In quel tempo, mentre Gesù stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola. Il fariseo vide e si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.
Allora il Signore gli disse: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro» (Lc 11,37-41).
Lungo il corso dei nostri approfondimenti, abbiamo avuto modo di vedere, come a seguire Gesù non ci fossero solo gli apostoli, la schiera dei discepoli e la folla che chiedeva miracoli, ma anche i suoi avversari: farisei, scribi, erodiani, ecc. Essi non lo perdevano mai di vista, anzi, non perdevano occasione per tirargli qualche trabocchetto e screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica (intenti tra l’altro sempre falliti).
In questo brano vediamo Gesù invitato a casa di un fariseo. E già questo dovrebbe farci sorgere una miriade di domande del tipo: ma come? Com’è possibile che un fariseo inviti proprio Gesù? Forse vuole convertirsi? Ha piacere di ascoltarlo? Niente affatto, anche in questo caso si tratta di un maldestro tentativo di coglierlo alla sprovvista. L’ennesimo tentativo fallito, vedremo. Perché? Perché in realtà non la prima volta che un fariseo invita Gesù e fa la pessima figura di non accogliere come si deve l’ospite (tanto importante per noi uomini del III millennio, ma rivestito di sacralità per la mentalità ebraica). Già, perché durante la sua permanenza a Nain il Maestro di Nazareth fu invitato da un certo Simone. Leggiamo cosa accadde in quel frangente:
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».
Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!» (Lc 7,36-50).
Se l’amore è comodo, non è amore
Approfondendo questo brano nel nostro articolo intitolato “Accogli l’ospite divino“, abbiamo avuto modo di vedere come i farisei anziché onorare l’ospite, mediazione della presenza di Dio, lo denigrano. È quello che accade in entrambi i brani lucani qui sopra riportati.
Tanto Simone di Nain, come questo fariseo a Betania, invitano il Messia solo per studiarlo in maniera più ravvicinata, vedere come si comporta quando abbassa le sue difese, magari dopo un bicchiere di vino. D’altro canto, però, benché Gesù conoscesse il segreto dei loro cuori, ma rifiutò il loro invito, come mai cacciò dalla sua presenza i suoui avversari. Questo modo di agire, manifesta la profonda tenerezza di Dio. In questo modo incarna quello che insegnò ai discepoli durante quello che è comunemente chiamato “Il discorso della montagna”: una sorta di manifesto programmatico di tutta la sua dottrina. Leggiamo:
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,43-48).
Questo atteggiamento di Gesù, propositivo nei riguardi dei suoi avversari, non può non metterci in crisi. Esso si rivela alla nostra vita come criterio di discernimento, circa l’autenticità del nostro cammino di fede, l’autenticità del nostro amore. Dopotutto avemmo modo già di affermarlo:
L’amore è tale solo nella misura in cui fa male
Il senso della vita
Chi può negare il fatto che sarebbe stato ben più appagante trattare il fariseo così come meritava? Avrebbe fatto bene al nostro ego, ci saremo tolti di torno un rompiscatole, e avremmo persino vissuto il resto della giornata con una maggiore serenità… che poi questa non ci darà mai la pace cercata, è un altro paio di maniche.
In effetti molte volte abbiamo l’intima, ed assurda presunzione, che il modo migliore per non soffrire sia eliminare l’altro dalla nostra vita: evitarlo, ignorarlo, far finta che non esiste anche se è seduto sull’altro banco della chiesa durante la Santa Messa domenicale. In realtà ci troviamo di fronte non solo di fronte alla grande ipocrisia di molti presunti cristiani del III millennio (iperconnessi ed ipersoli), ma soprattutto al grande inganno di Satana che ci costringe a un sempre maggiore isolamento, che è già il preludio dell’inferno. Nei nostri precedenti articoli, abbiamo voluto riprendere ed invitare i nostri lettori, a riscoprire il valore della comunionalità come preludio della beatitudine: Dio è relazione e il regno dei cieli è sublimazione delle relazioni vissute in questa vita (per un maggiore approfondimento rimandiamo ai nostri articoli: “Impara a prenderti cura delle tue relazioni” e “Per una recita più consapevole del Padre nostro“).
Se continuiamo ad ingannarci convinti che esista un modo per non farci ferire dagli altri, non potremo mai comprendere questo atteggiamento di Gesù a casa dei farisei, e men che meno il suo insegnamento:
Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? (Lc 9,23-25).
Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici (Mt 9,13).
Gesù, dunque, si rivela come l’accogliente per antonomasia, e invita a fare anche noi lo stesso, consapevoli che:
L’accoglienza che è la prima espressione dell’amore del prossimo e dell’amore per Dio
Il pericolo dell’esclusivismo
Vedi anche: “Cosa fare quando la vita ti chiude le porte in faccia?“
La questione della purificazione
Con la seconda parte del brano evangelico odierno, entriamo nel vivo della questione posta dal fariseo: cos’è che rende pura, potremmo dire anche benedetta, una cosa o una persona?
Per i farisei, e la mentalità israelitica antica in generale, la purificazione era necessaria per togliere via dal corpo ogni residuo di peccato. Già, perché il peccato era inteso come del materiale che, prima di accumularsi sull’anima macchiandola, si accumulava sul corpo. Per questo erano necessarie continue abluzioni. Si trattava di veri e propri rituali, che però nel corso dei secoli persero di significatività teologica: svuotati da una vera intenzione penitenziale. Bene viene espresso questo concetto dall’evangelista Marco, che annota questa disputa sulla purità rituale in un altro contesto:
Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?”.
Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. E diceva loro: “Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”.
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: “Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro” (Mc 7,1-15).
Il cambio di prospettiva
Gesù era un uomo molto concreto, tanto da non aver paura di fronteggiare a viso aperto le consuetudini impoverite dai significativi spirituali, morali e teologici che ne erano all’origine. Era davvero un uomo controcorrente: poneva al centro della sua predicazione, e di tutta la sua vita, l’amore del prossimo come criterio di significatività di ogni vita umana.
Il nocciolo della questione è questa: se i farisei potevano dirsi puri solo per ottemperare a dei rituali impoveriti del loro senso e nel frattempo continuare a opprimere il prossimo, tenendo a bada la loro coscienza, Gesù svela la loro ipocrisia e rivela che solo l’amore purifica, risana, ridona splendore alla vita dell’uomo e alla sua anima. Per questa ragione dice:
Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro
È davvero interessante questa affermazione di Gesù: perché per esemplificare l’amore che purifica menziona un amore orizzontale (tra persone) e non quella verticale dell’uomo con Dio? Perché non dice che ciò che purifica l’uomo è un bell’atto di culto presso il tempio di Gerusalemme? È la stessa provocazione emersa nel vangelo della scorsa domenica, quando ci è stato presentato l’esperienza del giovane ricco che vorrebbe fare qualcosa di più per Dio, e Gesù gli propone l’amore per il prossimo:
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre“».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni (Mc 10,17-22).
Commentando questo brano e la prorompente forza provocatoria di Gesù, avemmo modo di affermare:
Cos’ha di provocatorio la citazione di questi comandamenti per noi? Certamente rivela la falsità, l’illusione, del nostro amore per Dio quando questo, per primo, non passa attraverso il prossimo. E poiché Gesù era un uomo molto pratico, vedremo nel resto del dialogo, come la concretizzazione di questo amore fraterno si riveli esplicitamente nella condivisione. Se, in ultima analisi, non ti sforzi ad amare il prossimo, il tuo credo recitato solennemente la domenica alla celebrazione comunitaria dell’Eucaristia, è solo una messa in scena, una farsa alla quale, probabilmente credi solo tu! […]
Cosa sei disposto a rinunciare per Cristo?
Quale senso hanno le parole di Gesù? Egli sta rivelando qualcosa di fondamentale, di così importante che riguarda anche noi cristiani del III millennio che abbiamo la presunzione di fare un cammino di intimità con Cristo. Gesù sta invitando il giovane ricco alla condivisione. È forte questo, perché come non è lecito all’uomo pregare il Padre, e men che meno osare chiedergli il perdono, senza aver prima accolto, amato e perdonato il prossimo, così non è lecito seguire Cristo se non si è inseriti in questa dinamica orizzontale di comunione con i fratelli
L’amore purifica
Abbiamo avuto modo di ripeterlo in diverse circostanze e in tanti dei nostri articoli. Eppure riteniamo importante ripetere questo concetto, proprio a motivo del pericolo anticulturale della nostra epoca, che ci vede sempre più ripiegati su noi stessi, sempre più soli e incattiviti, reclusi in piccoli gruppi di amici e famigliari, in angusti spazi relazionali in cui non si respira che aria stantia.
Gesù, dunque, rivela al fariseo che se vuole purificare l’anima dai suoi peccati, non solo deve smettere di peccare, abbandonare, in primis, quell’avidità che è indice di egoismo, ma anche ogni tipo di cattiveria. Al fariseo, il Maestro di Nazareth, sta insegnando una via per vivere davvero bene la sua relazione con Dio: una via che passa necessariamente attraverso l’amore per il prossimo. Da questa prospettiva comprendiamo meglio l’invito di Gesù nella seconda parte del brano evangelico di oggi in cui invita a dare in elemosina, a fare gesti penitenziali che siano concreti e non solo parole al vento. Per Gesù, infatti, nulla c’è di più concreto che l’amore.
Oggi, dunque, la liturgia della Parola ci invita a rivedere tutte le nostre relazioni, ad aprire le finestre dei nostri “io” chiusi in luoghi angusti dall’aria consumata e aprirci agli altri, e davvero vogliamo aprirci a Dio. Dopotutto l’apostolo Pietro, illuminato dallo Spirito Paraclito nel giorno di Pentecoste, ben comprese questo insegnamento divino, e nella sua prima lettera, coniugando l’amore di Dio a quella del prossimo, che si realizza principalmente nell’accoglienza,. poté affermare:
La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen! (1Pt 4,7-11).

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