VII domenica del tempo ordinario – anno A
Lv 19,1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48
INTRODUZIONE
È possibile riuscire graditi a Dio? Renderlo fiero di noi? Oppure dobbiamo accontentarci di una certa mediocrità morale sperando che un giorno la sua misericordia infinita diventi ancora più grande? C’è qualcosa di veramente concreto che possa aiutarci a farci santi e ad entrare direttamente nel Regno dei cieli alla fine della nostra vita?
Questi sono alcune delle provocazioni che la Liturgia della Parola di questa settima domenica del tempo ordinario, intende porci come vere e proprie sfide per rimboccarci le maniche con noi stessi e nelle nostre relazioni sociali e verso Dio.
Per chi volesse ulteriormente approfondire questo tema, rimandiamo ad alcuni dei nostri contributi, raggiungibili ai link in basso.
Prima lettura
Dal libro del Levitico (Lv 19,1-2.17-18)
Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».
Un ordine, non un semplice invito
Il brano si apre fin da subito, senza giri di parole, con un comando perentorio: quello di essere santi e già questo basterebbe per mettere in crisi tutti quei cristiani che si dicono praticanti, ma quando poi viene detto loro in cosa consista il loro compito, allora si rifugiano in una finta mediocrità dicendo che queste cose riguardano persone speciali, scelte da Dio, vissute un certo tempo fa e finite nelle nicchie delle chiese. E certo… come se loro non fossero, allo stesso modo dei santi finiti agli altari, scelti e privilegiati da Dio che per amor loro non ha temuto di consegnare il proprio figlio alla passione e alla croce.
La santità, lo diciamo subito, non è un optional per i battezzati, ma una vocazione alla quale è chiamato e che deve imparare a vivere con un continuo esercizio. Esimersi da questo impegno non indirizza a un più comodo pensiero del tempo di purificazione intermedio, il cosiddetto Purgatorio, ma si conforma come un vero e proprio rifiuto della volontà di Dio alla quale un giorno si dovrà rendere conto.
Siamo chiamati a farci santi, non perché si deve obbedire a un Dio dittatore, un Padre-padrone dispotico che sottomette i suoi fedeli, ma perché abbiamo tutti gli strumenti per esserlo e tutto ci è stato dato in Cristo attraverso la Chiesa: dai sacramenti, alla preghiera, dai sacramentali alla vita comunitaria che tende a far di noi, e della nostra vita, un dono da impegnare per il bene del mondo intero a imitazione del Signore Gesù Cristo. Da qui appunto la motivazione del comando:
Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo
Perché non restino solo parole al vento
A differenza delle tante filosofie orientali che spesso, pericolosamente, serpeggiano anche nelle pratiche dei cristiani, il nostro è un Dio profondamente concreto. Per questo, perché la santità dell’uomo non resti una filosofia sulla quale disquisire all’infinito, una sorta di utopia irraggiungibile, spiega come effettivamente divenire santi. Vediamo quali sono questi gesti:
1. Ecologia dei sentimenti
La prima esortazione non riguarda propriamente gesti da mettere in atto, ma implica un lavoro con se stessi:
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello
Leggendo questo versetto, non possono non tornarci in mente un’altra affermazione di Gesù che getta luce su questo brano. Egli infatti prima rivolto discepoli, afferma:
Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo (Mc 7,20-23).
Ciò che risiede nel nostro cuore, non sono emozioni, sentimenti neutri, ma hanno una forte carica spirituale (non energetica secondo quelle filosofie che abbiamo accennato poc’anzi) che possono inquinare la nostra percezione della realtà, il nostro rapporto con gli altri e quindi anche con Dio.
Poiché l’odio, come l’amore, resta un sentimento umano, in quanto tale può essere educato, riorientato al bene perché non ci accechi. E di uomini che si sono rovinati, dando sfogo a quanto di peggio covava nel loro cuore, senza aver voluto lavorare su di essi, ce ne sono tanti. Il primo fra tutti Caino. Al riguardo, nel nostro precedente articolo abbiamo avuto modo di affermare:
Molti cristiani si presentano al confessore elogiandosi del fatto di non aver ucciso nessuno, ma quando poi gli si chiede conto della qualità delle sue relazioni, dell’uso che ne ha fatto della parola verbale, come di quella scritta sulle nuove ghigliottine mediatiche (i social media), le cose poi cambiano. E se è vero che una volta Dio chiese conto a Caino del sangue del fratello, allo stesso modo verrà chiesto conto a molti cristiani dell’uso che avranno fatto della loro lingua biforcuta, come dell’utilizzo pusillanime di Facebook, WhatsApp, Instagram e via discorrendo.
In sintesi allora, Il Signore ci rivela che se davvero vogliamo trovare salvezza alla fine della nostra vita, non c’è altra strada che quella della santificazione personale. Non si tratta di un’esperienza bigotta e bacchettona, ma di un serio lavoro su se stesso, e il primo grandi, imprescindibile, senza del quale tutto il resto non ha senso né può portare frutto, è imparare a gestire i nostri sentimenti. Non si tratta di scandalizzarci di essi o dire che si tratta dell’opera del demonio in noi, ma di sentimenti umani che necessitano di essere vigilati, contestualizzati, cristianizzati e infine riorientati nell’ottica del perdono e della donazione personale.
