In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,15-21).
CONTESTO
Il brano del Vangelo di oggi si situa a continuazione di quanto proclamato la scorsa domenica e meditato nei giorni feriali di questa settimana. Il contesto è quello dell’ultima cena, lì dove il Maestro condivide ai suoi discepoli quegli ultimi suoi insegnamenti. Si tratta, potremo dire, del suo testamento spirituale: quello che si aspetta dagli apostoli dal momento in cui lui, solo fisicamente, sarà sottratto ai loro occhi.
Si tratta di esortazioni alla gioia, al permanere sempre stretti uniti a lui e alla comunione fraterna (vedi link in basso).
«SE MI AMATE…»
Il brano si apre con una frase al condizionale, tanto forte da delineare subito chi è un vero discepolo e chi un mistificatore:
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti
A quali comandamenti sta facendo riferimento Gesù? Durante l’ultima cena per due volte rispettivamente all’inizio e alla fine. La prima volta enuncia in maniera generale il comandamento, la seconda volta lo specifica approfonditamente perché non resti una semplice teoria. Leggiamo:
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34).
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri (Gv 15,12-17).
Lo abbiamo detto più volte e in diversi dei nostri approfondimenti biblici, ma vale la pena ripeterlo: tutto l’insegnamento di Gesù può essere sintetizzato nell’amore (verso Dio e il prossimo), tanto che proprio questo fa da discriminante tra chi sarà un suo vero discepolo e otterrà salvezza, e chi invece si sarà preparato un posto per il regno degli inferi.
Nei racconti della Risurrezione, poi, abbiamo visto che Gesù si riveli non a uomini singoli, ma a un gruppo di discepoli che siano in cammino verso Emmaus o chiusi nella casa di Gerusalemme (vedi link in basso). Ogni sua rivelazione fonda la comunità e rimanda ad essa. Per questo all’incredulo Tommaso non fu concessa una rivelazione privata del Risorto, ma dovette rientrare in seno alla comunità dei fratelli per riconoscere il Maestro redivivo (clicca sul link in basso).
Già, dunque, questa prima frase di Gesù servirebbe per mettere in crisi il nostro cammino e innescare un meccanismo di conversione e revisione di vita. Non basta dire di amare il Signore e non è nemmeno sufficiente la preghiera: per dimostrare davvero di amare Cristo, dobbiamo amare chi ci è accanto, chi è difficile da sopportare. Dopotutto come spiega bene lo stesso Gesù alla fine dell’ultima cena, l’amore fraterno non può ridursi al sentimentalismo, a del tenerume a buon mercato: amare l’altro significa saper morire per lui, fare i conti con il proprio egoismo e orgoglio, per lasciar spazio a chi è talmente diverso da noi da riuscire ad esserci insopportabile. Ha detto infatti:
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici (Gv 15,13).
«E IO PREGHERÒ IL PADRE…»
Facciamo bene attenzione: quello che segue, la promessa di Gesù, riguarda solo coloro che lo amano veramente nel modo in cui abbiamo detto sopra. Solo nella misura in cui saremo disposti a dare la vita per l’altro, allora:
e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre,
Cosa si intende per Paraclito? Il termine è una traslitterazione dall’originale greco (lingua nella quale furono scritti i vangeli) παράκλητον, spesso tradotto come Consolatore, indica una figura giuridica che sostiene l’imputato durante una sentenza, suggerendo come difendersi, sussurrandogli le parole giuste al momento giusto dirette al giudice. Per questa ragione spesso Paraclito è tradotto anche come Avvocato.
Per questa ragione nel Vangelo secondo Luca, Gesù si rivolge ai suoi discepoli con queste parole:
Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire” (Lc 12,11-12).
Questo aspetto dello Spirito Santo è davvero interessante, perché il suo lavoro non è quello di sostituirsi a noi nei momenti della prova, ma si pone discretamente accanto a noi aiutandoci ad affrontare i momenti difficili della vita. Questo è un altro aspetto su cui tanti cristiani dovrebbero riflettere, quando vogliono fare di Dio una marionetta piegata ai loro capricci e desideri.
Ma non solo. Questa figura giuridica che in quell’epoca potevano permettersi solo i più fortunati e solo per il periodo in cui durava la sentenza, viene promesso da Gesù come amico fedele dei suoi discepoli, che rimarrà per sempre con loro. Quello che era un lusso per alcuni all’epoca di Gesù, viene concesso in abbondanza a noi!
Questa affermazione del Maestro si conclude con una precisazione importante, perché sottolinea ulteriormente che non si tratta di un dono per tutti, ma solo per coloro che sapranno obbedire ai suoi comandamenti e che pertanto si saranno davvero dimostrati suoi discepoli. Continua infatti:
lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce.
Questo come per Dio che se vogliamo Dio-Trinità come amico, dobbiamo prima imparare a riconoscere il nostro prossimo come amico per il quale dare la vita.

IN CAMMINO VERSO LA VITA INTIMA IN DIO
Come una fonte dal quale si può attingere acqua sempre nuova, sempre fresca, in abbondanza, così dall’obbedienza ai comandamenti del Signore, sorgono ancora altri doni, altre promesse di salvezza e di gioia eterna. Gesù, infatti, continua con queste parole:
In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi
Da semplici creature, per mezzo della sua morte e risurrezione, Cristo ci ha resi figli di Dio e come frutto della nostra sequela egli ci permette la partecipazione alla vita intima, famigliare, delle tre Persone divine. Quella è la nostra meta, quella la nostra casa. Non si tratta semplicemente di una vaga speranza, ma di qualcosa che è possibile sperimentare, anche se non pienamente in questa vita. Come? Attraverso l’azione dello Spirito Santo, lo sperimentare la presenza di Cristo nella nostra vita che ci permette di portare abbondanti frutti di santità per noi e per chi ci è accanto – vedi la parabola della vite e dei tralci che egli stesso insegnerà di lì a poco (Cfr. Gv 15, 1-8) –, attraverso la stessa Eucaristia in cui Dio diventa così intimo a noi da essere con noi, e in noi, un solo corpo e un solo sangue.
Come se non fosse sufficiente, dopo che Gesù avrà di nuovo indicato quale sia la condizione per poter godere di tutti questi beni, ovvero l’obbedienza ai suoi comandamenti, ci tiene a sottolineare che l’intimità della vita divina sarà segnata dall’amore. Infatti con queste parole si conclude il brano di questa domenica:
Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui
L’amore dunque, è la vocazione alla quale siamo chiamati, sintesi della nostra missione in questo mondo e meta che ci attira verso il Padre. Sia allora, veramente, tutta la nostra esistenza permeato da esso, riconoscendo che punto di partenza non è il Dio che non vediamo, ma il fratello che ci è accanto. Questa era anche la brillante intuizione dell’evangelista Giovanni, quando nella sua prima lettera scriveva:
Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede (1Gv 4,20).

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