In quel tempo, giunsero la madre di Gesù e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo.
Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano».
Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,31-35).
Contesto
All’inizio di questo tempo liturgico ordinario, la Chiesa ci sta permettendo di riflettere sugli esordi del ministero pubblico di Gesù, inaugurato dal Battesimo nel Giordano, con una lettura continua del Vangelo secondo Marco.
Abbiamo avuto modo di renderci conto come la predicazione messianica del Nazareno, fin dal suo inizio, sia segnata dalla polemica con i suoi avversari: scribi e farisei. Tanto che nella narrazione di ieri, abbiamo potuto vedere la forte reazione di Gesù nei loro riguardi, quando osarono definire di provenienza diabolica i suoi miracoli e le sue guarigioni (vedi link in basso).
A chi si riferisce l’evangelista quando menziona i fratelli di Gesù?
La prima annotazione curiosa che cogliamo da questo brano, è una presunta maternità di Maria che non si sarebbe fermata al solo Figlio di Dio. Abbiamo letto, infatti:
In quel tempo, giunsero la madre di Gesù e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo.
In realtà l’evangelista non sta negando la Verginità di Maria, né che Gesù sia il figlio unigenito di lei. Era proprio della cultura ebraica dell’epoca appellare col titolo di fratelli i parenti più prossimi, come i cugini di primo grado. Una verità già nota fin dagli arbori dell’esegesi scritturistica come scienza. Infatti, colui che è probabilmente il più noto tra i commentatori del Vangelo secondo Matteo, Ortensio da Spinetoli, commentando la parola greca ἀδελφοὶ (che significa fratelli), afferma:
«Il termine, oltre al significato predominante di fratello naturale, ne ha uno più elastico pari a cugino o meno ancora» (O. da Spinetoli, Matteo. Il vangelo della chiesa, Cittadella editrice, 51993, p. 373)

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L’intenzione di Gesù
Tuttavia quello che viene narrato in questo brano non è meno importante, provocatorio. Innanzitutto sembra che Gesù rifiuti non solo la visita di coloro che ha sempre ritenuto la sua famiglia, ma addirittura sua madre. Rileggiamo:
Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano».
Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,31-35).
Non si tratta di rinnegare Maria o squalificarne la dignità, ma di permettere ai suoi discepoli di comprendere che anch’essi come lei, nella loro pochezza, possono essere collaboratori di Dio per la salvezza del mondo. Si tratta, in fin dei conti, di cogliere e vivere quanto Maria comprese e cantò nel Magnificat:
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc 1,46b-48).
Universalizzare la fraternità
C’è un ulteriore aspetto che vale la pena di cogliere a partire dalle parole forti di Gesù: il suo fissare lo sguardo sui discepoli presenti ed elevarli allo stato di parenti:
Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,31-35).
È tipico degli animi egoisti, e forse anche egolatri, dire di farsi bastare un pugno di amici e i i pochi parenti che vivono tra le mura domestiche, per stare bene. Il problema è che il “pochi ma buoni” non funziona in ambito cristiano, non può essere una massima attribuibile a chi intenda fare sul serio col proprio battesimo e con Cristo, perché proprio quest’ultimo ha aperto all’infinito i confini della fraternità.
Questo aspetto era così chiaro alle prime comunità cristiane che l’evangelista Giovanni, ispirato da Dio, osò decretare fin dagli esordi del suo Vangelo che i cristiani sono uniti da vincoli ben più forti di quelli dati dal sangue. Leggiamo:
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati (Gv 1,12-13)
Ma non solo. Le riflessioni che ci hanno accompagnato in questi anni, e che abbiamo sviluppato in questo blog (sosteneteci perché possiamo andare avanti) sono tante, perché è un tema tanto caro a Gesù che lo riprende in diverse circostanze. L’amore fraterno per i cristiani non è altro che l’altra faccia di una stessa medaglia. Dall’altro lato infatti non c’è che l’amor di Dio. I due aspetti sono a tal punto complementari da risultare uniti e inseparabili:
Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi” (Mc 12,28-31)
Ma non è ancora tutto e vista l’importanza di quanto Gesù sta affermando, vale la pena ricordare che molti dei suoi esorcismi sono avvenuti su persone che incapaci di avere relazioni fraterne sane, riconcilianti, diedero ampio spazio al Nemico (per approfondire questo argomento clicca sui link in basso).
La prima cosa che i cristiani comprenderanno dopo l’evento di Pentecoste, una volta che saranno resi edotti dallo Spirito riguardo gli insegnamenti del Maestro che avevano faticato a comprendere, è la necessità di lasciare gli angusti spazi delle loro sicurezze per predicare in tutto il mondo, diventando apostoli di fraternità, secondo quanto lo Spirito di Dio, farà loro comprendere.
Quando, dunque, due membri di una comunità, pur non essendo uniti da vincoli parenterali, si chiamano col titolo di “fratello” o “sorella” non stanno facendo altro che riconoscendo la dignità del battesimo che ci rende tutti fratelli in Cristo e attuando, altresì, la sua richiesta di Gesù stesso.
L’esortazione i Gesù ha dei risvolti molto attuali all’intero dei cammini della Chiesa e dei gruppi delle comunità. La provocazione è quella di riconoscerci tutti degni di un amore fraterno che vinca la tentazione dell’elitarismo, del precludere le relazioni ai soli membri di quella determinata comunità. Solo nella misura in cui ci sforzeremo a vivere questo tipo di fraternità indicata, e vissuta, da Cristo potremo dirci davvero suoi discepoli e, di conseguenza, suoi veri fratelli.
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