2. Usa la carità per correggere
Questo secondo passo è davvero molto interessante e ci fa capire come il progetto della santità umana delineato da Dio nel libro del Levitico sia qualcosa di davvero molto concreto, in cui ogni passo presuppone quello precedente.
Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.
Perché è interessante che questa esortazione sia stata situata per seconda e non per prima? Perché solo chi ha imparato a gestire i suoi sentimenti, può correggere con carità e non dare sfogo al peggio che ha nel cuore.
Il rimprovero del peccatore, dunque, è un atto di carità mirato alla sua conversione. Al riguardo riportiamo l’ammonimento che il Signore fa al profeta Ezechiele:
Se io dico al malvagio: “Tu morirai!”, e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu avverti il malvagio ed egli non si converte dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato.
Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette il male, io porrò un inciampo davanti a lui ed egli morirà. Se tu non l’avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate, ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato” (Ez 3,18-21).
Sulla stessa scia si pone anche Gesù, quando parla della necessità della correzione fraterna, che si pone come una sorta di prolungamento della sua opera redentrice nel mondo e nella storia. Leggiamo infatti nel diciottesimo capitolo del Vangelo secondo Matteo:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,15-20).
3. Ama!
L’esortazione di Dio a Mosè si conclude con un ulteriore ordine perentorio: quello all’amore. Rileggiamo:
Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso.
Ci troviamo adesso di fronte a un versetto che Gesù stesso citerà apertamente, allorquando un dottore della legge, per cercare di coglierlo in fallo, gli chiese di indicargli quale fosse il comandamento più importante. Gesù, come sappiamo, risponde affermando che esiste un solo comandamento e che questo ha due facce, come una medaglia: l’amor per Dio sopra ogni cosa e quello per il prossimo come per se stessi (Cfr. Mt 22,34-40; approfondisci al link in basso).
L’ultimo gradino per raggiungere la santità e la salvezza dell’anima, dunque, è l’amore: quello fraterno. Su questo si fonda la gran parte degli insegnamenti di Gesù, ed è qualcosa che ormai Dio ripete all’umanità da diversi millenni. Per farci santi non è necessario morire martiri, né avere estasi o visioni, non si devono affrontare prove impervie, ma semplicemente amare. Perché? Perché Dio stesso è amore donante al diverso da lui, l’uomo, e il credente che lo imiti in questo altro non realizza che quell’intima vocazione creaturale che rispondere all’essere immagine e somiglianza del suo creatore:
Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza (Gen 1,26).
Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo (Lv 19,1)
Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Contesto
In queste domeniche stiamo leggendo il grande insegnamento di Gesù sulla montagna. Così, dopo il discorso delle Beatitudini, aveva rivelato di non essere venuto per portare una morale più annacquata, ma per dare compimento alla rivelazione di Israele (Cfr. Mt 5,17-37; vedi link in basso).
In che modo bisogna amare il prossimo?
L’insegnamento di Gesù di questa domenica rivela in maniera particolarmente chiara in che modo lui sia venuto per dare compimento alla legge antica, illuminarla, portarla a pienezza. Infatti se nel libro del Levitico in pochi versetti veniva spiegata quale fosse la via perché l’uomo potesse farsi santo a imitazione del suo Creatore, Gesù approfondisce questo argomento apportando esempio concreti: atteggiamenti inequivocabili, chiari e lineari tali che al cristiano non serviranno altre rivelazioni per poterli applicare nella sua vita.
Quella di Gesù è una rivelazione che spiega e sublima l’insegnamento di Mosè nei tempi antichi:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio
Lo diciamo da subito: si tratta di tre gesti da tradurre in atti concreti di fronte a tre tipi di violenze diverse.
1. Contro la violenza fisica
Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra
Accettare uno schiaffo sulla guancia destra è un affronto particolarmente grave anche per noi, che viviamo due millenni dopo Gesù. Perché? Perché si tratta di ricevere non uno schiaffo qualsiasi, ma un manrovescio, cioè un colpo dato col dorso della mano. Un atto particolarmente offensivo e denigratorio.
Non si tratta di un subire fine a se stesso, un atto masochista. Al contrario, non c’è passività nell’amore cristiano, ma un vero e proprio atto rivoluzionario di chi non intende soggiacere alle logiche di questo mondo, alle convenzioni umane di una società che ha pervertito i suoi costumi, e all’arma della violenza controbatte con una ancora più efficace: l’amore per il nemico.
