Il Salmo 13: analisi e teologia

1Per il maestro: Salmo di Davide
2Fino a quando Signore ti dimenticherai di me, per sempre?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
3Fino a quando coverò ribellioni nella mia anima, afflizione nel mio cuore ogni giorno? Fino a quando si ergerà contro di me il mio nemico?
4Guarda, rispondimi Signore Dio mio.
Illumina i miei occhi perché non dorma [il sonno della] morte (lett.: non dorma la morte)
5Perché il mio nemico non dica:
«L’ho vinto», [né] esultino i miei avversari quando vacillerò.
6E io nella tua benevolenza ho confidato, il mio cuore esulti per la tua salvezza, che io canti al Signore perché mi ha ricompensato.

INTRODUZIONE
Il Salmo è una supplica accorata di chi si vede prossimo a essere sopraffatto dal nemico. Il lettore viene catapultato nel tormentato mondo interiore del giusto perseguitato, il quale comincia a sfiduciarsi nei confronti di un Dio quanto meno disinteressato al suo dolore. In una sorta di iperbole letteraria, la preghiera inizia con lo stato di profonda prostrazione psicologica e spirituale dell’orante, per giungere al suo climax nella conclusione, lì dove il lamento angosciato cede il posto alla lode grata ed esultante.

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STRUTTURA
Riguardo la struttura, possiamo notare, dopo il titolo dato dal primo versetto, le quattro accorate domande anaforiche. Le prime due rivolte a Dio (v. 2), le altre a se stesso (v. 3). Segue la preghiera (vv. 4-5), composta da una prima parte di richieste perentorie nei confronti di Dio (v. 4), e di una seconda in cui si dà il nome alle angosce più profonde dell’orante (v. 5). Il testo si conclude con un inno di lode, allorquando il supplice si vede esaudito (v. 6). I personaggi chiamati in causa sono tre: Dio, l’orante stesso, con la sua interiorità conflittuale, e il suo nemico. Tra questi, Dio occupa un posto di preminenza, venendo chiamato in causa per tre volte (vv. 2.4.6): all’inizio, al centro e alla fine.

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FINO A QUANDO
Alter prenderà in esempio proprio i primi versetti di questo Salmo, per spiegare in cosa consistano le anafore1, i parallelismi poetici e le ripetizioni incrementali2.

In questo modo si può notare come l’iniziale dimenticarsi di Dio, diventa un atto volontario, nascondersi, e i sentimenti di ribellione dell’orante si concretizzano in un atteggiamento afflittivo.
Possiamo, poi, cogliere, fin da subito, una certa tensione creata da una diversa concezione del tempo. Da un lato c’è il supplice, pressato dalla prova e da una visione del tempo che protende verso l’ineluttabilità della morte e il fallimento morale e spirituale, e dall’altro c’è Dio, il quale “abita” l’eternità (Cfr. Sir 36,10).
L’anafora (fino a quando), in ebraico è costituita dalla preposizione עַד־ seguita dall’avverbio אָ֤נָה. Questa particolare costruzione, messa sulle labbra dell’uomo di fede, viene ripetuta una sola altra volta nel libro dei Salmi e poi nel primo capitolo del profeta Abacuc:

Sal 62,4a CEI 2008
Fino a quando vi scaglierete contro un uomo
עַד־אָ֤נָה ׀ תְּהֽוֹתְת֣וּ עַל אִישׁ֮

Ab 1,2a CEI 2008
Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti
עַד־אָ֧נָה יְהוָ֛ה שִׁוַּ֖עְתִּי וְלֹ֣א תִשְׁמָ֑ע

Mentre nel libro dell’Esodo e dei Numeri, a esprimersi in questo modo è Dio stesso3

Es 16,28b CEI 2008
Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi?
עַד־א֙נָה֙ מֵֽאַנְתֶּ֔ם לִשְׁמֹ֥ר מִצְוֺתַ֖י וְתוֹרֹתָֽיָ

Num 14,11b CEI 2008
Fino a quando mi tratterà senza rispetto questo popolo?
E fino a quando non crederanno in me, dopo tutti i segni che ho compiuto in mezzo a loro?עַד־אָ֥נָה יְנַאֲצֻ֖נִי הָעָ֣ם הַזֶּ֑ה
וְעַד־אָ֙נָה֙ לֹא־יַאֲמִ֣ינוּ בִ֔י בְּכֹל֙ הָֽאֹת֔וֹת אֲשֶׁ֥ר עָשִׂ֖יתִי בְּקִרְבּֽוֹ


