L’inusuale via della felicità proposta da Cristo. Per una vita mai più bloccata dalla paura

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,32-48).  

Annunci

Il brano del vangelo di questa domenica è, in qualche modo, il prosieguo tematico di quello di domenica scorsa. Di fronte a una società che imponeva, e impone, il modello dell’uomo forte, autosufficiente, che non necessita degli altri, ma di contare solo su se stessi, sulle proprie forze, sui propri progetti, Gesù si pone come l’uomo debole che ci invita a farci deboli per contrastare con la mitezza, la durezza di questo mondo. Ma non solo.

Annunci

Se domenica scorsa il biasimo di Gesù contro gli avidi che finiscono per vedere nell’altro non un fratello, ma un pericolo da eliminare o, al massimo, qualcuno da sfruttare per arricchirsi maggiormente, oggi invece siamo chiamati a rivoluzionare la nostra vita, fino a donarla per gli altri, nel servizio incondizionato. Ancora. Se domenica scorsa abbiamo visto la tentazione dell’uomo di ogni epoca di fare del successo e del denaro qualcosa su cui fondare la propria esistenza, illudendosi che esso potesse dare sicurezza al suo domani, oggi il Signore ci spiazza invitandoci a riconoscere che sicurezze in questa vita non ne avremo mai, se non in quella di lasciarci condurre da lui.

Annunci

NON TEMERE
Molto spesso la nostra vita, si snoda attorno a delle paure. Abbiamo paura di non arrivare a fine mese, di non riuscire a dare la giusta prestazione in famiglia, sul posto di lavoro, a scuola o a lavoro. Abbiamo paura di non riuscire a fare la scelta giusta.

Viviamo di paure al punto tale da diventare immobili: fermi su noi stessi, sulle nostre posizioni, sull’incapacità di compiere scelte forti, importanti, passi in avanti.

Annunci

Abbiamo paura di morire, anche se poi questa vita non va come vorremmo, finendo persino di accontentarci della sua mediocrità. Abbiamo persino paura di amare, perché ci facciamo prendere da mille pensieri e preoccupazioni, del tipo: “E se non vengo accolto?”, “Se il mio gesto non viene capito?”, “Se non ottengo altro che rifiuto?”. E così, da immobili, finiamo la nostra vita, lasciandoci trascinare dagli eventi come un ramoscello si fa portare dal corso del fiume, senza avere nessun potere né sull’acqua che lo trascina e nemmeno su se stesso, per provare a nuotare controcorrente. Le paure ci fermano, ci bloccano, molto spesso inutilmente, come se avessimo da perdere chissà cosa e chissà quanto. Eppure il tempo, la nostra vita, alla fine, ci scivola tra le dita, tra i tanti se e i tanti ma dei nostri ragionamenti inutili che ci hanno reso così intorpiditi.

Annunci

IL PICCOLO GREGGE
A chi si rivolge Gesù? Per chi sono le sue parole? Non per tutto Israele, il gregge di Dio, ma su quel piccolo resto, quella piccola porzione, che ha perseverato nella fede e ha riconosciuto nel Nazareno il Messia inviato dal Padre.

Gesù si sta rivolgendo a una minoranza che ben presto si vedrà privata dal suo pastore. Ricordiamo, infatti, che a partire dal nono capitolo del Vangelo di Luca, Gesù si avvia verso Gerusalemme dove è consapevole che troverà incomprensione e morte.
Il Nazareno itinerante, non si rivolge alle grandi masse, non fa del suo ministero una questione di numeri per cui un pastore è tanto più bravo, quanto più riempie la sua chiesa di gente, anche a costo di annacquare la fede stessa. A Gesù i numeri, i calcoli statistici non sono mai interessati. A lui quello che interessa è l’autenticità di un cammino di fede.

Gesù si sta rivolgendo a delle persone che per la mentalità dell’epoca erano degli emarginati, e ancor più lo saranno dopo la sua morte cruenta di croce. Emarginati a tal punto che molti di loro subiranno la sua stessa sorte. Rivolgendosi a loro, li invita a non temere, a non aver paura di sentirsi inferiori rispetto alle grandi masse di uomini e donne che non hanno aderito al suo messaggio, a quelli che erano ritenuti persone dabbene per l’epoca: scribi, farisei, classe sacerdotale, e chi più ne ha, più ne metta.

Annunci

Oggi come allora la cristianità torna ad essere una minoranza, e tra tutti i cristiani quelli che intendono fare un cammino di fede sono ancora meno. Tra quei pochi, quelli che decidono di fare sul serio con Cristo, che lo scelgono come Pastore Supremo anche quando è scomodo, quando li impone di amare e perdonare il prossimo, quando li esorta a non venire in chiesa per spettegolare sugli altri, sono davvero una minoranza. Ad essi, ieri e oggi, Gesù oggi rivolge tutta la sua attenzione e la sua premura.

Annunci

A VOI È DATO IL REGNO
Il Regno di Dio non è per chiunque. Gesù propone una salvezza raggiungibile da tutti, viene per salvare l’intera umanità, ma per godere di questa salvezza è necessario metterci del nostro.