2. Contro la violenza economica
A chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello
C’è un altro tipo di violenza, però, più subdola ed è quella economica: la prepotenza di chi ti priva del necessario per vivere, solo per il gusto di aumentare i propri interessi. Tunica e mantello, infatti, erano gli unici indumenti dell’uomo dell’epoca. Per di più il mantello serviva anche da coperta per la notte. Privare un uomo di questi indumenti, significava esporlo gravemente alla possibilità di una morte per assideramento. Contro costoro si alza il biasimo divino, per mezzo del profeta Michea:
Guai a coloro che meditano l’iniquità
e tramano il male sui loro giacigli;
alla luce dell’alba lo compiono,
perché in mano loro è il potere.
Sono avidi di campi e li usurpano,
di case e se le prendono.
Così opprimono l’uomo e la sua casa,
il proprietario e la sua eredità.
Perciò così dice il Signore:
“Ecco, io medito contro questa genìa
una sciagura da cui non potranno sottrarre il collo
e non andranno più a testa alta,
perché sarà un tempo di calamità.
Ma voi contro il mio popolo
insorgete come nemici:
strappate il mantello e la dignità
a chi passa tranquillo, senza intenzioni bellicose (Mi 2,1-3.8).
L’invito, dunque, è quello di non rispondere alla violenza, ma di lasciare che Dio agisca. la sua Provvidenza supplirà alle nostre carenze, ma allo stesso tempo si ergerà come giudice su coloro che sono causa di sofferenza e ingiustizie.

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3. Contro la violenza piscologica
E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.
All’epoca di Gesù, Israele apparteneva all’Impero Romano e il clima che si respirava era tutt’altro che sereno. Roma imponeva alte tassazioni ai cittadini delle regioni sottomesse, imponeva la sua cultura, una moneta raffigurante Cesare come un dio, cosa blasfema per gli israeliti, e non raramente introduceva questo tipo di effigi all’interno del tempio sacro di Gerusalemme.
Questa tensione portò alla formazione di alcuni gruppi di dissidenti: gli zeloti. Essi intendevano boicottare lo strapotere romano, con la guerriglia e i sabotaggi. Una pressione che poi sfociò nella prima grande guerra contro Roma e con la conseguente distruzione del tempio di Gerusalemme.
Non raramente, poi, i soldati romani opprimevano la popolazione pretendendo parte del raccolto, prendendo parte del bestiame o costringendo i cittadini a ogni tipo di lavoro forzato: tra cui quello di trasportare carichi da una parte all’altra di una città o regione. In questo senso, basti pensare a quello che accadde al Cireneo:
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo (Mc 15,21).
L’essere costretti a fare un lavoro per i soldati romani, significava improvvisamente dover rivedere tutti i progetti per quella giornata, ma non solo. si trattava di riconoscersi non padroni della propria vita, servi di gente straniera e pagana che osava calpestare il suolo sacro di una terra donata da Dio.
Anche in questo caso, l’invito di Gesù è quello di mantenere la calma e di non rispondere al male col male.
Nell’amore fraterno si differenzia il vero cristiano da un millantatore
Le esortazioni che seguono, servono per dare un fondamento a quanto affermato da Gesù prima. L’invito è quello di usare la non violenza non come semplice sottomissione, ma come l’atto d’amore più puro possibile: amare chi è difficile d’amare!
Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Se Dio è benevolo con tutti, anche noi che vogliamo realizzare quella vocazione creaturale di cui abbiamo parlato poc’anzi, dobbiamo fare lo stesso. È chiaro, sarebbe utopistico dire che questo possa realizzarsi all’istante in noi, ma richiede comunque un cammino, faticoso certamente, ma non impercorribile, non impossibile. Si tratta con umiltà di chiedere a Dio, ogni giorno, la forza di perdonare e la capacità di amare. E se tanti nostri fratelli nella fede ci sono riusciti, perché noi non dovremmo? Cosa abbiamo di meno dei santi e dei mistici? Forse Cristo non è morto anche per noi? Forse non ci cibiamo della stessa eucaristia? Forse non attingiamo alla stessa fonte della misericordia quando cadiamo e vogliamo rialzarci?
Poi Gesù aggiunge:
Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Sono le nostre relazioni interpersonali a dirci che tipo di cristiani siamo: veraci o millantatori (e di questi ultimi sono piene, purtroppo, le nostre chiese). Con quanta amarezza si vede nelle nostre aule liturgiche la domenica, gente che si evita, siede lontana per non incrociare lo sguardo, comunicarsi al corpo di Cristo per poi spettegolare contro chi è seduto qualche panca più in là a mormorare contro i pastori.
Se siamo di questi, cari fratelli e sorelle, evitiamo. Evitiamo di perdere tempo in Chiesa. Le comunità hanno già tanti problemi, tante sfide quotidiane per affrontare, per perdere tempo anche con i farisei. E a voi stessi, poi, pensate che quell’Eucaristia, fatta con la morte nel cuore per il prossimo, porterà davvero salvezza? Non dimentichiamo quello che capito a Giuda, quando pronto a tradire Gesù accettò il suo boccone e fu riempito da Satana:
Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: “In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”. Rispose Gesù: “È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò”. E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: “Quello che vuoi fare, fallo presto” (Gv 13,21-27)
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