Come comportarsi di fronte alla mancanza di sensibilità, e all’arrivismo, dei fratelli?

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnào. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9,30-37).

CONTESTO
Continuiamo con la lettura continua del Vangelo secondo Marco, così come la Chiesa nella Liturgia della Parola ce la sta proponendo.
L’evangelista ci sta mostrando un Gesù infaticabile, in continuo movimento: insegna la buona notizia della prossimità del Regno di Dio, guarisce i malati e libera gli uomini posseduti da spiriti sordi e muti (l’ultimo esorcismo è avvenuto poco prima di questo brano, in Mc 9,14-29; vedi link in basso).

IL SECONDO ANNUNCIO DELLA PASSIONE
Il brano si apre con Gesù che per la seconda volta, annuncia che la fine della sua missione sarà suggellata nel sangue dell’incomprensione: sarà messo a morte, ma comunque la morte non l’avrebbe vinta con lui.
Evidentemente Gesù si prepara a mettersi in cammino verso Gerusalemme, e soprattutto vuole fare in modo che i suoi discepoli lo siano.
Risulta interessante però la reazione degli stessi apostoli: se la prima volta vollero opporsi all’annuncio della passione (vedi la reazione di Pietro in Mc 8,27-33; clicca sul link in basso), adesso l’evangelista annota che essi non comprendono, tanto che escludono Gesù dai loro discorsi.

LA CORSA PER I PRIMI POSTI
Qual grande narratore che è, l’evangelista Marco descrive una scena quasi surreale, e purtroppo quanto mai attuale ai nostri giorni e negli ambienti parrocchiali ed ecclesiastici. Se da un lato Gesù apre il suo cuore rivelando che a Gerusalemme incontrerà attriti, incomprensioni, persecuzione e morte, dall’altro lato, per tutta risposta, i discepoli si accapigliano per chi riceverà il posto d’onore una volta che Gesù avrà instaurato il suo Regno.
Cosa c’è dietro a questo loro atteggiamento ambizioso? In primo luogo c’è in gioco l’idea che gli israeliti avevano del Messia: un re-condottiero che con il suo esercito avrebbe liberto Israele dall’oppressione romana, rendendolo di nuovo il fiorente paese che era al tempo del re Davide. Il secondo elemento, che motiva l’atteggiamento dei discepoli, è quello che Gesù aveva detto poco prima. Leggiamo:

Diceva loro: “In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza” (Mc 9,1).

È interessante che tra questa affermazione di Gesù e la loro disputa sul primato, sono successe tante cose: la trasfigurazione sul monte Tabor (Mc 9,2-10), l’insegnamento circa la sua persona in relazione al profeta Elia (Mc 9,11-13), la guarigione di un ragazzo posseduto da uno spirito sordo e muto (Mc 9,14-27) e la motivazione per cui i discepoli non sono riusciti a esorcizzarlo senza l’intervento di Gesù (Mc 9,28-29).
Dall’affermazione di Gesù circa il regno di Dio, è passato del tempo e sono accadete cose davvero importanti per i discepoli. Nonostante questo, sembra che fino a quel momento essi non abbiano pensato ad altro che a chi fosse il più importante tra loro.

IL BUON MAESTRO
I discepoli manifestano una certa mancanza di sensibilità nei confronti di Gesù, della passione che ha preannunciato e anche di fronte ai suoi insegnamenti e gesti. Eppure vediamo come il Nazareno si comporta nella maniera più paziente possibile, rivelandosi, per questo, davvero un Maestro che anziché criticare la cocciutaggine dei suoi discepoli, li aiuta nel cammino della comprensione. I suoi gesti, poi, rivelano la grande tenerezza e premura che nutre per loro. Vediamoli:

Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Gesù non corregge pubblicamente in discepoli, evitando la possibilità di una umiliazione. Aspetta che tutti siano in casa, in un luogo discreto, dove tutti possono respirare un’aria di intimità ed essere liberi di esprimersi senza paura.
Lui, che non raramente ha manifestato la capacità di leggere i cuori, ben sapeva quali erano i progetti ambiziosi degli uomini che vivevano con lui, ma chiede loro di esprimerli. Marco narra che essi tacciono, sembra che non abbiano più il coraggio e la spavalderia di dire quello che pensano, probabilmente cominciano a rendersi consapevoli che i loro desideri non erano retti.
Generalmente, poi, quando i discepoli tacciono è Pietro che prende la parola, impetuoso com’è, ma qui anche lui non osa proferire una sola parola.
Il loro, è un silenzio colpevole, come quando Gesù chiese loro chi credevano egli fosse. Colpevole perché, in quell’occasione, essi si erano affidati unicamente al pettegolezzo per conoscere Gesù, a quello che gli altri dicevano.
A motivo, poi, proprio della tenerezza del Maestro nei confronti dei suoi discepoli, egli non si arrende di fronte al loro silenzio, e spiega in cosa debba consistere tutta la loro ambizione: nel servire e non nell’ostentare potere, prendendo come modello lui, il Figlio del Dio Altissimo, che è venuto per servire l’umanità con la sua vita, morte e risurrezione.

