XX domenica del tempo ordinario – anno C
Ger 38,4-6.8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-57
INTRODUZIONE
Quanto è difficile seguire Dio. Fare la sua volontà non è mai facile e decidersi attivamente di essere suoi discepoli, e quindi collaborare con lui nell’opera di redenzione del mondo, in quella salus animarum che è poi il fine, il compito e la missione di tutta Chiesa, lo è ancora di più. Non sono previsti sconti, dopotutto la Parola di Dio rivelata nei secoli attraverso i profeti, i testi sacri, Gesù stesso e quello che lo Spirito ha comunicato agli apostoli, parlano chiaro in merito: da subito.
L’invito quindi, è quello di premunirci di tanto coraggio e perseveranza perché il nostro entusiasmo per la sequela non si affievolisca cammin facendo, al sorgere già dalle prime difficoltà.
Tutte le letture di oggi convergono su questo tema: seguire Dio è bello, avvincente, conduce alla gioia piena e alla vita eterna, tuttavia il cammino è irto di ostacoli posti non dal Signore, ma dalla vita stessa, dagli eventi, talvolta anche da persone e soprattutto dal Maligno e dai suoi figli (vedi link in basso).
Prima lettura
Dal libro del profeta Geremia (Ger 38,4-6.8-10)
In quei giorni, i capi allora dissero al re: «Si metta a morte questo uomo, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché questo uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male ».
Il re Sedecia rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi». Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchia, principe regale, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango.
Ebed-Melech uscì dalla reggia e disse al re: «Re mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame sul posto, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Melech l’Etiope: «Prendi con te da qui tre uomini e fà risalire il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia».
In un’epoca in cui gli uomini avevano l’intima presunzione di conoscere perfettamente la volontà di Dio e che qualsiasi cosa avessero fatto, lui li avrebbe tolti da guai, il profeta Geremia, dando voce al Signore, invita il popolo a desistere dall’ottusità del suo ragionamento. Gli israeliti, infatti, erano convinti di essere essere superiore a qualsiasi altra nazione confinante, tanto da permettersi di entrare in contrasto con la superpotenza dell’epoca: Babilonia.
La voce di Dio non si lascia attendere e, attraverso il profeta, cerca di far ragionare il popolo, ormai troppo pieno di se stesso, a desistere da ogni approccio bellico contro Babilonia perché così facendo farà i conti con una verità che non vuole accettare: Dio non si piega ai desideri di grandezza dell’uomo.
Il compito di Geremia è piuttosto arduo, d’un colpo si vede allontanato da tutti i suoi amici e fratelli. La sua voce non è allineata col pensiero unico vigente e questo lo fa vivere come uno scomunicato tra le mura cittadine, tanto che a un certo punto della sua missione decide di smettere di profetare: perché troppo faticoso e controproducente. Eppure, il suo cuore arde d’amore per Dio, è consapevole che YHWH è mosso dalla tenerezza per un popolo che speditamente si sta dirigendo alla sua condanna. Da qui le parole del profeta che torna a farsi carico della sua missione:
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: “Violenza! Oppressione!”.
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: “Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!”.
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo (Ger 21,7-9).
Fare la volontà di Dio, diventa per Geremia l’unica opzione possibile per non soccombere all’inutilità della vita, all’inerzia di chi si lascia scivolare addosso il tempo e le situazioni senza viverle veramente. Egli ha compreso che accettare il compito di Dio, comporta gioia e bellezza nella sua vita, anche se non è facile, anche se comporta l’incomprensione della sua gente.
In un mondo in cui tutti si credevano invincibili, Geremia era colui che doveva prestare la sua voce a Dio e rivelare che stavano vivendo la più grande menzogna della loro vita e che presto, se non avessero desistito dalla follia dei loro progetti, avrebbero dovuto fare i conti con la durezza della verità. Fu proprio a motivo di non aver dato ascolto a Geremia che Israele sarà costretta a vivere la deportazione in Babilonia, dove vivrà come in stato di semi schiavitù per circa cinquant’anni.
Cosa ha da dire a noi questo brano?
Basta avere uno sguardo attento alla società per comprendere che anche noi, uomini del III millennio, viviamo in un’epoca dominata da un pensiero unico, ideologico e chi non si allinea con esso viene spesso messo alla gogna mediatica con addosso il peggiore degli epiteti: sessista, fascista, razzista, xenofobo e chi più ne ha, più ne metta.
Oggi come allora realizzare la vocazione profetica proveniente dal nostro battesimo, è davvero arduo, difficile, per cui molti cristiani desistono e, se non sono già allineati col pensiero unico dominante, finiscono per tollerarlo senza batter ciglio.
