L’amore non ha legge

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole (Lc 14,1-6).

Ma chi te la fa fare, Gesù?
Il brano evangelico di oggi si apre con l’annotazione del Messia di Nazareth che viene invitato a casa di un esponente prestigioso della religiosità della sua epoca: un capo dei farisei. Non è la prima volta che Gesù accetta un invito del genere, anche se v’è da dire che tutte le altre volte le aspettative di una certa accoglienza e ospitalità, anche minima, furono ampiamente deluse.

A casa di Simone
La prima volte che Gesù viene invitato a pranzo da un fariseo è nella città di Nain (Lc 7,36-50), dove il padrone di casa lo accoglie solo per scrutare ogni sua mossa, evitando persino gli obblighi dell’accoglienza ben noto a tutti i pii israeliti. Un gesto di chiusura che venne poi riparato dalla presenza di una donna peccatrice che presta tra le lacrime le attenzioni che si deve a un ospite, e quale ospite, tra le proprie mura domestiche (vedi nostro approfondimento “Accogli l’ospite divino“).

Il fariseo di Betania
Il secondo invito giunge a Gesù mentre è già incamminato verso Gerusalemme: nella città di Betania (Lc 11,37-52). Questo invito si rivelò ben presto come un ulteriore pretesto per incastrarlo alla presenza anche degli eminenti teologi del tempo: i Dottori della Legge (su questo brano del Vangelo, rimandiamo a due nostri approfondimenti: “Cosa si aspetta Gesù dai cristiani del III millennio?” e “Il criterio di Gesù per verificare la qualità della tua fede“).

Gesù non si arrende
Se ogni volta che viene invitato a casa di qualcuno, questo si rivela un pretesto per incastrarlo, è lecito domandarci: “Ma Gesù, ma chi te la fa fare ad accettare certi inviti?”. Dobbiamo davvero pensare che si tratti di una semplice ingenuità da parte del rabbì di Nazareth?
In realtà l’accettare ogni invito rivela che per Gesù nessuno è un caso perso. Per lui ogni occasione è buona per condurre alla verità gli uomini e permettergli una conversione del cuore. Non se ne perde una.
Questo suo modo di agire non può che metterci in crisi, almeno per due versanti.
1. Se lui è paziente con noi, anche noi dobbiamo avere pazienza con noi stessi, con i nostri limiti, saperci perdonare, non farci derubare la speranza di poter divenire santi anche noi.
2. Non scoraggiarci nel fare del bene, credere sempre negli altri, nelle loro capacità, nella possibilità di una conversione, anche se non fanno altro che provocarci sofferenze.
Si tratta, in ultima analisi, di alzare il nostro livello di sopportazione nei nostri riguardi e nei riguardi degli altri.

Anche in questo caso, alla base dell’invito a pranzo di Gesù, non c’è certo il desiderio di condividere con lui la mensa, ma semplicemente un tentativo di metterlo in difficoltà. Le intenzioni del fariseo, e degli altri commensali, dopotutto, sono chiare:

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

Qui non si tratta di osservare un ospite, ma di uno scrutare con attenzione ogni movimento e gesto. C’è una sorta di perversione nella convivialità, dove l’ospite non è ben voluto, ma viene spiato con malignità. Dopotutto l’evangelista era stato chiaro, e aveva già annotato che non c’era più serenità nei cuori degli esponenti religiosi nei riguardi d Gesù:

Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca (Lc 11,53-54).

Un miracolo non chiesto
Dopo questa breve introduzione, il brano rivela quello che accade dopo: Gesù si guarda intorno e guarisce un uomo lì presente, senza che questi gli abbia chiesto nulla.

Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa. Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.

A differenza delle altre guarigioni, qui non c’è nessuno che corra incontro al Maestro, gli si prostri ai piedi e gli chieda una grazia. A Gesù è bastato guardarsi intorno per capire che viveva nella sofferenza e precede le sue richieste guarendolo.
Si tratta di un atteggiamento che è proprio di Dio e che molto spesso come cristiani dimentichiamo: egli sa di cosa abbiamo bisogno ancor prima che glielo chiediamo. E non solo. Poiché Dio è Amore, somma bontà, egli ci precede nell’amore e nella tenerezza, tanto che l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera può dire:

Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (1Gv 4,19). 

Spesso possiamo cadere nel rischio di credere che nel nostro rapporto con Dio, se non siamo noi a fare il primo passo, allora lui se ne resta beato nell’alto dei cieli. Niente di più falso. Tutte le Scritture, da Genesi all’Apocalisse, rivelano l’iniziativa di Dio nei confronti dell’uomo. Lui ama, provvede, stringe alleanze e salva, e all’uomo non resta che corrispondere al suo amore, come può, con le sue limitazioni e fragilità.
Ecco allora che questo primato divino, nella tenerezza e nella provvidenza, viene ulteriormente rivelato dall’atteggiamento di Gesù che guarisce il malato prima ancora che glielo chieda. Egli, animato unicamente dall’amore, provvede all’uomo al di là dei suoi meriti, al di là dei suoi gesti e delle sue parole.
Per questo ci presenta un Dio che è Padre, perché come ogni genitore, e più di un qualsiasi genitore, previene le necessità dei figli, amandoli dando loro la vita ogni giorno, a ogni loro respiro.

L’amore non ha legge
È qui, però, che si situa la polemica con i farisei, che non si lasciano passare questo gesto di Gesù. Egli volevano impedire il gesto d’amore in nome di una norma: il riposo del sabato.
V’è da dire che le leggi divine, quelle cioè che provengono da una rivelazione, sono sempre buone, tuttavia, vanno sempre contestualizzate. Esse, cioè, vanno colte e comprese solo all’interno di quel criterio ermeneutico che è l’amore, altrimenti si parla di una perversione della legge.

Il problema delle autorità religiose dell’epoca, non erano tanto le leggi divine e i precetti che si erano imposti, ma l’ipocrisia fondamentale nella quale decidevano di vivere. Anche se un semplice invitato, Gesù non teme di svelare questa intima doppiezza:

Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Farisei, scribi e dottori della legge, si ergevano a eminenze nel campo teologico, spirituale e morale, dicevano agli israeliti come dovevano pregare e come dovevano vivere, ma alla fine loro stessi non soggiacevano alla regole che imponevano. Quando fu a casa del fariseo di Betania, non ebbe timore di rivolgersi con queste parole:

Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! (Lc 11,46).

Oggi, anche noi, siamo chiamati a cogliere la provocazione di Gesù e a riconoscere che l’amore, quello vero gratuito, oblativo e sofferto, non può avere leggi che tengano, né impegni tanto importanti da non poter essere rimandati. Per San Vincenzo De’ Paoli, persino la preghiera è lecita interrompere quando si deve andare incontro all’altro per amore.

Se nell’ora dell’orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l’intenzione dell`orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l’orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un’opera di Dio per farne un’altra. Se lasciate l’orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. E’ una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.

Vincenzo de’ paoli, Lettere e conferenze spirituali

Cogliendo la sfida di Gesù e l’intuizione dei Santi, non possiamo non scandalizzarci di fronte a notizie come questa di alcuni mesi fa:

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)