I domenica del tempo ordinario – anno A
Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14; Mt 24,37-44
IL TEMPO DI AVVENTO: UNA PROVOCAZIONE ATTUALE
Si apre con questa domenica, il tempo di Avvento il cui più intimo senso rimanda all’attesa della venuta di qualcuno. È un termine, infatti, che viene dal latino, Ad-ventus, e che implica l’adottare una serie di azioni, gesti, decisioni che preparino al riconoscere, e celebrare nella gioia, la venuta di Cristo.
La cristianità introdusse questo tempo intorno al IV secolo e lo pensò come un tempo penitenziale, per questo il colore liturgico è il violaceo, lo stesso della quaresima. Già questo basterebbe per una seria, approfondita e prolungata riflessione sul tempo che ci apprestiamo a vivere. Infatti non si tratta semplicemente della preparazione ansiosa, romantica e consumistica del Natale, ma di un tempo di penitenza e conversione affinché ci prepariamo alla sua venuta alla fine dei tempi, celebrandolo già nella sua prima venuta: quella di oltre duemila anni fa.
Per la preparazione spirituale dei nostri lettori, alleghiamo qui in basso una proposta i esame di coscienza per riprendere con assiduità l così importante Sacramento della Riconciliazione.
LA LITURGIA DELLA PAROLA
Nelle ultime settimane abbiamo potuto meditare sugli insegnamenti escatologici di Gesù, quelli che riguardavano gli eventi futuri legati alla sua venuta finale nella gloria e al giudizio che ne conseguirà per l’uomo.
Proprio per questo le letture di oggi mantengono questa prospettiva di attesa, non si tingono dei colori caldi, famigliari, che ci aspetteremmo, ma ancora una volta rimandano a qualcosa che sia ancora più grande, ancora più bello del Natale stesso. Lì dove, infatti, il Figlio di dio si manifestò al mondo nella debolezza della sua carne, noi lo attendiamo alla fine dei tempi venire nella magnificenza della sua gloria eterna.

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Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia (Is 2,1-5)
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.
Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e s’innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti.
Verranno molti popoli e diranno:
«Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci insegni le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri».
Poiché da Sion uscirà la legge
e da Gerusalemme la parola del Signore.
Egli sarà giudice fra le genti
e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.
Casa di Giacobbe, venite,
camminiamo nella luce del Signore.
Dio scrive diritto sulle righe storte dell’umanità
Il profeta annunzia una lieta notizia al popolo provato da un re incapace e dalla prospettiva, piuttosto prossima, della distruzione di Gerusalemme per opera dei Babilonesi a motivo della durezza di cuore di Ioatam re d’Israele che intende ingaggiare una guerra con quella che era la superpotenza dell’epoca.
Il suo è un messaggio di speranza che viene direttamente da Dio e invita a non disperare quando le “faccende” umane diventano davvero ardue da sopportare, quando le prospettive di vita non sono rosee e all’orizzonte si vedono innalzare le nubi scure del tempo di una prova molto dura.
La magnanimità di Dio, è molto più grande delle bruttezze che noi uomini sappiamo architettare e progettare e persino per i posteri. È quello che concretamente si realizza tanto nella storia di Israele, come nella nostra storia personale.
Riscoprirci fratelli in cammino
Tuttavia, per poter godere di questa meravigliosa e liberante azione redentrice di Dio, l’uomo deve compiere un cammino non pianeggiante, non già tracciato, retto, in pianura, ma come dice il profeta:
Venite, saliamo sul monte del Signore
Il cammino non solo è in salita, ma è necessario farlo insieme, come comunità, e mai individualmente. Su questo è chiaro anche Gesù (approfondisci cliccando sui link in basso). Qui si staglia la dimensione penitenziale di un cammino non facile di per sé, perché è in salita, e che impone ad esso un’ulteriore difficoltà: quello di saper stare al passo del fratello che si ha accanto.
Giusto una precisazione
Se il nostro cuore, inevitabilmente, si spinge con desiderio e affetto al Natale, non dimentichiamoci che alla grotta di Betlemme, mai, si presentarono personaggi singoli. Quel piccolo angolo di cielo all’interno di un luogo destinato alle bestie, mosse e attirò non singoli uomini, ma comunità. Vedremo, infatti, come l’angelo non chiama singoli pastori ad adorare il Signore appena nato, ma una comunità di pastori che vegliavano il loro gregge. Anche la stella funge da richiamo collettivo di alcuni studiosi pagani, i magi (che non erano tre, ma tre erano i doni che portavano), che dopo un lungo e faticoso cammino giungono a Betlemme.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2,8-12.15) .
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme.
Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra (Mt 2,1.9b-11).