Tuttavia l’esempio di Geremia, ci sprona a non arrenderci, a non cedere alla tentazione di una vita di fede tiepida, ma ad ardere di zelo per Dio e a spendere la nostra esistenza nell’amore, per la salvezza di tanti nostri fratelli.
Vangelo
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12,49-57)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Diceva ancora alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?».
Il fuoco sulla terra
Le parole di Gesù con le quali si aspre il brano del Vangelo di questa domenica, potrebbero farci tremare: in che senso Gesù viene a portare il fuoco? In questo periodo, poi, in cui ettari ed ettari di terreni coltivabili e foreste subiscono incendi in tutto il mondo, l’affermazione dal Nazareno potrebbero preoccuparci e non poco.
Dobbiamo cercare di capire il senso di questo simbolo. Nella Bibbia il fuoco è spesso associato all’intervento divino: si pensi alla colonna di fuoco che guidò protesse gli israeliti dalla furia del faraone mentre lasciavano l’Egitto, terra in cui per secoli vissero da schiavi. Leggiamo così, infatti, nel tredicesimo libro dell’Esodo:
Dio fece deviare il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso. Gli Israeliti, armati, uscirono dalla terra d’Egitto. Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco, per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte (Es 13,18.21-22).
L’esperienza del profeta Elia sul monte Carmelo fu tale che il fuoco sceso dal cielo, consumando l’offerta sacrificale, rivelò al popolo, tentato di adorare la divinità pagana Baal, che al mondo non esistesse che un solo Dio: quello di Israele (Cfr. 1Re 18).
Nel giorno di Pentecoste, lo stesso Spirito Santo si rivela alla comunità riunita come lingue di fuoco che si posarono su ciascuno di essi. Leggiamo infatti nei primi quattro versetti del secondo capitolo degli Atti degli apostoli:
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (At 2,1-4).





Quando Gesù, dunque, parla di un fuoco da accendere sulla terra per opera sua, non fa riferimento ad alcun incendio che non sia di tipo spirituale. Quello di cui parla è, infatti, la rivelazione chiara e inequivocabile della presenza tenera e premurosa del Padre che viene come fuoco d’amore e, allo stesso tempo, di verità per tutti. Non è un caso, infatti, che Gesù usa la stessa metafora del fuoco per indicare lo stato dei dannati:
Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile (Mc 9,43).
La salvezza che Cristo viene a portare nel mondo è per tutti, ma perché tutti ne possiamo godere è necessario un fervido impegno nel vivere la condizioni del Vangelo, secondo quanto insegnatoci da Gesù: unica Via che conduce alla Vita.
La realizzazione del fuoco sulla terra
Altrettanto interessante è come Gesù accenderà questo fuoco sulla terra. Lo farà in prima persona:
C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
Gesù parla di un battesimo da ricevere che attende con ansia. Qualcosa di cui è consapevole fin dagli arbori della sua missione, tant’è che così si esprime a quei due discepoli che osarono dare voce alla loro ambizione:
Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?“. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato” (Mc 10,35-40).
Non solo la salvezza dell’uomo combacia col sacrificio della passione, morte e risurrezione di Cristo, ma quest’ultimo è talmente unito alla volontà del Padre, alla missione che è di tutta la Santissima Trinità, che attende con ansia, ma allo stesso tempo con angoscia, questo momento.
Dal cuore di Cristo, al nostro
L’ardente zelo di Gesù per il piano salvifico divino, non può che farci porre domande esistenziali sul nostro cammino di fede. In che modo cerchiamo di essere buoni cristiani? In che modo realizziamo il nostro discepolato? Il nostro cuore arde d’amore per la salvezza degli uomini, come quello di Gesù?
Certamente non potrà essere allo stesso livello, spesso siamo volubili, suscettibili alle oscillazioni del tempo, delle condizioni e momenti di grande fervore si alternano a quelli di tiepidezza. Tuttavia, se dovessimo tracciare una statistica potremmo dire che siamo più tiepidi o fervidi? In che modo alimentiamo la fiammella della nostra fede, l’entusiasmo di essere veri figli di Dio?
Domenica scorsa Gesù ha rivelato che alla fine dei nostri giorni, si aspetta che lo attenderemo con le lampade accese: in vigilanza operosa e ardente. Commentando questo passaggio, potemmo affermare:
«Attendere l’arrivo del Signore con le lampade accese, ha una forte connotazione affettiva. Attende in piedi, vigile, una mamma che aspetta un figlio, o una moglie che conta le ore per il ritorno del giovane marito dal lavoro.
