XXII domenica del tempo ordinario – anno C
Sir 3, 19-21.30-31; Sal 67; Eb 12, 18-19.22-24; Lc 14, 1. 7-14
La liturgia della Parola di questa ventiduesima domenica del tempo ordinario, ci offre dei validi spunti per vivere un’autentica esistenza cristiana, mirata a quello che Dio si aspetta da noi. In particolare, la virtù che ci viene chiesta di praticare è quella dell’umiltà. Lungi dall’essere una virtù facile da acquisire, aiuta l’uomo a contestualizzarsi all’interno del creato e della società nel suo rapporto ascendente con Dio.
Santa Teresa d’Ávila nel suo magistero ha più volte approfondito il tema dell’umiltà. Nel Cammino di perfezione ella affermava che questa va sempre accompagnata dalla rinuncia di se stessi e non devono essere mai separate l’una dall’altra (Cfr. Cammino di perfezione, 15.1), mentre nella sua opera maggiore, Castello interiore, affermava:
«Una volta io stavo considerando quale potesse essere la ragione per cui nostro Signore ama tanto la virtù dell’umiltà. Mi venne in mente –senza alcuna riflessione, mi sembra, all’improvviso – che ciò deve essere perché Dio è la somma Verità, e l’umiltà consiste nel procedere nella verità» (Teresa d’Ávila, Castello interiore, VI 10,3)
Prima lettura
Dal libro del Siracide (Sir 3,19-21.30-31)
Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.
L’autore della prima lettura non solo invita a vivere nell’umiltà, ma si spinge anche a delineare tutti quei vantaggi di cui è possibile usufruire, nella misura in cui l’uomo di fede si sforza di vivere questa virtù.
Già dai primi versetti è possibile notare la portata rivoluzionaria delle sue affermazioni. Infatti lì dove l’uomo di ogni tempo è costantemente tentato di cercare la propria realizzazione personale nel soddisfacimento del proprio ego, l’autore sacro rivela che per essere riconosciuti, e amati dagli altri, basta agire e operare con mitezza. Ma non solo, si spinge ben oltre nella sua riflessione, affermando che Dio predilige le persone miti aprendo ad essi il suo cuore.

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Unita alla virtù della mitezza, che potremmo tradurre con la rinuncia a se stessi di Santa Teresa, si accompagna, anche per l’autore sacro, l’umiltà che permette di camminare sempre nella grazia del Signore e rendergli il solo culto che gradisce.
Anche Gesù accosta insieme queste virtù, le vive significativamente e invita i suoi discepoli a fare lo stesso:
Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita (Mt 11,29).
Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,1.7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Non è la prima volta che Gesù viene invitato a pranzo. Spesso coloro che beneficano di una sua parola o di una sua grazia, gli chiedono di prolungare del tempo in sua compagnia. Basti pensare a Cafarnao, alla casa di Pietro, dove Gesù suole permanere anche per un tempo prolungato (Cfr. Mc 1,29-31; vedi link in basso), ma anche a Matteo dopo la chiamata alla sequela (Cfr. Mt 9,9-13; vedi link in basso), Zaccheo il cui autoinvito di Gesù sortisce in lui una vera e propria conversione interiore (Cfr. Lc 19,1-10; vedi link in basso) e a Betania, in casa dei suoi amici: Lazzaro, Marta e Maria (Cfr. Lc 10,38-42; vedi link in basso).




Tuttavia, come vediamo nel brano evangelico odierno, ad accogliere Gesù nella propria casa, non sono solo i suoi amici, ma anche i suoi avversari. Infatti proprio l’evangelista Luca annota che prima di questo invito a pranzo, ne è preceduto un altro, il cui clima era tutt’altro che rilassato (Cfr. Lc 7,36-50; vedi link in basso).