V. 2a: PERCHÈ DICE “PER SEMPRE” (נֶ֑צַח) E NON IL PIÙ CONSUETO “IN ETERNO” (עוֹלָם)?

Fino a quando Signore ti dimenticherai di me, per sempre?
 עַד־אָ֣נָה יְ֭הוָה תִּשְׁכָּחֵ֣נִי נֶ֑צַח

A rispondere a questa domanda è il dizionario di Brown-Driver-Briggs, il quale afferma che il primo sostantivo (נֶ֑צַח) viene utilizzato per enfatizzare la durata infinita di qualcosa4, mentre il secondo enfatizza l’indefinitezza e l’incomprensibilità del tempo5.

V. 2b: NASCONDERE IL VOLTO

Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
תַּסְתִּ֖יר אֶת־פָּנֶ֣יךָ מִמֶּֽנִּי׃

Al di là della dimensione incrementale, di cui abbiamo già parlato, riteniamo interessante sottolineare una certa connotazione etica. Difatti l’atteggiamento divino di nascondere il volto, viene addirittura richiesto altrove dal salmista

Sal 51,11a CEI 2008
Distogli lo sguardo dai miei peccati
הַסְתֵּ֣ר פָּ֭נֶיךָ מֵחֲטָאָ֑י

Nascondere il viso, ha dunque, una rilevanza teologica tale da inficiare la comunione con Dio, allorquando l’uomo si trova fuori dalla sua grazia (Cfr. Dt 31,18; Is 8,17). Contrariamente viene benevolmente mostrato al povero e all’afflitto (Cfr. Sal 22,25; 27,8-9).

V. 3a: RIBELLIONI
Entriamo nel vivo della problematicità del Salmo, e ci spostiamo al v.3, analizzando il sostantivo femminile עֵצ֡וֹת che abbiamo tradotto con ribellioni:

Sal 13,3a Mia traduzione
Fino a quando coverò ribellioni nella mia anima
עַד־אָ֨נָה אָשִׁ֪ית עֵצ֡וֹת בְּנַפְשִׁ֗י

Il termine per lo più tradotto con «progetti, consigli»6, ha a che vedere con le elucubrazioni mentali, l’arrovellarsi il cervello.
La specificità del sostantivo è che non resta a livello teorico – almeno non unicamente –, ma si proietta verso una concretizzazione progettuale, così come attestato altresì da alcuni scritti qumranici7. Il libro dei Proverbi, in particolare lo usa per rivelare la tensione tra la vacuità dei propositi dei malvagi, con la concretezza applicativa dei progetti di Dio.

Pr 19,21 Mia traduzione
Molti sono i propositi nel cuore dell’uomo,
ma solo il progetto del Signore si realizza
 רַבּ֣וֹת מַחֲשָׁב֣וֹת בְּלֶב־אִ֑ישׁוַעֲצַ֥ת יְ֝הוָ֗ה הִ֣יא תָקֽוּם
(cfr. Esd 4,4-5; Ne 4,9)

Tuttavia l’esempio più calzante lo troviamo nel libro del profeta Isaia, il quale associa il sostantivo al verbo fare (עָשָׂה):

Is 25,1 Mia traduzione
Signore, tu sei il mio Dio; voglio esaltarti
e lodare il tuo nome,
perché hai compiuto un prodigio.
Progetti concepiti da lungo tempo, fedeli e veritieri.  יְהוָ֤ה אֱלֹהַי֙ אַתָּ֔ה אֲרֽוֹמִמְךָ֙ אוֹדֶ֣ה שִׁמְךָ֔ כִּ֥י עָשִׂ֖יתָ פֶּ֑לֶא עֵצ֥וֹת מֵֽרָח֖וֹק אֱמ֥וּנָה אֹֽמֶן׃

In questo caso il prodigio realizzato, consiste proprio nel compimento (עָשָׂה) dei progetti divini.  
Alla luce di questa ambivalenza applicativa, di astrazione o concretezza, il sostantivo occupa uno spazio semantico piuttosto ampio. Il dizionario di Clines, per esempio, vi vede un rimando a un altro sostantivo ebraico, traducibile con dolore, il che giustificherebbe una traduzione con «pena, agonia, tormento»8.
Una tesi, la sua, che collima insieme a quella di altri traduttori9, tra cui anche la CEI 1974.
Dal canto suo, però, la versione greca della LXX concorda col testo masoretico:

