben intendendo tutto ciò, l’apostolo Paolo con queste parole si rivolgeva ai cristiani di Corinto che vivevano una situazione drammatica di conflittualità:
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito (1Cor 12,12-13).
La fraternità e il Carmelo
Per i carmelitani la fraternità non è solo un valore evangelica da vivere, ma è parte essenziale del suo DNA, qualcosa che ne definisce non solo l’identità (Fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo), ma anche il ruolo e il fine all’interno della Chiesa e del mondo. La fraternità, infatti, è il terzo elemento del carisma carmelitano e finisce per sintetizzarne tutta la Regola.
In uno dei suoi passaggi, le Costituzioni dei frati così si esprime in merito:
La fraternità, secondo l’esempio della comunità di Gerusalemme è una incarnazione dell’amore disinteressato di Dio e interiorizzato attraverso un processo permanente di svuotamento dall’egocentrismo – anche possibile in comune – verso un genuino centrarsi in Dio. Così possiamo manifestare la natura carismatica e profetica della vita consacrata del Carmelo, e possiamo inserire armonicamente in essa l’uso dei carismi personali di ciascuno a servizio della Chiesa e del mondo. Pertanto siamo chiamati a rinnovarci come fratelli in dialogo fra di noi, aperti ai segni dei tempi e così aperti al popolo, accogliendo quanti sono coinvolti nel nostro ministero, specialmente i giovani e i poveri, e aperti a sviluppare nuove forme di comunità e nuovi ministeri che siano incisivi per la Chiesa e la società, sollecitando tutti a conversione. L’espressione e la prova della nostra fraternità è dunque la vita comunitaria da viversi nello spirito di Elia e da condurre sotto la tutela della vergine Maria, Madre di Dio e nostra Sorella.
Costituzioni dei Fratelli della Beata Vergine Maria del monte Carmelo, n. 30.
Questa dimensione del carisma carmelitano è tanto importante anche per i laici che ne condividono i beni spirituali. Tra di essi, spicca il Terz’Ordine: laici che decidono di consacrarsi a Dio per mezzo della Vergine Maria, professando i voti di castità e obbedienza secondo il carisma e la spiritualità dell’Ordine Carmelitano. La Regola del Terz’Ordine usa toni forti e un simbolismo tanto evocativo quanto efficace riguardo la fraternità:
La vita associativa dei laici del Carmelo deve risplendere per semplicità e autenticità; ogni comunità dev’essere un focolare di fraternità, in cui ciascuno si sente a casa propria, accolto, conosciuto, apprezzato, incoraggiato nel cammino, eventualmente corretto con carità e attenzione.
Regola del Terz’Ordine Carmelitano, nn. 43.44
La fraternità si riflette anche all’esterno. Ogni laico carmelitano è come una scintilla di amore fraterno lanciata nel bosco della vita: dev’essere in grado di incendiare chiunque avvicini. La vita familiare, l’ambiente di lavoro o professionale, gli ambiti ecclesiali frequentati dai laici carmelitani devono ricevere da loro il calore che nasce da un cuore contemplativo, capace di riconoscere in ciascuno i tratti della somiglianza col volto di Dio. La comunità dei laici carmelitani diventa così un centro di vita autenticamente umana, perché autenticamente cristiana. Dall’esperienza di riconoscersi fratelli e sorelle nasce l’esigenza di coinvolgere altri nell’affascinante avventura umano-divina della costruzione del Regno di Dio.
Conclusione
La fraternità, l’impegno per la comunità, il cammino di carità, riconciliazione e misericordia diventano criteri imprescindibili perché ogni cristiano possa fare una vera esperienza di Cristo nella sua vita. Tutto il resto è un auto illusione, il progettarsi una religiosità su misura che nulla ha a che vedere con Cristo e il cristianesimo.
Oggi il Signore ripete a tutti noi che se vogliamo vederlo, ascoltarlo, fare esperienza della sua prossimità, è nella comunità che dobbiamo cercarlo.
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