La solennità di Pentecoste si situa a conclusione di un ciclo che non è solo liturgico, il tempo di Pasqua, ma di un ciclo esistenziale e formativo che è di tutti i discepoli di Cristo.
Nei giorni tra la Risurrezione e l’Ascensione del Maestro i discepoli hanno avuto modo di rinsaldare la loro fede e il Signore li ha aiutati a comprendere il mistero della sua persona alla luce dell’evento pasquale che l’ha visto vittorioso sulla morte (approfondisci cliccando in basso).
Dal momento dell’effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, si chiude il ciclo dei discepoli in formazione e ne inizia uno tutto nuovo, quello in cui da uomini spaventati e timidi, diventano coraggiosi testimoni del risorto. Da chiusi nelle loro case a missionari per il mondo. È il momento in cui, comprendendo pienamente il senso degli insegnamenti del Maestro e il mistero della sua persona quale Figlio di Dio inviato nel mondo per salvare gli uomini, lo condividono con il mondo intero perché tutti possano partecipare di questa gioia e della sua salvezza.
Prima lettura
Dagli Atti degli Apostoli (At 2,1-11)
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
La prima cosa che è importante sottolineare è che questa effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, può avverarsi perché viene soddisfatta una condizione molto importante:
Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.
Gesù stesso da Risorto appare ai discepoli unicamente quando questi sono riuniti, quando c’è una comunità che è capace di accoglierlo (puoi approfondire leggendo i nostri precedenti articoli, cliccando ai link in basso).
Come il Figlio di Dio, anche la lo Spirito Santo appare sulla scena mentre la comunità è riunita, indice di come il Padre voglia vedere ognuno di noi, in comunione gli uni con gli altri, adempiendo il comandamento nuovo di Gesù (Cfr. Gv 13,34; anche in questo caso ti offriamo la possibilità di approfondire quale sia l’unico comandamento imposto ai discepoli cliccando sul link in basso).
Non c’è una rivelazione privata, ma comunitaria e così Dio si rivela a noi solo nella misura in cui diveniamo costruttori di comunione, capaci di edificare relazioni e non di abbatterle, creatori di ponti e non di muri. Poiché appunto questa condizione viene soddisfatta dalla prima comunità dei discepoli, lo Spirito Santo irrompe sulla scena facendo sentire la sua potenza, riempiendo i cuori dei presenti, nessuno escluso.
Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue
È interessante notare come Dio si doni a quei discepoli, e ad ognuno di noi, in maniera esaustiva, completa. Lo Spirito colma i cuori dei presenti e non si concede solo “il giusto”, “quanto basta”, ma fa traboccare di grazia le loro anime non tralasciando nessun anfratto. Questo ci rivela qualcosa di grandioso che forse non dovremmo mai perdere di vista: quel Dio che è amore, non aspetta altro che donarsi a noi in maniera eccessiva, andando oltre le nostre richieste ed aspettative. Ed è interessante il fatto che questo dato fu compreso persino dall’autore del primo libro dell’Antico Testamento, Genesi, quando nella Creazione ci rivela quest’ammore traboccante di Dio che è incapace di restare chiuso nei confini della Trinità e si riversa oltre, su chi è totalmente altro da lui: la creatura umana.
A quel rumore, la folla si radunò
È il primo effetto della Pentecoste: il radunare, il riunire. La comunione dei discepoli non resta chiusa in se stessa, settaria ed elitaria, ma comunicandosi permette agli altri di fare la stessa esperienza. Lo Spirito Santo che si dona a chi è riunito, a sua volta raduna, unisce, crea comunione, chiede a chi già vive la comunionalità di essere fecondi ed essere artigiani di fraternità.
L’evento di Pentecoste risana il danno che un tempo compirono gli uomini a Babele. Lì la superbia divise, qui l’amore unisce. Lì la convivenza degli uomini era basata sull’oppressione dello straniero e l’omologazione alla cultura ideologizzata della dominante Babilonia che suscitò l’ira divina e il fallimento dei loro piani, qui è l’amore che rinsalda e cementifica la relazioni, fondando una convivenza basata sull’amore, la solidarietà e l’accoglienza della diversità.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
La collocazione temporale del primo giorno della settimana, ha un carattere chiaramente cultuale, è il giorno nuovo del Signore, la domenica della Risurrezione. Gesù non perde tempo e va in cerca delle sue pecorelle smarrite, quei discepoli impauriti e intristiti, che hanno faticato a credere alle sue parole riguardo la passione che avrebbe dovuto patire, per poi risorgere al terzo giorno.
È il giorno della realizzazione di quella promessa che non molto tempo prima Gesù aveva predetto:
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi (Gv 16,7)
I doni del Risorto e la condizione per ottenerli
Gesù appare ai discepoli per manifestare la grande tenerezza di Dio, che si dona agli uomini anche quando questi faticano a credere in lui e ad essi concede diversi doni: il rifondare la loro fede, rinsaldare la loro speranza, ravvivare l’entusiasmo della sua sequela non più intimorita dalle persecuzioni. Insieme a questi concede anche qualcos’altro di ancora più importante: la pace (concessa abbondantemente e per ben due volte), la missione di farsi continuatori della sua opera redentrice nel mondo e nella storia, il dono dello Spirito Santo (quale nuova guida e maestro della Chiesa nascente), e l’impegno di rimettere i peccati.