In entrambi i casi chi invita Gesù lo fa non per spirito di accoglienza, gratitudine e amicizia, ma ha solo uno scopo ben preciso: aspettare che il Nazareno rilassandosi abbassi le sue difese, per poterlo cogliere in fallo. L’evangelista lo dichiara fin da subito:
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Usare l’accoglienza per colpire l’ospite era ritenuta una pratica piuttosto becera e dissacratoria. I farisei, maestri di moralità, ben lo sapevano, ma fin da subito rivelano l’ipocrisia, la doppiezza del loro cuore.
Gesù dal canto suo non resta inibito dalla doppiezza dei suoi avversari e men che meno del fatto di essere in inferiorità rispetto a loro che “giocano in casa”. Egli resta il Messia per tutti, senza distinzioni. A lui, però, basta uno sguardo. Tutti credono che possano metterlo in difficoltà, ma è lui che è ben più attento di loro, scruta i loro cuori e quello strano atteggiamento di accaparrarsi i posti di onore a tavola. Da qui le due lezioni ai presenti: la prima riguardante l’umiltà e la seconda gratuità. Si tratta di due precise virtù che devono contraddistinguere il vero uomo di fede.
Scegliere l’umiltà, sempre.
Secondo la mentalità dell’epoca la scelta dei posti d’onore a tavola, comportava un duplice privilegio: quello dell’onore personale di sentirsi più importanti e quello di poter accedere per primi alle vivande così da scegliere per sé le porzioni più pregiate. Da qui il suo rimprovero:
«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Diciamolo, a Gesù gli arrivisti non sono mai piaciuti. È la lezione che Giacomo e Giovanni, i due fratelli, insieme agli altri apostoli, dovranno imparare (Cfr. Mc 10,32-34; vedi link in basso).
L’arrivismo, oggi come allora, rovina molti degli ambienti sociali dell’uomo. Basti pensare alla corsa alle poltrone, in ambito politico, agli spintoni sul posto di lavoro e tra i banchi di scuola per emergere sulle spalle altrui e a quello che, con grande dispiacere, talvolta capita nelle sacrestie e nelle aule liturgiche delle nostre chiese.
Gesù invita a deporre l’arma della superbia e dell’orgoglio e a riconoscere che non spetta agli ospiti accaparrarsi i posti d’onore a tavola, ma al padrone.
L’invito che soggiace all’ammonimento del Nazareno, è quello di sapersi affidare a Dio, cedergli il posto d’onore della nostra vita, del nostro cuore, perché sia lui a tirare le redini della nostra giornata e noi possiamo vivere nella fiducia e nell’abbandono al suo amore e alla sua provvidenza. Non c’è bisogno di sgomitare per essere qualcuno. Non saremo mai delle grandi persone, se per esserlo abbiamo bisogno di sentirci superiori agli altri. Il cristiano competitivo, che pur di sentirsi realizzato deve credersi superiore agli altri, ha smesso già da tempo di essere un vero discepolo di Cristo.
Il secondo insegnamento
Nella seconda parte dell’esortazione di Gesù, appare l’esigenza di vivere nella gratuità.
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Se la prima ammonizione riguardava gli invitati che si accalcavano per occupare i posti più importanti alla tavola del capo dei farisei, la seconda riguarda proprio il padrone di casa e la sua relazione con le persone alla sua mensa.
Se la tavola per antonomasia è il luogo della condivisione e della convivialità, essi l’avevano pervertita in un luogo di arrivisti d’élite, un sinedrio fatto attorno a laute vivande, sul quale giudicare l’ospite che avrebbe dovuto godere di una certa sacralità secondo la mentalità dell’epoca.
Tutti gli invitati sono lì o perché precedentemente avevano invitato il padrone di casa o perché lo faranno dopo. Non c’è sincerità a quel tavolo, non c’è amicizia, né vero desiderio di stare insieme. È una mera occasione commerciale di dare e avere.
Gesù va diretto sulla questione e distrugge in un sol colpo quella consuetudine insana, invitando il padrone di casa a circondarsi di gente che sappiano stare con lui non per dovere, ma per amore e gratitudine avendoli sfamati nella loro indigenza.
Nell’errore di questi farisei, talvolta ci cadono anche molti cristiani quando ricevendo un dono, inaspettato, non prendono pace se prima in qualche modo non si sdebitano, creando così un circolo vizioso che finisce per ledere quello stesso rapporto di amicizia. Ma non solo. L’invito di Gesù riguarda anche la costante tentazione dei cristiani di chiudersi in piccoli gruppetti in cui si condivide una certa spiritualità, un’intesa comune, un carisma, la devozione a uno stesso santo. Chiedendo al padrone di casa di essere “cattolico” negli inviti, esorta anche tutti noi a saper accogliere persone che riteniamo lontane, diverse per cammino umano, cultura e spiritualità. I gruppi chiusi nella Chiesa di Dio, non danno mai buona testimonianza, e questo è l’ammonimento che dobbiamo sempre tenere conto per non finire anche noi a vivere non più in una comunità, ma in una piccola lobby che di cristiano non ha più niente.

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