Cosa intendiamo veramente per elemosina?

INTRODUZIONE
La parola elemosina, deve il suo significato al verbo greco ἐλεέω, e che significa: aver misericordia, provar pieta.
Nella cultura greca antica, questo sentimento così particolarmente profondo, era considerato una virtù importante e una qualità divina. Il termine veniva utilizzato per descrivere l’atteggiamento degli dei verso gli esseri umani, e indicava la loro capacità di provare compassione e pietà verso le persone che soffrivano o erano in difficoltà. Questo atteggiamento di compassione e di pietà era considerato un modello di comportamento da seguire per gli esseri umani.
Vista, dunque, l’importanza del tempo liturgico nel quale viviamo, la Quaresima, e il particolare spessore che riveste questo tema così antico, tanto da coinvolgere l’uomo nella sua diversità spazio-temporale e storico-sociale, l’elemosina si configura uno dei doveri più importanti dell’uomo di tutte le epoche e di tutti i credi e che in qualche modo conclude il ciclo delle catechesi quaresimali che abbiamo approfondito in questo blog (cliccare sui link in basso).

NELLA FEDE DELL’ANTICO ISRAELE
Nella cultura ebraico-veterotestamentaria, emerge, invece, il corrispettivo rahamim (רחמים), spesso utilizzato nell’Antico Testamento, per indicare la qualità implicita della compassione divina che in qualche modo provocava l’uomo coinvolgendolo nell’imitazione. In effetti il termine rahamim deve il suo vero significato a un’altra parola, la sua radice in termini tecnici, che è rehem (רחם) e che significa utero.
Per questa ragione alla base dell’elemosina non vi è semplicemente un atteggiamento superficiale di attenzione verso il bisognoso, ma si tratta di un sentimento viscerale, profondo e intimo come quello di una madre verso il figlio. È certamente quello che più similmente, per difetto, si avvicina all’amore di Dio per l’umanità e che comunque ci coinvolge come uomini di fede a una presa di posizione: cosa farne? Come far fruttificare il tanto amore percepito e goduto? Da qui l’esortazione nel libro del Deuteronomio:

Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. Bada bene che non ti entri in cuore questo pensiero iniquo: “È vicino il settimo anno, l’anno della remissione”; e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla: egli griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te. Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra, allora io ti do questo comando e ti dico: “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra” (Dt 15,7-11).

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Nel libro del Levitico, poi, come in tutta la letteratura profetica, l’elemosina non viene considerata come una pratica morale regolamentata direttamente da Dio. Leggiamo infatti:

Quando mieterai la messe della vostra terra, non mieterai fino al margine del campo e non raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, vostro Dio (Lv 23,22).

Sarà soprattutto in epoca profetica che l’elemosina rientrerà nel campo più ampio, e imperante, della giustizia sociale, smettendo di essere relegata soltanto in ambito morale e religioso, assumendo per questo una prospettiva universale. Per il profeta Isaia, infatti, la pratica della carità viene inserita in una dimensione purificativa e mirante al bene comune, mentre più propriamente legato a una sorta di giustizia sociale è il profeta Amos che denuncia i commercianti della sua epoca per essere causa di oppressione economica per i più diseredati. Leggiamo:

Lavatevi, purificatevi,
allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni.
Cessate di fare il male,
imparate a fare il bene,
cercate la giustizia,
soccorrete l’oppresso,
rendete giustizia all’orfano,
difendete la causa della vedova” (Is 1,16-17).

Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’ efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”.
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
“Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere” (Am 8,4-6).

Sulla stessa linea si pone l’autore del libro dei Proverbi, che loda la vita dell’uomo compassionevole, affermando che non vi sarà altra modalità per l’uomo di fede di avere una vita felice se non nell’essere compassionevole col suo prossimo. Leggiamo:

Non negare un bene a chi ne ha il diritto,
se hai la possibilità di farlo.
Non dire al tuo prossimo:
“Va’, ripassa, te lo darò domani”,
se tu possiedi ciò che ti chiede (Pr 3,27-28)

Chi è generoso sarà benedetto,
perché egli dona del suo pane al povero (Pr 22,9)

Per chi dona al povero non c’è indigenza,
ma chi chiude gli occhi avrà grandi maledizioni (Pr 28,27).