Sal 13,3a  Mia traduzione
Fino a quando coverò ribellioni nella mia anima
עַד־אָ֨נָה אָשִׁ֪ית עֵצ֡וֹת בְּנַפְשִׁ֗י
ἕως τίνος θήσομαι βουλὰς ἐν ψυχῇ μου
(cfr. Dt 32,28; Is 25,1)

Da parte nostra, invece, accogliamo la proposta del dizionario di Halot che traduce con «Rivolta, ribellione»10.

Una proposta certamente non innovativa, in quanto ottemperata anche dallo stesso Clines anche se poi non lo applica al nostro Salmo11.
La motivazione che ci spinge ad accogliere la proposta di Halot, la vediamo alla luce del senso che daremo al verbo מּֽוֹט, vacillare (v. 5), soprattutto in contrasto col perfetto di בָּטַח, ho confidato (v. 6a).

I TRE IMPERATIVI RIVOLTI A DIO
Il ritornello anaforico “Fino a quando”, a partire dal quarto versetto, cede il passo a tre ingiunzioni perentorie rivolte a Dio12.

Sal 13,4  mia traduzione
Guarda, rispondimi Signore Dio mio.
Illumina i miei occhi
perché non dorma [il sonno della] morte
הַבִּ֣יטָֽה עֲ֭נֵנִי יְהוָ֣ה אֱלֹהָ֑י
 הָאִ֥ירָה עֵ֝ינַ֗י פֶּן־אִישַׁ֥ן הַמָּֽוֶת

Riguardo il primo e il terzo verbo (הַבִּ֣יטָֽה e הָאִ֥ירָה), facciamo notare che il qamtes-he finale non indica un suffisso di terza persona femminile singolare, ma hanno una funzione paragogica: danno enfasi all’imperativo, caratterizzandone il senso d’urgenza.
Riteniamo interessante il fatto che questi imperativi con terminazioni paragogiche rientrino solo all’interno di contesti di suppliche:

Lam 1,11 CEI 2008
Tutto il popolo sospira in cerca di pane; danno gli oggetti più preziosi in cambio di cibo, per sostenersi in vita.
Osserva, Signore, e considera come sono disprezzata.
כָּל־עַמָּ֤הּ נֶאֱנָחִים֙ מְבַקְּשִׁ֣ים לֶ֔חֶם נָתְנ֧וּ מחמודיהם מַחֲמַדֵּיהֶ֛ם‪‬ בְּאֹ֖כֶל לְהָשִׁ֣יב נָ֑פֶשׁ רְאֵ֤ה יְהוָה֙ וְֽהַבִּ֔יטָה כִּ֥י הָיִ֖יתִי זוֹלֵלָֽה
(cfr. Lam 2,20; 3,63; 5,1)

Col secondo imperativo (עֲ֭נֵנִי), l’orante chiede a Dio di rompere il silenzio nel quale sembra essersi rinchiuso. Ravasi collega questo imperativo alla funzione oracolare della casta sacerdotale levitica13.
Meno consueto è l’imperativo usato per il verbo illuminare (אוֹר). Lo troviamo una sola volta all’interno di un altro Salmo, e sempre in un contesto di supplica  

Sal 31,17 CEI 2008
Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia
הָאִ֣ירָה פָ֭נֶיךָ עַל־עַבְדֶּ֑ךָ
 ה֖וֹשִׁיעֵ֣נִי בְחַסְדֶּֽךָ׃
(cfr. Sal 67,2; 80,4.8.20)

Tuttavia riteniamo interessante che nel nostro Salmo, l’orante chiede che a essere illuminato non sia il volto di Dio, ma il suo stesso sguardo:

Sal 13,4b  Mia traduzione
Illumina i miei occhi
perché non dorma [il sonno della] morte
הָאִ֥ירָה עֵ֝ינַ֗י פֶּן־אִישַׁ֥ן הַמָּֽוֶת

Robert Alter vi vede una sorta di intensificazione legata al primo imperativo14 (הַבִּ֣יטָֽה, guarda): il semplice sguardo di Dio, inonda di luce lo sguardo del credente. L’immagine dello sguardo inondato di luce, rimanda a un certo recupero delle energie, non solo spirituali, ma anche fisiche15. A confermare questa tesi si pone il racconto di Gionata, figlio di Saul, dopo l’incursione all’accampamento dei Filistei.