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Fare delle nostre armi da guerra attrezzi per il bene comune
La seconda provocazione che cogliamo dalla prima lettura di questa domenica, e che ci fornisca una pista sul come vivere davvero bene questo tempo di avvento
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.
Il cammino di per sé, per quanto faticoso, non è sufficiente. Ad esso bisogna imporsi il deporre le armi della guerra, della discordia vicendevole, dell’orgoglio, del pregiudizio, della mormorazione e del pettegolezzo. E come ci siamo impegnati per tenere lucide e affilate queste armi fino ad oggi, ecco che arriva il momento propizio per convertire il loro uso in attrezzi per lavorare la terra: per creare, cioè, qualcosa che non distrugga ma crei.
Si tratta di ripensare un progetto comune e comunitario che torni a far fruttificare il terreno della nostra famiglia, della nostra comunità religiosa, della nostra società. Ma perché questo avvenga, tutti siamo chiamati a impegnarci. A deporre le nostre armi e dedicarci all’edificazione di ciò che nel mondo è bello, buono, fruttuoso e gioioso, mettendoci del nostro, divenendo operatori di bellezza in un mondo imbruttito dall’odio e dall’invidia.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 24,37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Il brano si situa all’interno degli insegnamenti escatologici di Gesù, che ci hanno accompagnato nelle ultime settimane (vedi link in basso). A livello teologico, la Chiesa intende ricordarci che la preparazione a questo Natale avrà davvero senso se esso ci aiuti anche nella preparazione spirituale e umana della sua seconda, e definitiva, venuta nella gloria.
Gesù apre il suo insegnamento con un riferimento al diluvio universale:
Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo.
Mentre l’intera umanità aveva pervertito i suoi costumi, per cui annegava in un male dal quale non voleva uscire, pensando di essere i totali padroni della storia umana, della vita propria e di quella altrui, Dio misteriosamente intervenne ristabilendo la giustizia sul mondo, non distruggendolo ma ricreandolo.
Allo stesso modo, molti uomini, e purtroppo molti cristiani, vivono la propria esistenza nell’illusione di poterne essere gli assoluti padroni, di poter fare a meno di Dio, di pensare alla salvezza della propria anima, e così finiscono per concludere i loro giorni senza aver avuto nemmeno il tempo necessario per una seria revisione di vita.
Quante volte anche noi cristiani praticanti viviamo come pagani, quando siamo unicamente ripiegati su di noi, sulle nostre necessità, sui nostri progetti e desideriamo che tutto ruoti attorno a noi, su quel momento importante come se fosse improvvisamente diventato l’assoluto, l’eterno.
L’invito di Gesù, certamente, non è quello di farci vivere nel panico e nel terrore del sopraggiungere dell’ira divina, il Padre è buono, l’ha detto lui stesso (Cfr. Mc 10,18), ma nella consapevolezza che in questa vita tutto deve passare perché ad attenderci ce n’è una più grande e più bella alla quale sia destinati, o meglio ereditieri secondo il linguaggio di San Paolo (Cfr. Rm 8,17). Tutti siamo chiamati alla gioia della vita eterna con Cristo e con i santi, ma per poterne godere siamo chiamati a dare il nostro contributo già qui ed ora, domani o tra un istante potrebbe essere fin troppo tardi.
Da qui l’invito di Gesù a non lasciarci scivolare la vita di dosso, a vivere intensamente ogni nostro istante, non nelle dissipazioni che ci schiavizzano, ma nella libertà dei figli di Dio (Cfr. Rm 8,21).
Vuoi saperne di più sul Natale? Clicca sulle nostre due catechesi

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