NEL NUOVO TESTAMENTO
Quando Gesù parla dell’elemosina, lo fa da subito per correggere da un certo modo ipocrita di viverlo, privato da quella carità che lo caratterizzava. In particolare, la polemica alla quale ci riferiamo era quella con chi aveva fatto di tale pratica, un formalismo atto a ingrassare il suo ego. Leggiamo infatti nel capitolo 6 del Vangelo secondo Matteo:

State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.(Mt 6,1-4)

Ma non solo. In questo senso la carità diventa elemento fondante, condizione indispensabile e mai opinabile, perché ci sia vera sequela. Parliamo infatti della richiesta che il Maestro fece a quell’uomo ricco che gli chiese cosa fare ancora per aver salva la vita oltre l’ottemperanza ai precetti giudaici. Leggiamo:

Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19,21)

Nella cristianità delle origini la prima elezione di ministri fu fatta per assicurare una equa distribuzione delle elemosine; in tal modo si rispondeva alle necessità dei poveri. Leggiamo così nel quarto capitolo degli Atti degli apostoli:

La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levita originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli. (At 4,32-37).

Questa pratica era considerata un segno tangibile dell’amore e della solidarietà che univa i fedeli della comunità. Ma perché, poi, la cura dei meno abbienti non fosse mai tralasciata – a motivo del forte impegno per l’evangelizzazione dell’epoca (e che noi cristiani del III millennio dovremmo riscoprire!) –, venne istituito il ministero del diaconato. Leggiamo, infatti, poco più avanti:

In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: “Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola”. Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.(at 6,1-6)

Ma non solo. Il libro degli Atti registra un grave caso in cui alcuni cristiani, si resero rei di incapacità di condivisione, attraendo su loro stessi il Nemico e la morte. Leggiamo:

Un uomo di nome Anania, con sua moglie Saffìra, vendette un terreno e, tenuta per sé, d’accordo con la moglie, una parte del ricavato, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: “Anania, perché Satana ti ha riempito il cuore, cosicché hai mentito allo Spirito Santo e hai trattenuto una parte del ricavato del campo? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e l’importo della vendita non era forse a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio”. All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. Un grande timore si diffuse in tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i giovani, lo avvolsero, lo portarono fuori e lo seppellirono.
Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò sua moglie, ignara dell’accaduto. Pietro le chiese: “Dimmi: è a questo prezzo che avete venduto il campo?”. Ed ella rispose: “Sì, a questo prezzo”. Allora Pietro le disse: “Perché vi siete accordati per mettere alla prova lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta quelli che hanno seppellito tuo marito: porteranno via anche te”. Ella all’istante cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta, la portarono fuori e la seppellirono accanto a suo marito. Un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in tutti quelli che venivano a sapere queste cose. (at 5,1-11)

Per un maggiore approfondimento di questo tema rimandiamo agli articoli in basso:

Nelle lettere di San Paolo, l’elemosina è un tema importante e viene spesso citata come un modo per dimostrare l’amore verso Dio e il prossimo. In particolare, San Paolo si preoccupava della raccolta di fondi per le comunità cristiane più povere e ne parlava esplicitamente nelle sue lettere.
Nella sua prima lettera ai Corinzi, San Paolo incoraggia i fedeli a raccogliere fondi per la comunità cristiana di Gerusalemme, che era in difficoltà a causa della carestia. Scrive:

Riguardo poi alla colletta in favore dei santi, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi metta da parte ciò che è riuscito a risparmiare, perché le collette non si facciano quando verrò (1Cor 16,1-2)

In questo caso l’apostolo di Tarso, suggerisce di raccogliere fondi in modo regolare, affinché alla sua venuta non ci sia bisogno di fare raccolte straordinarie. In un altro momento, poi, delinea l’elemosina come un modo per dimostrare la propria generosità e la propria gratitudine verso Dio. Leggiamo:

Tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia (2Cor 9,6-7)

