Essere fonte, mediatori e donatori di Dio

Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: “Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?”. Gesù rispose loro: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Chi vuol fare la sua volontà, riconoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso. Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia. Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui (Gv 7, 14-18. 37-39a).

Contesto
Il brano si situa all’interno del contesto cultuale di Gerusalemme. Troviamo infatti che Gesù entrando nella città, si dirige prontamente al tempio per predicare. Diversamente dall’evangelista Luca che narra l’unico grande viaggio del Nazareno che si sposta speditamente dalla Galilea alla città santa per affrontare la passione, per Giovanni Gesù vi si reca più volte. Infatti, questa salita a Gerusalemme nel quarto Vangelo, è per Gesù già la terza. Vi si era recato una prima volta quando, entrato nel tempio, cacciò via i cambiamonete (Gv 2,13-22) e una seconda, di sabato, in occasione di una festa non meglio precisata dall’evangelista e, in quell’occasione permise la guarigione di un malato nei pressi della cosiddetta porta delle Pecore (Gv 5,19).

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La polemica sull’insegnamento
L’evangelista Giovanni non specifica chi erano i Giudei che dopo il suo insegnamento lo criticano. Non sarebbe del tutto inesatto pensare che si tratti dei dottori della Legge, gli scribi, ovvero i teologi di quell’epoca.
Qual è la natura della loro polemica? Gesù non ha un diploma per predicare… e men che meno per predicare così bene. È un atteggiamento molto attuale al quale i cristiani di oggi devono stare molto attenti. Non raramente, infatti, si finisce per giudicare la qualità di una persona, il suo spessore all’interno della società, quanto possa contare la sua parola anche all’interno di comunità parrocchiali, in base ai suoi titoli. Gesù si svincola da questo ragionamento e rivela che la qualità di una persona la sia giudica solo nel grado di unione che stabilisce con Dio.
Da qui, dunque, le sue parole provocatorie, quelle che non dovrebbero mai smettere di risuonare all’interno delle aule catechistiche, delle sacrestie e dai pulpiti:

Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria

In un’era in cui l’apparire è stato elevato a valore imprescindibile dell’umanità, per cui si elevano sui piedistalli reginette del piccolo schermo, e influencer, queste parole svelano la grande ipocrisia del nostro tempo, della controcultura che si sta imponendo all’interno della nostra società. In cerca di “mi piace” (i like) e di “seguaci” (i cosiddetti followers), abbiamo smarrito la vera relazionalità, ripiegati su noi stessi e sui nostri apparati elettronici, dispersi nella rete dei social media, abbiamo perso l’orientamento della nostra identità, incattiviti da una socialità frustrante, imbevuti di programmi spazzatura e di una distruzione sistematica di ogni pensiero critico.
Ecco dunque la provocazione di Gesù che invita fortemente ognuno di noi a decentrarci, a riconoscere che una vita di apparenza non è che una vita frustrata e che è possibile raggiungere la pace e la gioia, nella misura in cui mettiamo Dio al centro.

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La ricerca della verità
Ma non è tutto. Gesù continua con il suo discorso provocatorio nei riguardi dei suoi avversari, ed indica una via perseguibile per reindirizzare il loro, e il nostro, cammino:

Chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia

Individuato l’errore esistenziale dei suoi avversari, indica la via retta che devono perseguire per non camminare più nell’errore e nell’autoinganno. Dalla gloria dell'”io” devono passare a quella di Dio. Si tratta di una grande intuizione, una vera e propria rivoluzione esistenziale, una conversione totale delle mozioni del cuore umano, che anche il Salmista coglie:

Non a noi, Signore, non a noi,
ma al tuo nome da’ gloria,
per il tuo amore, per la tua fedeltà (Sal 115,1).

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Questa fu anche l’intuizione di un giovane molto ispirato, una adolescente di grande preghiera e carità: il beato Carlo Acutis. È sua, infatti, l’affermazione:

Non io, ma Dio

Beato Carlo Acutis

Ma c’è dell’altro. Gesù fonda la credibilità dell’uomo, proprio nella misura questo è in grado di decentrarsi, di lasciare spazio a Dio. Per questo dice che solo chi si comporta così “è veritiero” e giusto, cioè incamminato sulla via della santità.
Ecco dunque, l’insegnamento di Gesù, il suo invito a guardarci bene, da chi è capace di una grande eloquenza, ma predica solo se stesso.

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Sete di Dio
Arriviamo all’ultima sezione del brano evangelico in questione.

Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me.

Si dice che l’uomo può resistere più tempo senza mangiare che senza bere e che dopo poche ore di disidratazione tutto il corpo comincia a risentirne gravemente. Allo stesso modo per Gesù il nostro attingere allo Spirito Santo deve diventare un’urgenza: una questione di vita o di morte. Come il corpo senza l’acqua è destinato a soccombere inesorabilmente, così anche la nostra anima, assetata della Terza Persona della Santissima Trinità, deperisce con altrettanta rapidità.
Il nostro tempo ci sta offrendo diversi esempi di uomini dall’anima inaridita e morta, gente che è riuscita a fare le cose più orribili. E qui non è sufficiente pensare ai grandi regimi totalitari, agli orrori della guerra, ai campi di concentramento. Abbiamo esempi ancora più attuali e lampanti, purtroppo, e per cui ormai non ci scandalizziamo più. Basti pensare all’aborto che si situa come un vero e proprio genocidio di massa, ma anche alla pratica dell’omicidio indotto, o come più elegantemente si desidera chiamarlo: suicidio assistito (ha davvero senso chiamarlo così, e non omicidio?) o eutanasia, dal greco bella morte (come se eliminare la vita altrui fosse davvero bella, magari bella solo per le tasche di alcune cliniche).
Come cristiani, oggi, siamo chiamati a fare un grande lavoro di purificazione personale. Decentrandoci, dobbiamo lasciare che lo Spirito di Dio entri in noi, ci rinnovi e un po’ per volta cacci dalla nostra anima ogni mozione di egoismo, orgoglio superbia, peccato. Solo allora potremo davvero scoprire il senso grande e profondo della vita, di ogni vita umana, in ogni suo stadio e condizione.

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Essere fonte, mediatori e donatori di Dio
Arriviamo, così, all’ultima affermazione di Gesù nel vangelo di oggi:

Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva

Se l’insegnamento di Gesù si fosse fermato alla prima affermazione, avremmo avuto modo di credere che nella nostra vita cristiana fosse consentito vivere come da continui ricettori della grazia, focalizzati unicamente sui nostri bisogni materiali e spirituali. Il problema è che Gesù con questa affermazione, scombina le carte in tavola di una gioco che sembrava perfetto: quello di tante piccole monadi non interconnesse tra loro, ma unicamente legate, singolarmente, col divino.
Chi pensa che la vita cristiana sia questa, forse non ha mai conosciuto Gesù. Infatti, la prima affermazione di Gesù, quella di abbeverarci alla fonte dello Spirito, ha senso solo se compresa in questa seconda frase. Il saziarci di Dio, vale solo nella misura in cui poi noi ci facciamo testimoni, mediatori della sua presenza, della sua misericordia, della sua grazia. Se pensi di tenere Dio solo per te, in realtà l’hai già perso.
Questo ci permette di capire, ancora una volta, che Gesù non ci vuole come soggetti passivi nella sua Chiesa, ma membri attivi del suo corpo mistico, suoi collaboratori nella salvezza dell’umanità, dopotutto l’amore, come lo Spirito, si arricchisce nel nostro cuore, solo nella misura in cui noi lo doniamo agli altri, altrimenti viene mortificato e si sciupa.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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