INTRODUZIONE
Cari lettori, approfittando della festa della mamma, la scorsa settimana abbiamo iniziato un cammino di approfondimento delle figure materne nelle Sacra Scrittura. Così, dopo esserci affacciati alla prima delle madri nella storia dell’umanità, Eva – madre dell’umanità peccatrice – , abbiamo approfondito anche un’altra figura particolarmente importante per la storia della salvezza: Sara – madre dei credenti-.
Due donne molto distanti tra loro, eppure accomunate dalla sofferenza (per aver perso entrambi i suoi figli, nel primo caso, o per il non riuscire a concepirli, nel secondo). Entrambe però hanno saputo affrontare le sfide della loro maternità e hanno fatto esperienza della straordinaria tenerezza di Dio, che ha trasformato in un sorriso il loro pianto.
In questo articolo approfondiremo altre tre figure di madri dell’Antico Testamento: Rebecca, moglie di Isacco e Rachele e Lia, mogli di Giacobbe.
I. REBECCA: UNA MADRE FIDUCIOSA E INTRAPRENDENTE
I.a. La prescelta di Dio
La storia di questa donna inizia con la sua chiamata da parte di Dio per diventare la moglie di Isacco. Nel capitolo 24 della Genesi, vediamo come il servo di Abramo, ormai molto avanti negli anni, fu inviato nella sua terra natale per trovare una sposa per Isacco suo figlio. Il servo pregò a Dio per la guida e la conferma divina, e Dio rispose alla sua preghiera conducendolo proprio a Rebecca. Leggiamo:
Abramo era ormai vecchio, avanti negli anni, e il Signore lo aveva benedetto in tutto. Allora Abramo disse al suo servo, il più anziano della sua casa, che aveva potere su tutti i suoi beni: “Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore, Dio del cielo e Dio della terra, che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito, ma che andrai nella mia terra, tra la mia parentela, a scegliere una moglie per mio figlio Isacco”.
Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone, si mise in viaggio e andò in Aram Naharàim, alla città di Nacor. Fece inginocchiare i cammelli fuori della città, presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera, quando le donne escono ad attingere. E disse: “Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest’oggi e usa bontà verso il mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell’acqua, mentre le figlie degli abitanti della città escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: “Abbassa l’anfora e lasciami bere”, e che risponderà: “Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere”, sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone”.
Non aveva ancora finito di parlare, quand’ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, usciva con l’anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d’aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei. Ella scese alla sorgente, riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: “Fammi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora”. Rispose: “Bevi, mio signore”. In fretta calò l’anfora sul braccio e lo fece bere. Come ebbe finito di dargli da bere, disse: “Anche per i tuoi cammelli ne attingerò, finché non avranno finito di bere”. (Gen 24,1-4.10-19)
Che si trattasse di una sorta di vocazione divina, lo scoprirono anche il padre e il fratello di Rebecca, allorquando il servo raccontò l’accaduto. Per questo la stessa Rebecca accettò volentieri di seguire il servo di Abramo e divenire la moglie di Isacco, anche se non lo conosceva, la presenza di Dio in questa unione, la sua benedizione, era già per lei una garanzia più che sufficiente per la buona riuscita del matrimonio e di tutta la sua vita futura.
I.b. Il momento della prova
Come per Sara, anche Rebecca deve affrontare la dura prova dell’impossibilità di generare figli. Una condizione particolarmente mortificante per la figura femminile dell’Antico Israele. A differenza della madre di suo marito, però, Rebecca è ancora giovane. Così Isacco alla morte del padre, invoca efficacemente il Signore con queste parole:
Isacco supplicò il Signore per sua moglie, perché ella era sterile e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta (Gen 25,21).
La cosa interessante è l’abbondanza della grazia divina, che eccede sempre nell’amore, tanto che Rebecca finirà per gestare nel suo grembo addirittura una coppia di gemellini, padri di due intere nazioni.
Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: “Se è così, che cosa mi sta accadendo?”. Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose:
“Due nazioni sono nel tuo seno
e due popoli dal tuo grembo si divideranno;
un popolo sarà più forte dell’altro
e il maggiore servirà il più piccolo” (Gen 25,22-23).
I.c. L’intraprendenza di una madre
Sicuramente l’episodio che maggiormente caratterizza la maternità di questa donna, è quello legato alla vendita della primogenitura, ceduta da Esaù a Giacobbe per un piatto di lenticchie (clicca sul link in alto).