IL PENSIERO DEI PADRI DELLA CHIESA
Dedichiamo ad essi un paragrafo del nostro articolo, visto che hanno svolto un ruolo importante nella definizione del significato e del valore dell’elemosina nella vita dei cristiani.
Uno dei Padri della Chiesa che ha parlato dell’elemosina in modo particolarmente eloquente è Sant’Agostino, vissuto nel IV-V secolo d.C. Nella sua opera intitolata “De Doctrina Christiana”, afferma che:

L’elemosina è il sigillo sull’amore. Non solo, infatti, l’amore non esiste senza l’elemosina, ma non esiste nemmeno l’elemosina senza l’amore

Agostino, De Doctrina Christiana, 3, 19, 28

In altre parole, l’elemosina è una manifestazione concreta dell’amore cristiano verso il prossimo e, al contempo, l’amore è il motore che spinge alla generosità.
Un altro Padre della Chiesa che ha parlato dell’importanza dell’elemosina è San Giovanni Crisostomo, vissuto sempre nel IV secolo d.C. Nel suo Commento al Vangelo di Matteo, sottolinea come l’elemosina si riveli essere una forma di penitenza che aiuta a cancellare i peccati e a purificare l’anima. Leggiamo:

La carità degli uomini diviene causa di perdono dei loro peccati: essi, elargendo ciò che hanno, purificano sé stessi dal male della cupidigia.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo, 20, 2

Ancor prima di loro, San Cipriano, siamo nel III secolo d.C., sottolineava l’importanza dell’elemosina come gesto di comunione con la divinità e di partecipazione alla sua stessa natura. Leggiamo:

L’elemosina, dunque, è un dono divino, e chi la fa con una sincera carità si avvicina alla natura di Dio.

Cipriano, De Opere et Eleemosynis, 13

In sintesi, per i Padri della Chiesa, l’elemosina era una forma di carità fondamentale nella vita dei cristiani, vista come una manifestazione concreta dell’amore verso il prossimo e come un modo di partecipare alla natura divina. L’elemosina era inoltre considerata una forma di penitenza, che aiutava a cancellare i peccati e a purificare l’anima. Infine, l’importanza dell’elemosina era sottolineata anche dalle Sacre Scritture, che invitano a fare l’elemosina con umiltà e senza cercare la ricompensa degli uomini, ma piuttosto la ricompensa divina.

IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, l’elemosina è presentata come una forma di carità fondamentale, che rappresenta un impegno concreto verso il prossimo e una partecipazione alla natura divina. La si riconosce, in linea con la rivelazione profetica di cui abbiamo parlato nel secondo paragrafo, come un atto di giustizia che risana l’ingiustizia commessa verso i poveri e che impregna tutta la vita del credente avendo come opzione fondamentale quello della sobrietà della vita (Cfr. CCC 2449).
Questo significa che l’elemosina non deve essere solo un’azione occasionale, ma un modo di vita che contempla la generosità e l’aiuto verso chi è nel bisogno. L’elemosina, infatti, è anche una forma di penitenza, che aiuta a cancellare i peccati e a purificare l’anima:

L’elemosina è una delle forme più preziose di penitenza.

CCC 1434

Inoltre, il Catechismo sottolinea l’importanza dell’elemosina come un modo di partecipare alla natura divina e di testimoniare la fede cristiana, ma che soprattutto ha un valore molto concreto, benefico, per la vita spirituale del cristiano. Leggiamo:

L’elemosina manifesta la solidarietà fraterna, sostiene l’amore disinteressato e contribuisce alla liberazione dei beni terreni dalla schiavitù dell’avidità.

CCC 2447

L’elemosina, quindi, non solo aiuta il prossimo, ma è anche un modo per i cristiani di mostrare la loro dedizione alla causa del bene e della giustizia.
In sintesi, dunque, il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta l’elemosina come una forma di carità fondamentale, che rappresenta un impegno concreto verso il prossimo e una partecipazione alla natura divina. L’elemosina è anche una forma di penitenza e di testimonianza della fede cristiana. Infine, il Catechismo sottolinea l’importanza di fare l’elemosina con umiltà e senza cercare la ricompensa degli uomini, ma piuttosto la ricompensa divina.

