Il criterio di Gesù per verificare la qualità della tua fede

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca (Lc 11,47-54). 

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Contesto
Per poter cogliere appieno il senso di questo brano evangelico, come al solito, è necessario contestualizzarlo all’interno della sua sezione narrativa e chiederci quali sono i presupposti per queste affermazioni di Gesù? Dove si trova? Perché si rivolge in questo modo?
Ebbene guardando al suo contesto più ampio, il brano è situato all’interno di quella macro sezione narrativa che è il viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Lc 9,51-18,14): un lungo cammino che di certo non è iniziato nel migliore dei modi. Come avemmo modo di vedere, infatti, esso fu inaugurato con il rifiuto e la non accoglienza degli abitanti di un villaggio della Samaria (vedi nostro articolo “Cosa fare quando la vita ti chiude le porte in faccia?“).

Focalizzandoci maggiormente sull’undicesimo capitolo del Vangelo secondo Luca, nel quale è inserito il nostro brano, vediamo che esso si situa all’interno di una diatriba sorta a casa di un anonimo fariseo che ha invitato a pranzo Gesù (Lc 11,37-41 vedi nostro approfondimento “Cosa si aspetta Gesù dai cristiani del III millennio?“).

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Non è la prima volta che l’invito a casa di un fariseo, si tramuta per Gesù in una sorta di attacco su più fronti. È quello che già non molto tempo prima, a Nain, capitò con il fariseo Simone nella sua casa (Lc 7,36-50 e nostro commento “Accogli l’ospite divino“). In entrambi i casi il Messia Nazareno viene invitato non per il piacere della sua presenza benedicente tra le mura domestiche del padrone di casa, ma per attirarlo in una sorta di trappola alla presenza di diversi commensali (sul motivo perché Gesù accetti certi inviti, rimandiamo agli articoli sopra citati).

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È, dunque, in questo contesto di pervertita convivialità che si situa il brano evangelico odierno, alla quale il Figlio di Dio non si sottrae, ma che anzi con parresia annuncia la verità e svela le ipocrisie dei benpensanti della sua epoca. Il nostro brano, poi, è la sezione finale di altri rimproveri di Gesù verso i farisei e i dottori della legge. Leggiamo:

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Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo”.
Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: “Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi”. Egli rispose: “Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! (Lc 11,42-46).

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Una fede da dissociati
Cosa sta rimproverando Gesù agli uomini di fede del suo tempo? Egli sta biasimando la possibilità di un credo religioso svincolato dall’amore: un servizio a Dio, dissociato dalla carità verso il prossimo. Non teme di ripeterlo più volte: il canale privilegiato per dare un culto dignitoso e gradito al Padre, passa attraverso l’amore degli altri.

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In maniera davvero palese la Liturgia della Parola, in questo tempo, ha proposto a tutti i cristiani questa meditazione nelle ultime settimane. Basta vedere come domenica scorsa ci è stata proposta la meditazione del giovane ricco (Mc 10,17-30, “Cosa sei disposto a rinunciare per Cristo?“) e due giorni fa con l’esortazione al fariseo (Lc 11,37-41, “Cosa si aspetta Gesù dai cristiani del III millennio?“). In entrambi i casi Gesù invitava i suoi interlocutori a dare in elemosina ai poveri le loro ricchezze, a condividere con gli altri ciò che loro hanno in abbondanza.

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Ecco allora il senso dei rimproveri di Gesù ai farisei e ai dottori della legge. Di chi si tratta in particolare? Di uomini di fede che si contraddistinguevano per un certo ascetismo, i primi, e per l’erudizione teologica, i secondi. Entrambi erano accomunati dall’ipocrisia di ritenersi giusti davanti agli uomini, ma a conti fatti erano ben più empi e malvagi di quei pubblici peccatori che loro stesso additavano e scomunicavano.

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Quei “guai” sono anche per noi!
Non illudiamoci, le parole di Gesù sono davvero attuali anche per i cristiani di oggi, soprattutto per coloro che bazzicano tra le sacrestie. Gente che si ritiene “arrivata”, che occupa posti di onore tra le prime file dei banchi di una chiesa, o che sale sui pulpiti per i propri panegirici autocelebrativi.

Gesù oggi rivela una cosa fondamentale, che non dovremmo mai dimenticare: è dall’amore che si riconosce un vero discepolo, non dalla sua eloquenza.
Quando entriamo in una chiesa, guardiamoci intorno, fissiamo lo sguardo sui volti che popolano l’aula liturgica e chiediamoci quale rapporto ho con ognuno di essi? Chi ci si sente nei riguardi dei presenti? Se riconosciamo che qualcuno popola quei banchi da tempo, ma per noi è uno sconosciuto, allora qualcosa non sta funzionando. Se in cuor nostro giudichiamo quella persona, la bolliamo come indegna, se non abbiamo relazioni di amicizia, se ci sentiamo superiori, allora anche la nostra è una fede dissociata, ipocrita.

Ben a ragione Papa Francesco commentando questo brano invita a guardarsi da questi cristiani ipocriti, preoccupati solo di apparire, e non teme di usare, anch’egli, parole forti per loro:

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L’autenticità, dunque, di un cristiano, si gioca a partire dalla qualità delle sue relazioni, dalla sua capacità di una condivisione con il prossimo. Essa prima di essere teologica e spirituale, dev’essere concreta. Non lasciamoci imbrogliare dal qualunquismo del primo teologo dalle belle parole, Gesù lo dice chiaramente: bisogna disprendersi per amare il prossimo. Giusto per citare alcune sue recenti affermazioni:

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Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,21).

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» (Mc 10,23).

Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (Lc 11,41).  

E questo senza contare tutti gli inviti all’austerità nei riguardi dei discepoli inviati in missione (Lc 10,1-12, “Scelte e atteggiamenti del vero discepolo di Cristo“).
Ben a ragione Paolo ironicamente bollava questi finti cristiani come “superapostoli”, mistificatori e falsificatori del Vangelo (2Cor 11,1-5; 12,1-13)

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Solo l’amore salva
Il brano di oggi, in ultima analisi, ci invita a riscoprire l’autenticità del nostro battesimo, in cui siamo salvati per l’amore del Figlio di Dio che si è incarnato, è morto ed è risorto per noi. Ed è per questo, dunque, che riscattati per un gesto d’amore folle, possiamo salvarci solo se viviamo d’amore e per amore.

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Se i farisei e i dottori della Legge altro amore non avevano se non solo per se stessi, impariamo a decentrarci, a lasciar spazio agli altri (quali prima mediazione dell’Altro). Facciamoci uomini e donne capaci di accoglienza, riconciliazione e condivisione vera, allora sì potremo dire di amare Dio e compiere passi concreti verso il Regno dei cieli.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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