1Sam 14,27.29 CEI 2008
Ma Giònata non aveva saputo che suo padre aveva fatto giurare il popolo, quindi allungò la punta del bastone che teneva in mano e la intinse nel favo di miele, poi riportò la mano alla bocca e i suoi occhi si rischiararono (וַתָּאֹ֖רְנָה עֵינָֽיו).
Rispose Giònata: “Mio padre ha rovinato il paese! Guardate come si sono rischiarati i miei occhi (כִּֽי־אֹ֣רוּ עֵינַ֔י) perché ho gustato un po’ di questo miele.

Questa esperienza di “quiete dopo la tempesta”, che ritempra le energie e ridona speranza nuova all’uomo di fede, assume una connotazione particolare se si considera quali sono i pensieri di ribellione che si stanno accumulando nel cuore dell’orante (v. 2), prossimo, tra l’altro, al vacillare definitivo della fede (v. 5).  
È, dunque, a tutta questa ricchezza di immagini che il nostro orante rimanda, chiedendo tregua dall’imperversare del nemico.

DORMIRE LA MORTE (V. 4)
Dopo i tre imperativi, il versetto si conclude con un auspicio.

Sal 13,4b  Mia traduzione
Illumina i miei occhi
perché non dorma [il sonno della] morte
הָאִ֥ירָה עֵ֝ינַ֗י פֶּן־אִישַׁ֥ן הַמָּֽוֶת

Letteralmente l’orante chiede al suo Signore che non dorma la morte. Per questo la LXX ha avuto l’esigenza di completare la frase aggiungendo una preposizione εις accompagnata dall’accusativo di luogo θάνατον.

Sal 13,4b  Mia traduzione
Illumina i miei occhi
perché non dorma [il sonno della] morte
הָאִ֥ירָה עֵ֝ינַ֗י פֶּן־אִישַׁ֥ן הַמָּֽוֶת
φώτισον τοὺς ὀφθαλμούς μου
μήποτε ὑπνώσω εἰς θάνατον

Perché il Salmista non dice semplicemente: «perché non muoia»? Riteniamo che dietro l’espressione, ci siano delle motivazioni stilistiche e teologiche. Innanzitutto si crea una sorta di antitesi tra luce degli occhi e sonno della morte. Possiamo notare anche un certo parallelismo incrementale: se il semplice dormire implica chiudere gli occhi solo per un breve periodo, il dormire la morte li fa serrare per sempre.
L’associazione del verbo dormire alla morte, poi, è tutt’altro che sconosciuta nella letteratura biblica16.
Riguardo questo modo peculiare di costruire la frase, la grammatica di Gesenius afferma:

«Solo in senso più ampio lo schema etimologico può essere fatto rientrare nei casi in cui il verbo denominativo [יָשֵׁן da שֵׁנָה] è usato in connessione con il sostantivo da cui è derivato»17 .

Quindi alla nota a piè pagina fa riferimento al nostro Salmo:

«Anche in Sal 13,4 affinché non dorma il sonno della morte,  הַמָּֽוֶת è usato fruttuosamente solo per שְׁנַת הַמָּֽוֶת (Cf. Ger 51,39)»18.

«L’HO VINTO» E «VACILLO» (V. 5)

Sal 13,5  mia traduzione
Perché il mio nemico non dica: «L’ho vinto»,
[né] esultino i miei avversari quando vacillerò.
פֶּן־יֹאמַ֣ר אֹיְבִ֣י יְכָלְתִּ֑יו
צָרַ֥י יָ֝גִ֗ילוּ כִּ֣י אֶמּֽוֹט׃

Il primo elemento da attenzionare è la negazione פֶּן 19פֶּן
Presente nel primo stico, ce lo aspetteremmo anche nel secondo. In questo caso Gesenius afferma:

«La negazione a volte estende la sua influenza dalla prima ad una seconda frase negativa parallela ad essa (che può avere o meno la Waw)»20.