NOI COME GLI APOSTOLI
L’atteggiamento dei discepoli, è quanto mai attuale, lo ripetiamo. Non raramente anche negli ambienti ecclesiastici e parrocchiali, chi dovrebbe donare un servizio gratuito ed oblativo, finisce per farlo con secondi fini di ambizione, o addirittura, arrogandosi diritti di superiorità rispetto agli altri. Per questo le parole di Gesù nei confronti dei discepoli, sono valide anche per noi. Lui ascolta i nostri silenzi, le nostre chiusure nei confronti degli altri, e ci invita a cambiare prospettiva, a spostare lo sguardo, cioè, dal nostro ego a quello degli altri.

LA PROPOSTA DI GESÙ
Concludiamo l’approfondimento al brano evangelico di questa domenica, con la proposta che Gesù fa ai discepoli, come antidoto ad ogni ambizione e desiderio di supremazia sull’altro:

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Perché Gesù compie questo gesto? Qual è il senso delle sue parole? A ben vedere avrebbe potuto fermarsi all’invito di farsi servi gli uni degli altri. Allora, cosa vuole significare l’abbraccio del bambino e l’invito all’accoglienza?
In un nostro precedente articolo, meditando sul brano in cui Gesù è invitato a casa del fariseo Simone (Cfr. Lc 36,50), abbiamo avuto di approfondire l’importanza e la sacralità dell’ospitalità per la religiosità ebraica e cristiana, vedendo in Abramo il modello a cui ispirarsi (egli infatti accolse niente di meno che tre angeli, personificazione biblica di Dio nell’Antico Testamento). In quell’occasione, abbiamo potuto affermare:

Qui si tratta di realizzare atti concreti, visibili, sensorialmente percepibili, verso il prossimo. E il primo gesto è proprio l’accoglienza, l’ospitalità, la condivisione dell’aria che si respira all’interno delle proprie mura domestiche. Solo un amore tale è degno della misericordia di Dio, della sua salvezza, della sua Riconciliazione. Se vuoi avere una scorciatoia facile per giungere al paradiso senza passare dal martirio, è attraverso l’amore, concreto e fattivo, che devi andare.

Ma non solo. Guardando gli insegnamenti di Gesù, è facile notare come la carità fraterna sia il filo rosso che li collega tutti, tanto che non sarebbe errato dire che egli si sia incarnato e sia morto e risorto per noi, proprio per insegnarci ad amare il Padre sopra ogni cosa e il nostro prossimo come noi stessi (Cfr. Mc 12,28-31).
Poiché, poi, Gesù era un uomo molto concreto, mostra ai suoi discepoli cosa significa farsi servi l’uno dell’altro e lo fa attraverso un bambino il quale, in quanto tale, non aveva nessun peso decisionale all’interno nemmeno della sua famiglia.
Per Gesù, dunque, il primato nel suo regno consiste proprio nel servire l’ultimo, il diseredato, persino le persone che, per la cultura dell’epoca, erano privati dei diritti di una voce in capitolo non solo nella società e nella comunità, ma persino all’interno delle cerchie più strette della famiglia.
In che modo servire il prossimo? Con tenerezza e premura, come quella con la quale ti rivolgeresti appunto ad un bambino.

CONCLUSIONE
Oggi siamo chiamati a riconoscere che la vera gioia della vita comunitaria, quella che siamo chiamati a vivere soprattutto negli ambienti ecclesiali, è quella di essere insieme, non nel sentirsi migliore di qualcuno!

In questo si gioca la qualità del nostro servizio nei confronti della Chiesa e agli occhi di Dio: nella nostra capacità di decentrarci, nel far spazio agli altri. Allora il nostro sarà un vero servizio e non una sorta di aristocrazia spirituale propria dei farisei e che Gesù con tanto orrore a evitato.
Di certo le nostre comunità, in costituite di persone umane , è segnata dalla fragilità (talvolta anche morale). Cosa fare? Di certo non scoraggiarci: a darci l’indirizzo è sempre Gesù. Egli non si scoraggiò, né cedette all’ira, di fronte alla mancanza di sensibilità dei discepoli quando lui spiegava loro cosa li attendeva. Allo stesso modo siamo chiamati a fare nostri i suoi sentimenti di pazienza e di accompagnamento dei nostri fratelli, anche quando non ci sentiamo debitamente apprezzati, valorizzati. Il fine, ricordiamocelo, è servire Cristo nella comunità: niente e nessuno ce lo impedisca, niente e nessuno ci impedisca di amare.
L’ultima esortazione è quella alla docilità. Gesù prende come esempio di vero discepolo un bambino. Allo stesso modo siamo chiamati ad accogliere questa semplicità d’animo di fronte alla disposizioni del parroco o della comunità, per non essere di scandalo a quanti tornano ad affacciarsi alla fede.

Fame della Parola di Dio?
Cerca altri articoli catalogati nelle sezioni qui in basso

Ultimi articoli inseriti.

Ultimi articoli inseriti.

Ultimi articoli inseriti.

Pubblicità

Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: