In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 16-20).
Contesto
Nelle ultime settimane, la liturgia della Parola, ci ha fatto riflettere sulle ultime parole di Gesù prima di subire la passione. Il contesto, era quello dell’ultima cena, secondo la narrazione dell’evangelista Giovanni (vedi approfondimenti ai link in basso). Nelle parole di Gesù vedemmo tutta la sua attenzione focalizzarsi non su quello che doveva subire (il tradimento di Giuda, l’arresto, le umiliazioni, le sofferenze e la morte di croce), ma sui discepoli perché riescano a vivere bene tra loro, nel momento in cui lui, solo fisicamente, non ci sarà più.
Su cosa vertevano le parole di Gesù: sull’amore fraterno come indice rivelatore della credibilità dell’uomo di fede e sulla certezza che la tristezza dei discepoli si sarebbe tramutata in gioia, non appena lui sarebbe asceso alla destra del Padre, luogo da cui avrebbe inviato la terza Persona della Persona della Santissima Trinità.
L’atteggiamento di Gesù è quanto mai rivelatorio circa la sua persona e i suoi sentimenti. Egli si nega completamente a se stesso, alle sue necessità e paure, per donarsi ai discepoli, fino alla fine, fino a quando le sue forze e il suo fiato, glielo concederanno.
In particolare, poi, il brano del vangelo di questa domenica si colloca come la conclusione del Vangelo secondo Matteo.
L’ascensione come meta del cammino umano
È, probabilmente, il momento più drammatico della vita dei discepoli: quel Messia che hanno seguito, visto morire e poi risorgere, ecco che adesso si allontana da loro.
Gesù non risorge per tornare a fare la vita di prima: predicare e fare miracoli di città in città insieme ai discepoli, questo era il tipo di risurrezione dai morti, nella quale credevano gli israeliti (o meglio una parte sostanziosa di loro). Egli risorge per ascendere alla destra del Padre, per dare ai discepoli un nuovo Pastore, che è appunto lo Spirito Santo.
Egli ascende per preparare ai discepoli un posto sicuro perché la comunione che ora si spezza, resti per l’eternità. Gesù ascende per non lasciare mai più i suoi fedeli. È questa relazionalità che qualifica la nostra vita dopo la morte, non semplicemente un luogo, nell’alto dei cieli, ma una comunionalità imperitura e gioiosa con Dio, con i santi e con coloro che ci hanno preceduto.
Spesso viviamo la nostra vita come tutto sia per sempre. Assolutizziamo riconoscimenti, carriere, cose, affetti. L’ascensione ci ricorda che non siamo fatti per questa terra, che la nostra era vita inizia con la morte e che siamo destinati al cielo. Dovremo poter ripetere come San Filippo Neri: “Preferisco il paradiso”.

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L’ultimo comando di Gesù
Il brano si apre con una teofania: il Maestro manifesta la sua gloria ai discepoli ed essi si prostrano in segno di adorazione, pur avendo dubbi ancora nel loro cuore. Per questo Gesù si avvicina ai dodici e rifonda la loro fede, confermando la sua natura divina:
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
A queste parole segue il suo comando perentorio, preceduto da una condizione:
Andate dunque e fate discepoli
La frase contiene un participio, che indica una sorta di premessa o condizione, e un verbo all’imperativo. La condizione è quella del cammino, perciò la frase può anche essere tradotta così:
Dopo che vi sarete messi in cammino, fate discepoli
Perché è importante questa specificazione? Perché rivela che non può esserci vera missione cristiana, vera testimonianza, se non si ottempera alla condizione della comunità. Gesù invia i discepoli non singolarmente, ma comunitariamente. Li invia insieme! perciò essi devono imparare a stare l’uno al passo dell’altro, riconoscendo che senza il fratello non si può ottemperare al comando di Gesù.
Un altro aspetto importante che cogliamo dalle parole del Signore è quando specifica che l’azione missionaria dei discepoli deve essere profondamente inclusiva. Infatti afferma:
fate discepoli tutti i popoli
Nessuno deve essere escluso. L’invito, che vale anche per ognuno di noi, è quello di fuggire dalla costante tentazione delle élite, dei piccoli circoli di amici stretti, per avere un respiro più universale, cattolico appunto.
Cambiare vita
Ogni celebrazione eucaristica deve sortire nel nostro animo, un effetto di profonda conversione, di purificazione da ciò che è contrario al Signore, per lanciarci diretti verso una santificazione personale.
Allo stesso modo la provocazione che oggi cogliamo da questo brano del Vangelo secondo Matteo, ci invita a riflettere sull’importante della testimonianza cristiana, della nostra missionarietà, come un proprium cristiano che sgorga come esigenza dal nostro cuore a motivo del Battesimo e della grazia ricevuta nel sacramento eucaristico (proprio come accadde ai discepoli di Emmaus, clicca sul link in basso).
Alla luce di tutto questo comprendiamo che non possiamo permetterci di sprecare la grazia proveniente dalla Santa Messa domenicale, senza poi lasciarci inviare verso il fratello, per condividere la gioio della nostra fede, sostenerlo e amarlo.
LA PROMESSA FINALE
Tutto il Vangelo secondo Matteo, si conclude con questo impegno del Risorto:
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo
L’ascensione di Gesù non è tesa a un semplice allontanamento dai discepoli, ma perché da quella assenza, soltanto fisica, provengano beni ancora maggiori: in primis la discesa dello Spirito Santo come nuova guida della Chiesa nascente lungo il suo percorso storico, e poi il preparar per loro una dimora nel regno dei cieli (Cfr. Gv 14,3).
Il Cristo che prima era insieme agli apostoli lungo le strade di Israele, ora diventa tanto intimo a loro da prendere posto in loro, facendo del loro cuore il suo trono.
Questo sortisce per noi un’ulteriore provocazione: quando cerchiamo Cristo, quando vogliamo un momento di intimità con lui, prima di cercarlo in Chiesa davanti a un tabernacolo, dobbiamo imparare a riconoscerlo negli occhi di chi ci è accanto e lì amarlo. Questo è il suo unico comando lasciato ai discepoli :
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).

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