Ragion per cui indicare nella traduzione una doppia negazione non indica una forzatura del testo. Giusto per fare un esempio, vediamo il Salmo 9,19

Sal 9,19 CEI 2008
Perché il misero non sarà mai dimenticato,
la speranza dei poveri [non] sarà mai delusa.
כִּ֤י לֹ֣א לָ֭נֶצַח יִשָּׁכַ֣ח אֶבְי֑וֹן תִּקְוַ֥ת ענוים עֲ֝נִיִּ֗ים תֹּאבַ֥ד לָעַֽד׃

Ma non solo. Il versetto vede la presenza di due verbi non propriamente problematici, ma sicuramente da approfondire: יְכָלְתִּ֑יו e  אֶמּֽוֹט.

Sal 13,5  Mia traduzione
Perché il mio nemico non dica: «L’ho vinto»,
[né] esultino i miei avversari quando vacillerò.
פֶּן־יֹאמַ֣ר אֹיְבִ֣י יְכָלְתִּ֑יו
צָרַ֥י יָ֝גִ֗ילוּ כִּ֣י אֶמּֽוֹט׃

Il primo (יָכֹל)21, è un verbo piuttosto versatile. Infatti, viene generalmente tradotto con “potere”, “essere in grado di”, “riuscire”, “vincere”, finendo per spaziare anche in ambiti giuridici22.
Il secondo verbo è מּֽוֹט, il quale occupa un campo semantico meno ampio rispetto al precedente. Indica uno staccarsi da una posizione abituale: un vacillare non motivato, però, dalla paura dell’avversario23, ma dalla sfiducia nei confronti di Dio nel non vedersi esaudito. Da qui, appunto, il covare ribellioni di cui abbiamo parlato nel v. 3a. Questo ci spinge a comprendere il כִּ֣י non come indicatore di un periodo ipotetico (Cfr. LXX e CEI 2008), ma di una subordinata temporale. Il Salmista, difatti, ha ben chiaro che nel suo futuro più prossimo, c’è l’ignominia del giusto che vacilla nella fede. Esperienza ben espressa nel libro dei Proverbi:

Pr 25,26 CEI 2008
Fontana torbida e sorgente inquinata,
tale è il giusto che vacilla di fronte al malvagio.
מַעְיָ֣ן נִ֭רְפָּשׂ וּמָק֣וֹר מָשְׁחָ֑ת
 צַ֝דִּ֗יק מָ֣ט לִפְנֵֽי־רָשָֽׁע׃

L’orante, comunque, è consapevole che è solo da Dio che proviene la forza e la grazia di non vacillare di fronte agli empi, e in lui vorrebbe continuare a confidare (Cfr. v. 6a). Da qui l’intuizione del Salmo 94 che illumina ulteriormente il senso del verbo all’interno del nostro testo.

Sal 94,18 Mia traduzione
Quando ho detto: “Il mio piede vacilla“,
la tua benevolenza, Signore, mi ha sostenuto.
אִם־אָ֭מַרְתִּי מָ֣טָה רַגְלִ֑י
חַסְדְּךָ֥ יְ֝הוָ֗ה יִסְעָדֵֽנִי׃

È, a nostro avviso, questo passare dalla vacillazione, all’esperienza di sostegno della grazia divina, quando ormai tutto sembrava perduto, la chiave di svolta del nostro Salmo, tanto da esercitare una forza di propulsione verso l’esultanza con la quale si conclude la preghiera.

Sal 13,6  Mia traduzione
E io nella tua benevolenza ho confidato, il mio cuore esulti nella tua salvezza, che io canti al Signore perché mi ha ricompensato
וַאֲנִ֤י ׀ בְּחַסְדְּךָ֣ בָטַחְתִּי֮ יָ֤גֵ֥ל לִבִּ֗י בִּֽישׁוּעָ֫תֶ֥ךָ אָשִׁ֥ירָה לַיהוָ֑ה כִּ֖י גָמַ֣ל עָלָֽי


«E IO» (V. 6)
La congiunzione iniziale che precede il pronome personale, divide i traduttori. C’è chi, come la CEI 2008, la interpretano come una avversativa24, Alonso Schökel, forzando un po’ il testo, la vede come una causale25, mentre Ravasi evita il problema non riportandola26 assecondando la traduzione della CEI 1974 e quella della LXX27. Dal canto nostro, abbiamo deciso di indicarla come semplice copulativa, tale come si presenta. Difatti riteniamo che la congiunzione permetterebbe un miglior collegamento con ciò che l’orante aveva chiesto e ciò che ha appena ottenuto.