NEL MAGISTERO DI PAPA FRANCESCO
L’elemosina è un tema centrale nel messaggio del Papa Francesco e rappresenta un atto di solidarietà e compassione verso i meno fortunati. Il Santo Padre ha espresso numerose volte la sua preoccupazione per la situazione dei poveri in tutto il mondo e ha incoraggiato i cattolici a fare l’elemosina come un dovere morale e religioso.
In una delle sue omelie, Papa Francesco ha affermato che si tratta di un vero e proprio imperativo che ci coinvolge moralmente:

La carità non è un’opzione, ma una necessità. Non possiamo essere cristiani senza essere caritatevoli.

Papa Francesco, Omelia, 23 giugno 2013

Questo significa che l’elemosina non è un’opzione per i cattolici, ma un dovere morale e religioso che deve essere vissuto con generosità e amore verso gli altri. Il Papa ha anche sottolineato che l’elemosina non dovrebbe essere vista come un modo per alleviare il senso di colpa, ma come un atto di amore e solidarietà con coloro che sono meno fortunati di noi. In una delle sue omelie, ha affermato:

L’elemosina non è solo una questione di soldi, ma di cuore.

Papa Francesco, Omelia, 7 marzo 2014

Il Papa ha anche parlato della necessità di non giudicare coloro che chiedono l’elemosina, ma di vedere in loro la persona umana che sta dietro la richiesta. In una delle sue udienze generali, ha detto:

Non dobbiamo giudicare le persone che chiedono l’elemosina, ma vedere in loro la presenza di Cristo.

Papa Francesco, Udienza generale, 20 novembre 2013

Questo significa che dobbiamo trattare ogni persona con rispetto e dignità, indipendentemente dalla loro situazione o dal loro status sociale.
Il Santo Padre ha anche incoraggiato i cattolici a fare l’elemosina in modo discreto e senza ostentazione. Come ha detto in una delle sue omelie:

L’elemosina non deve essere fatta per farsi vedere dagli altri, ma per aiutare coloro che ne hanno bisogno.

Papa Francesco, Omelia, 7 marzo 2014

Questo significa che l’elemosina dovrebbe essere un atto di generosità e compassione, non un modo per attirare l’attenzione su di sé.
Inoltre, il Pontefice argentino ha evidenziato che la povertà è al centro del Vangelo e che la cura dei poveri è una parte essenziale della missione della Chiesa. In un messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri, il ha anche affermato:

La povertà è al centro del Vangelo. Non possiamo evangelizzare senza annunciare la buona notizia ai poveri. La nostra parrocchia, la nostra diocesi, la nostra Patria non possono essere orgogliose di sé se non hanno cura dei poveri.

Papa Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri, 19 novembre 2017

Questo significa che l’elemosina non è solo un atto di solidarietà, ma anche una risposta concreta all’appello di Cristo a prendersi cura dei poveri e degli emarginati.
In conclusione, le parole del Papa Francesco sull’elemosina richiamano l’importanza della carità e della solidarietà nella fede cattolica. Egli ha sottolineato che l’elemosina non è solo una questione di denaro, ma di cuore, e che dovrebbe essere fatta senza giudizio o ostentazione. Inoltre, ha evidenziato che la cura dei poveri è una parte essenziale della missione della Chiesa e che l’elemosina rappresenta una risposta concreta all’appello di Cristo a prendersi cura dei bisognosi. Infine, il messaggio del Papa sull’elemosina ci invita a riflettere sulla nostra responsabilità nei confronti degli altri e sulla necessità di vivere la fede in modo concreto e generoso.

CONCLUSIONE
Alla luce di tutta questa ricchezza di significati teologici, biblici, spirituali e sociali, comprendiamo che non possiamo ridurre l’elemosina al mero gesto distratto di lanciare una monetina nel bicchiere di plastica di chi agli angoli delle strade, o fuori delle Chiesa, cerca un aiuto per vivere, ma di un vero e proprio atto d’amore e di compassione, che ci coinvolga personalmente in tutte le nostre facoltà.
Essa rivela la sua vera identità, nella concretizzazione di una vita di preghiera e di digiuno, perché impari a riconoscere nel volto dell’altro quello di Cristo, ricoprendolo di tutte le attenzioni necessarie con la stessa premura, compassione e misericordia con le quali siamo noi stessi amati da lui.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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