Il problema, però, emerge quando Isacco ormai prossimo alla morte intende dare la sua benedizione sul solo Esaù, investendolo di tutto il suo patrimonio materiale, umano e spirituale.
Qui interviene Rebecca che tende a ristabilire la giustizia e fare in modo che l’eredità di Isacco non ricada sul figlio che l’ha disprezzata.

Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: “Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito”. Per questo fu chiamato Edom. Giacobbe disse: “Vendimi subito la tua primogenitura”. Rispose Esaù: “Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?”. Giacobbe allora disse: “Giuramelo subito”. Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura (Gen 25,29-34).
Così con uno stratagemma Rebecca fa indossare l’abito bello al suo secondogenito e fa in modo che questi si presenti sotto mentite spoglie così da ottenere la benedizione dal padre (Cfr. Gen 27,1-29).
Rebecca è un esempio straordinario di intraprendenza nella Bibbia. La sua storia ci insegna che quando siamo disposti a rispondere alla chiamata di Dio e ad agire con coraggio e saggezza, Egli ci guiderà e compirà grandi cose attraverso di noi. La fiducia in Dio, la saggezza nell’agire e la perseveranza nella ricerca del Suo piano sono le caratteristiche che definiscono l’intraprendenza di Rebecca. Possiamo essere ispirati dal suo esempio e cercare di vivere una vita di fede e coraggio, mettendo la nostra fiducia in Dio e seguendo i Suoi comandi.
II. LIA, LA BENEDETTA
Giacobbe sposò due donne, la prima, Lia, le fu data da Labano, suo suocero, con l’inganno volendo sistemare questa figlia non proprio carina e che nessun uomo voleva. La seconda donna fu Rachele, sorella di Lia. Quest’ultima era bella d’aspetto e catturò da subito il cuore del giovane Giacobbe, il quale, per poterla sposare, fu costretto a mettersi al servizio del suocero per ben sette anni (Cfr. Gen 29,1-30).
La relazione tra le due sorelle fu tutt’altro che facile. La consapevolezza che l’una fosse colei che faceva battere il cuore del marito, pesava sull’altra la quale si vedeva trascurata. Situazione che non passa inosservata al cuore tenero di Dio che benedice Lia con una feconda maternità. Leggiamo:
Ora il Signore, vedendo che Lia veniva trascurata, la rese feconda, mentre Rachele rimaneva sterile (Gen 29,31).
II.a. La maternità come sorgente di speranza
Da lei Giacobbe i suoi primi quattro figli, capostipiti delle tribù di Israele: Ruben, Simeone, Levi e Giuda. Quello che è davvero interessante sono i nomi che questa donna dà ai propri figli, perché tutti vengono spiegati in relazione a Dio e alla sua tenerezza.
Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: “Il Signore ha visto la mia umiliazione; certo, ora mio marito mi amerà”. Concepì ancora e partorì un figlio, e disse: “Il Signore ha udito che io ero trascurata e mi ha dato anche questo”. E lo chiamò Simeone. Concepì ancora e partorì un figlio, e disse: “Questa volta mio marito mi si affezionerà, perché gli ho partorito tre figli”. Per questo lo chiamò Levi. Concepì ancora e partorì un figlio, e disse: “Questa volta loderò il Signore”. Per questo lo chiamò Giuda. E cessò di avere figli (Gen 29,32-35).
Allorquando poi non riuscendo a concepire altri figli, secondo l’usanza dell’epoca, concesse a Giacobbe di unirsi alla sua schiava Zilpa per avere altri due figli: Dan e Aser . Anche in quel caso sarà Lia ad imporre i nomi a quei bambini che riterrà suoi. Così, ancora una volta, i nomi di quei figli hanno un profondo significato teologico, evocatori dello stato spirituale di questa madre. Ma è soprattutto del secondo che teniamo a precisarne il significato:
Zilpa, la schiava di Lia, partorì un secondo figlio a Giacobbe. Lia disse: “Per mia felicità! Certamente le donne mi chiameranno beata“. E lo chiamò Aser (Gen 30,12-13).
È interessante questo passaggio, perché viene citato nel cantico del Magnificat della Vergine Maria:
Allora Maria disse:
“L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc 1,46-48).
Successivamente a questi eventi, Lia riuscirà a concepire ancora altri tre figli a Giacobbe e i nomi che darà a questi bambini sono, ancora una volta, rivelatori della sua intima relazione con Dio. Un rapporto fondato sulla fiducia, sulla tenerezza e sulla gratitudine.