LA CONCRETEZZA DELLA BENEVOLENZA (חֶ֜סֶד)
Il Salmo è tutto segnato da una certa concretezza esperienziale che nel momento della prova è favorita dal termine עֵצ֡וֹת, ma viene ripreso anche dall’uso del sostantivo che noi traduciamo con benevolenza (חֶ֜סֶד)28. In questo modo, per esempio, è compreso dal Salmo 109 che lo associa al verbo fare, עָשָׂה.

Sal 109,16  Mia traduzione
Perché non si è ricordato di fare clemenza
e ha perseguitato un uomo povero e misero,
con il cuore affranto, per farlo morire.
יַ֗עַן אֲשֶׁ֤ר ׀ לֹ֥א זָכַר֮ עֲשׂ֪וֹת חָ֥סֶד
 וַיִּרְדֹּ֡ף אִישׁ־עָנִ֣י וְ֭אֶבְיוֹן וְנִכְאֵ֨ה לֵבָ֬ב לְמוֹתֵֽת׃
(Cfr. Zc 7,9)

L’uso, poi, dell’uso del perfetto per il verbo confidare (בָּטַח) apre uno squarcio alla lotta interiore che l’orante stava vivendo tra ribellione e fiducia.

LE TRE INCLUSIONI
Con grande abilità stilistica, la chiusura esultante del Salmo, avviene attraverso tre inclusioni.
Il primo termine che viene ripetuto è l’esultanza che si contrappone a quella degli avversari:

V. 6: Il mio cuore esulti per la tua salvezza
V. 5b: [né] esultino i miei avversari quando vacillerò

Quindi tocca al cuore dell’orante, dapprima contenitore di afflizione, ora palpitante di gioia e gratitudine:

V. 6b: Il mio cuore esulti per la tua salvezza,
V. 3b: afflizione nel mio cuore ogni giorno?

L’ultimo parallelismo è dato dal prefisso עַל, seguito dal suffisso di prima comune singolare, in cui si evidenzia come l’orante sia il ricettore non del male degli empi, ma della benevolenza di Dio:

V. 6d: perché mi ha ricompensato
כִּ֖י גָמַ֣ל עָלָֽי
V. 3b: Fino a quando si ergerà contro di me il mio nemico?
עַד־אָ֓נָה ׀ יָר֖וּם אֹיְבִ֣י עָלָֽי׃

In questo versetto si nota il capovolgimento della sorte dell’uomo che prega. Egli, infatti, vive un processo di liberazione che lo conduce dall’afflizione alla gioia. Per questo in qualche modo ricorda il Salmo 22:

In entrambi, infatti, il Salmista si percepisce abbandonato da Dio, per poi vedersi esaudito quando ancora la sua preghiera non è terminata. In questo senso sembrano risuonare le parole di Gesù, riportate dal solo evangelista Marco:

Mc 11,24  CEI 2008
Per questo vi dico: tutto ciò che chiedete e domandate,
credete che l’avete già ottenuto e sarà vostro
διὰ τοῦτο λέγω ὑμῖν, πάντα ὅσα ⸂προσεύχεσθε καὶ αἰτεῖσθε⸃,
πιστεύετε ὅτι ⸀ἐλάβετε, καὶ ἔσται ὑμῖν