Le lampade accese, però, hanno un richiamo di tipo morale: l’olio che tiene accesa la fiammella della fede sono le buone opere e le virtù che ci sforziamo a vivere. Per questo è necessario comprendere che la fede non è mai qualcosa di automatico. Benché presente nel cuore di ogni uomo, ha bisogno di un nostro input perché si accenda e risplenda, proprio come l’energia elettrica nelle nostre case» (L’inusuale via della felicità proposta da Cristo. Per una vita mai più bloccata dalla paura).
Il problema è che non raramente ci si rende conto di tanti cristiani nati stanchi: oppressi dal solo pensiero di affrontare la fatica di un’incomprensione, di una parola da dare, di un’esortazione al cambiamento, di una testimonianza. Cristiani dall’anima in pantofole che si fanno spingere dagli eventi, accontentandosi di una Messa alla domenica e di una confessione una volta all’anno, ma che poi di cristiano hanno davvero poco.
Si pensa che la pace sia non-guerra e quindi per poter stare tranquilli sia meglio evitare ogni confronto, apaticamente, tollerando tutto e tutti. Questa altra non è che la pace dei cimiteri, quella dei morti, non dei vivi. Questa è la tiepidezza del cuore, quel vizio capitale che è l’accidia: l’elevazione della pigrizia fisica, spirituale, morale e cognitiva a nuova divinità da adorare. Tale divinità, subdolamente, ci viene costantemente propinata dal consumismo del tutto e subito senza smuoverci dalla poltrona.
Se non comprendiamo che crescere, umanamente e spiritualmente, significa affrontare dei disagi, e superarli, non cresceremo mai. Se vuoi essere davvero un buon cristiano e speri di poter godere della salvezza eterna alla fine della tua vita, non puoi pensare di spendere tutte le tue giornate senza il disagio di un incontro con l’altro, senza farti profeta di Dio, costi quel che costi, come Geremia.
Riaccendere la gioia
La provocazione che siamo chiamati a cogliere, perché il nostro entusiasmo per Dio, e per la sua volontà, torni a riaccendersi, risiede proprio nel significato della parola entusiasmo. Essa deriva dal greco ἐνϑουσιασμός (enthūsiasmós) ed è composta da un prefisso en che significa in o anche dentro, da un suffisso siasmós che significa sostanza e infine sostantivo theos che definisce Dio. Potremmo tradurre questa parola come l’essere, il permanere, nella sostanza di Dio, nella sua intimità e viceversa.
Quello che la parola ci rivela in sé è qualcosa di tanto scontato e che talvolta perdiamo di vista: non avremo mai altra gioia se non in Dio. Potremo illuderci di trovarla nelle cose effimere della vita, ma in realtà nulla potrà mai saziare la nostra sede di eterno e di bellezza che proviene da lui.
Ecco perché in questa nostra epoca sempre più pagana e atea, si moltiplicano i casi di depressione e disperazione: perché abbiamo abbandonato Dio e se lo cerchiamo è solo quando non abbiamo più altro rimedio, quando abbiamo visto che noi non riusciamo a trovare altre soluzioni a un problema. Questo approccio alla fede è da pagani, perché si fa di Dio non un Padre, ma un idolo a cui rivolgerci solo in determinate, ed estreme, condizioni.
La questione della divisione operata da Cristo
Un ulteriore elemento critico del Vangelo odierno, ci viene dato dalle successive parole di Gesù:
Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera.
Gesù non era l’attaccabrighe del momento, né colui il cui nome viene dal greco e significa Divisore, è il diavolo appunto. Ma cosa significa allora quest’espressione di Gesù? Significa che talvolta seguire un cammino di fede, approfondire il nostro discepolato, portare una testimonianza comporterà l’incomprensione, e persino la persecuzione, da parte di taluni.
Gesù lo sa bene, perché lui per primo viene costantemente bersagliato e perseguitato dai suoi avversari che si uniscono alle folle solo con l’intento di denigrare la sua dottrina, arrestarlo e metterlo a tacere una volta per tutte. È consapevole che la sua sorte, sarà anche di coloro che lo accoglieranno nella propria esistenza, per questo li mette in guardia.
Accogliere la fede e fare sul serio con Cristo, dopotutto, significa imparare a nuotare contro corrente, contro il pensiero unico dominante, ma forti, consapevoli ed entusiasti che solo dall’altra parte esista la vera vita, la fonte della gioia eterna.

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