Il Signore esaudì Lia, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio. Lia disse: “Dio mi ha dato il mio salario, perché ho dato la mia schiava a mio marito”. E lo chiamò Ìssacar. Lia concepì e partorì ancora un sesto figlio a Giacobbe. Lia disse: “Dio mi ha fatto un bel regalo: questa volta mio marito mi preferirà, perché gli ho partorito sei figli”. E lo chiamò Zàbulon. In seguito partorì una figlia e la chiamò Dina (Gen 30,17-21).
II.b. L’insegnamento spirituale di Lia
La storia di Lia ci insegna importanti lezioni spirituali sulla maternità e sulla gratitudine. Innanzitutto, ci ricorda che la maternità è un dono di Dio, e anche se può essere accompagnata da sfide e sofferenze, è un’opportunità per sperare in un futuro migliore. Lia ci invita a trovare la gioia e la gratitudine nelle piccole benedizioni quotidiane e a riconoscere che ogni figlio è un regalo prezioso da parte di Dio.
Inoltre, Lia ci mostra l’importanza di accettare la nostra identità e di trovare la nostra bellezza interiore nella relazione con Dio. Anche se possiamo sentirsi inadeguati o trascurati dagli altri, Dio ci ama e ci accoglie con tutto il nostro essere. Dobbiamo imparare a vedere noi stessi attraverso gli occhi di Dio e ad apprezzare la nostra unicità e il nostro valore.
III. IL CAMMINO INTERIORE DI RACHELE
È la donna che Giacobbe ha sempre amato, quella per cui ha lottato tenacemente per poter sposare, sopportando angherie e ingiustizie da suo suocero. L’avvenenza di Rachele, si pone in antitesi con la sua sorella maggiore. L’autore sacro descrive così l’aspetto delle due sorelle:
Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto, perciò Giacobbe s’innamorò di Rachele (Gen 29,17-18).
La consapevolezza di essere l’unica donna veramente amata dal marito, la pose in una situazione ambigua nei confronti della sorella, tanto che inizialmente il Signore beneficherà l’una a scapito dell’altra. Rachele dovrà imparare a purificare i suoi sentimenti, a rendere fecondo d’amore fraterno il suo animo, prima che il suo grembo.
Rachele, vedendo che non le era concesso di dare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: “Dammi dei figli, se no io muoio!”. Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: “Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?” (Gen 30,1-3).
È la lezione che deve imparare, la sua sfida, la sua croce che le permetterà di crescere come donna per poi, finalmente, diventare madre e dare la vita perché il suo secondogenito, Beniamino, la abbia.
Il periodo precedente al concepimento del suo primogenito, Giuseppe, permetterà a questa donna una profonda riflessione personale, di revisione della sua vita e priorità. Così, pur di poter dare un figlio a suo marito, le concederà (prima di Lia) la sua schiava: Bila. Dall’unione di Giacobbe con la schiava nasceranno due figli: Dan e Neftali. Nomi imposti da Rachele e che offrono uno spaccato dell’interiorità di questa donna. Leggiamo:
Bila concepì e partorì a Giacobbe un figlio. Rachele disse: “Dio mi ha fatto giustizia e ha anche ascoltato la mia voce, dandomi un figlio”. Per questo ella lo chiamò Dan. Bila, la schiava di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio. Rachele disse: “Ho sostenuto contro mia sorella lotte tremende e ho vinto!”. E lo chiamò Nèftali (Gen 30,5-8).
Tuttavia Rachele potrà tornare ad essere fertile solo quando Lia, darà alla sua luce la sua ultima creatura, Dina. Avrà un primo figlio, Giuseppe, e più avanti negli anni anche Beniamino, per il quale morì, dandolo alla luce.
Da questa donna straordinaria ed eroica che dà la vita, perché suo figlio la abbia, cogliamo che la sterilità di cui soffrì altro non era che espressione di una sterilità affettiva nei riguardi di sua sorella, per questo le furono necessari anni per elaborare il conflitto interiore con lei, quella eterna competizione da fratelli, per poi potersi dire finalmente madre.
Questo suo cammino interiore, l’ha resa la donna virtuosa lodata dai Padri della Chiesa e ancor di più da suo marito:
La bellezza di Rachele ha suscitato grande desiderio in Giacobbe, ma la sua virtù lo ha conquistato ancor di più.
San Giovanni Crisostomo

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