Tanti doni in così poco tempo. Ecco l’abbondanza di Dio che si dona ai suoi discepoli, e a tutti noi. Eppure per poterne godere è necessario ottemperare a una sola condizione, senza della quale tutto il resto è non concesso: i discepoli devono farsi trovare insieme, uniti.
Fondamento della peculiarità di questa condizione è il modo di presentarsi di Gesù:
venne Gesù, stette in mezzo
Il permanere al centro dei fratelli ha diverse implicazioni di tipo teologico. La prima è che sicuramente Gesù stando in questa posizione è ugualmente raggiungibile da tutti, nessuno è escluso e nessuno è privilegiato. La seconda è che la sua presenza, in qualche modo, cementa e consolida l’unità fraterna e comunionale che si è creata e che egli stesso durante gli anni del suo ministero messianico ha fondato. La terza impone alle nostre coscienze la consapevolezza che mai nel corso della storia della salvezza e delle rivelazioni divine bibliche, Dio ha scelto di salvare gli uomini come singoli, ma sempre come comunità. E di questo il popolo di Israele non solo ne era convinto, ma lo provò sulla loro pelle.
Il dono della pace
Se c’è un’altra cosa sulla quale gli evangelisti concordano, è che il primo dono che il Risorto fa ai discepoli riuniti è la pace. Già nel solo brano odierno, vediamo come Gesù ogni volta che appare non solo augura la pace, ma la dona. Rileggiamo:
Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».
Anche l’evangelista annota questo aspetto:
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!» (Lc 24,36).
La pace donata da Cristo e preannunciata già nel suo discorso di addio, prima della passione, è qualitativamente superiore a una mera quiete psicologica o una assenza di guerre. Si tratta di una virtù cristiana fortemente legata alla temperanza e che permette al fedele in Cristo di perdurare in uno stato di serenità fiduciosa anche in mezzo alle asperità della vita. Per questo la pace da lui donata è fortemente legata alla permanenza dello Spirto Santo nel cuore e nella vita del cristiano. leggiamo:
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore (Gv 14,25-27).
Questo tipo di pace il Signore oggi vuole donare a tutti noi che ci riuniamo come comunità, nel suo nome, per celebrare il Sacramento della domenica. Egli viene nella nostra vita per donarci quella pace che con tanto ardore cerchiamo anche senza saperlo. È la pace che cerchiamo quando sperimentiamo le prove della vita, alla stessa aneliamo quando desidereremmo essere uomini e donne realizzati con un minimo di sicurezza economica ed affettiva. Spesso cerchiamo la pace in posti o persone che non potranno mai saziare questa sete di infinito che può provenire dal solo Cristo alla condizione da lui dettata: avere un animo riconciliato e riconciliante.

Il mandato missionario
Gesù riaccende i cuori dei discepoli, ripiegati dalla tristezza e dalla paura. Fa in modo che quelle porte chiuse per timore di essere perseguitati, vengano ora spalancate e rende quegli uomini fragili, missionari temerari per le strade del mondo.
Il mandato che ricevono è duplice e permetterà che quei doni ricevuti (la fede, la speranza, l’entusiasmo, la pace e lo Spirito Santo) possano continuare a fruttificare nel loro cuore e nella loro vita.
Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi.
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati
Gesù trasfigura l’inclinazione a chiudersi dei discepoli, rendendoli uomini di comunione, di relazioni aperte e universali, di incontri personali, riconciliati e, insieme a questi, fonda il Sacramento della riconciliazione che avviene unicamente attraverso un mediatore fragile che è il discepolo prima, e poi il presbitero.
Artigiani di fraternità
La solennità della Pentecoste non può che metterci in crisi e con tutta verità ci invita a una revisione di vita. Quante torri di Babele abbiamo costruito nella nostra vita? Quanti muri abbiamo innalzato? Quante volte abbiamo preteso che l’altro la pensasse come noi? In questo giorno così solenne siamo chiamati a denunciare situazioni di oppressione delle fasce più deboli della nostra società, ad essere critici e costruttivi di fronte a situazioni di ingiustizia, perché nel nostro piccolo possiamo contribuire alla edificazione di un mondo più giusto e più a misura d’uomo. Tuttavia questo cammino, questo nostro impegno e sforzo, non avrà senso se non inizieremo proprio dalle nostre famiglie e dalle nostre comunità, se non ci faremo artigiani di fraternità proprio lì dove il Signore ci ha voluto. Allora anche noi saremo capaci di fare esperienza di una nuova Pentecoste e collaboratori dello Spirito Santo nell’essere costruttori di comunità.

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