  1. «Ripetizione retorica ed enfatica di una singola parola o di una breve frase, che non costituisce in se stessa un’unità sintatticamente completa»  (R. Alter, L’arte della poesia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo,106). ↩︎
  2. Cfr. R. Alter, L’arte della poesia biblica, 105-110. ↩︎
  3. Altrove, invece, troviamo la preposizione עַד־ seguita dalla particella interrogativa מָתָֽי o מָ֣ה (Cfr. Sal 6,4; 74,10; 79,5; 89,47; Is 6,11; Ab 2,6). ↩︎
  4. Cfr. BDB n. 5331. ↩︎
  5. Cfr. BDB n. 5769. ↩︎
  6. Cfr. BDB, n. 4044. Cfr. T. E. Saleska, Psalms 1-50, Concordia Publishing House, Saint Louis 2020, 282. Cfr. R. Alter, The Book of Psalms, W.W. Norton & Company, New York 2007, 116. ↩︎
  7. Cfr. 1QS 5,7-8; 6,3. ↩︎
  8. Cfr. D. J. A. Clines (ed.), The dictionary of classical hebrew, VI, Sheffield Press, Sheffield 2011, 527-532. ↩︎
  9. Cfr. L. Alonso Schökel – C. Carniti, I Salmi, I, Borla, Roma 1992, 301. Cfr. A. Weiser, I Salmi. 1-60, Paideia, Brescia 1983, 168. Cfr. P. C. Craigie – M. E. Tate, Psalms 1-50, Zondervan, Grand Rapids 2004, 229. ↩︎
  10. Halot, n. 7221. ↩︎
  11. D. J. A. Clines (ed.), The dictionary of classical hebrew, 532. ↩︎
  12. Robert Alter individua un certo parallelismo tra questo versetto e il secondo (Cfr. R. Alter, L’arte della poesia biblica, 106). ↩︎
  13. Cfr. G. Ravasi, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, I, EDB, Bologna 1981, 257. ↩︎
  14. Cfr. R. Alter, L’arte della poesia biblica, 108. A riguardo John Goldingay, interpreta l’espressione come un incoraggiamento, alla luce anche di Sal 19,9. Esso deriverebbe dalla consapevolezza che il Signore ha prestato attenzione alla supplica dell’orante, intervenendo concretamente nella sua vita (Cfr. J. Goldingay, Psalms, I, Baker, Grand Rapids 2006, 207). ↩︎
  15. Cfr. L. Alonso Schökel – C. Carniti, I Salmi, 303. ↩︎
  16. Cfr. J. Schüpphaus, Jasèn, in G. J. Botterweck – H. Ringgren – H.-F. Fabry (a cura di), Grande lessico dell’Antico Testamento, IV, Paideia, Brescia 2004, 98. ↩︎
  17. Gesenius’ Hebrew Grammar, § 117r. ↩︎
  18. Ibidem. ↩︎
  19. All’interno del contesto del nostro Salmo, Clines lo traduce con “Lest”, “per evitare che”, “affinché non” (Cfr. D. J. A. Clines (ed.), The dictionary of classical hebrew, 704). ↩︎
  20. Gesenius’ Hebrew Grammar, § 152z ↩︎
  21. Riguardo la vocalizzazione col qamets-hatuf, questo è dovuta alla prima sillaba che è atona (Cfr. Gesenius’ Hebrew Grammar, § 44e). ↩︎
  22. Cfr. H. Ringgren, Jàkol, in G. J. Botterweck – H. Ringgren – H.-F. Fabry (a cura di), Grande lessico dell’Antico Testamento, III, 735-736. ↩︎
  23. Cfr. A. Baumann, Mwṭ, in G. J. Botterweck – H. Ringgren – H.-F. Fabry (a cura di), Grande lessico dell’Antico Testamento, IV, 1004. ↩︎
  24. Cfr. Alter, L’arte della poesia biblica, 605; Cfr. J. Goldingay, Psalms, I, 204; Cfr. A. Weiser, I Salmi. 1-60, Paideia, 168. Cfr. P. C. Craigie – M. E. Tate, Psalms 1-50, 230. Cfr. T. E. Saleska, Psalms 1-50, 282. ↩︎
  25. Cfr. L. Alonso Schökel – C. Carniti, I Salmi, 301. ↩︎
  26. Cfr. G. Ravasi, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, I, 253. ↩︎
  27. ἐγὼ δὲ ἐπὶ τῷ ἐλέει σου ἤλπισα. ↩︎
  28. «Da quanto visto fin qui risulta che tre sono gli clementi costitutivi del termine ḥesed: il carattere di atto concreto, il carattere relazionale e la continuità. Come ha rilevato giustamente Jepsen (266 ecc.), ḥesed non denota soltanto un sentimento umano bensì sempre anche l’azione che ne scaturisce. Si tratta di un’azione vitale o vitalizzante; è impegno per chi è colpito dalla sventura o dal bisogno; è dimostrazione di amicizia o di pietà; persegue il bene e non il male» (H. J. Zobel, Ḥesed, in G. J. Botterweck – H. Ringgren – H.-F. Fabry (a cura di), Grande lessico dell’Antico Testamento, III, 66). ↩︎

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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