Come? Riuscendo ad entrare in quel piccolo gregge di persone che hanno accolto la mitezza e la debolezza come criteri fondante del proprio discepolato. Qui si parla di coloro che hanno preso le beatitudini e le hanno reso nuovi comandamenti su cui plasmare la propria esistenza. Gente apparentemente sconfitta agli occhi degli altri, che in questa vita non cercano onori e primi posti, ma solo di compiacere il Padre nell’amore reciproco. Per essi è il Regno dei cieli!

Annunci

Da qui, dunque, la provocazione per tutti noi, cristiani del III millennio: se davvero alla fine della nostra vita, vogliamo godere del Regno dei cieli, riuscire a prenderne parte, dobbiamo imparare a deporre le armi del pregiudizio e dell’orgoglio, del sospetto e di ogni tipo di violenza e narcisismo (che oggi passano anche attraverso i social networks). Armi che sono dei veri e propri strumenti di distruzione di massa che non solo ci inibiscono l’accesso al Regno dei cieli, ma per cui, un giorno, dovremo rendere conto: abbiamo pervertito quelle che potevano essere piattaforme su cui evangelizzare, armi per uccidere l’altro con la calunnia e il pettegolezzo, e poi, così farisaicamente ipocriti, osiamo pregare per la pace nel mondo.

Annunci

COME ESSERE GRADITI AL PADRE?
Dopo questa introduzione, seguono una serie di istruzioni che questo piccolo gregge deve adottare come stile di vita per poter entrare nel Regno dei cieli: tutti rientrano nell’amore al prossimo, lo stesso per cui al ricco epulone di domenica scorsa venne impedita la salvezza (vedi link in basso).

Abbiamo letto infatti:

Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.

Cerchiamo di capire in cosa si deve concretizzare lo stile di vita del piccolo gregge di Israele.

Annunci

1. L’ELEMOSINA
Il primo atteggiamento che il Signore si aspetta da noi è un totale affidamento in lui, nella sua tenerezza e bontà. Vendendo tutto, infatti, ci invita a non porre le nostre sicurezze nel denaro e nella materialità, ma solo in lui. Ma non è ancora tutto. Alla dimensione verticale (quella che lega l’uomo alla relazionalità col Trascendente), si aggiunge quella orizzontale, quella, cioè, che ci apre alle nostre relazioni fraterne. Come abbiamo detto in un nostro precedente articolo:

Annunci

Essa è amare non dare spiccioli ai poveri per mettere a posto la coscienza. È la concretizzazione di una vita di preghiera e di digiuno, perché impari a riconoscere nel volto dell’altro quello di Cristo.
L’elemosina non è dare il superfluo, ma imparare a donarsi completamente agli altri, morire per loro, perché l’amore è tale solo se costa fatica, perché l’altro va perdonato e accolto anche quando non ne abbiamo voglia.
Imparare a dare in elemosina il tuo tempo per ascoltare chi ti è accanto, per fare visita a chi vive nella solitudine, a chi magari ha qualcosa da dirti, spiegarti e tu non vuoi ascoltare!” (La quaresima come un cammino di ritorno a casa).

Annunci

Oggi, la grande ricchezza che dovremmo imparare a donare all’altro in elemosina è il nostro tempo, bene preziosissimo per cui riteniamo di averne sempre poco a disposizione, ma che poi abilmente sappiamo sprecare per cose di davvero poco conto. Se siamo ricchi di misericordia, perché ci confessiamo spesso, come pensiamo di non poterne dare in elemosina agli altri, a chi ci ha ferito? Se nella vita abbiamo sperimentato la pazienza di Dio per noi, e quella delle persone a noi care che nonostante tutto non ci hanno abbandonato, perché noi non dovremmo averne col nostro prossimo che molto spesso siede dall’altro lato della stessa chiesa?

Annunci

2. ACCUMULARE TESORI SOLO PER IL CIELO
Alla materialità di questo mondo, alle oscillazioni del mercato mondiale, alla costante preoccupazione per i beni personali che oggi ci sono e domani non si sa e che spesso ci dividono dagli altri e ci fanno spezzare legami “storici”, Gesù propone un nuovo modello di ricchezza: quella spirituale. Egli, infatti, ci invita a farci ricchi di virtù e meriti per il regno dei cieli, lì dove il livello di benessere non viene minacciato dalle oscillazioni finanziarie, né da alcun tipo di frode, ma è sicura perché tenuta in custodia da Dio.
Ricordiamo le parole di Papa Francesco: “Il sudario non ha le tasche” e ancora: “La conversione è vera quando arriva alle tasche”. Se solo avessimo gli stessi pensieri al denaro e ai beni di questo mondo, come a quelli nel Regno dei cieli…

Annunci

Ci troviamo di fronte a una provocazione, che per Gesù è tutt’altro che casuale, così rimandiamo ai link in basso per un maggiore approfondimento di questo tema.

Annunci

3. CON I FIANCHI CINTI
Non è la prima volta che vediamo questa strana richiesta che Gesù fa ai discepoli. Cosa significa? I rimandi sono due: il primo ha un forte richiamo biblico, ci riporta alla notte della prima Pasqua della storia, quella che diede inizio all’esodo di Israele, il suo cammino di riscatto dalla schiavitù egizia, alla terra promessa donata da Dio. Leggiamo così nel dodicesimo capitolo del libro dell’Esodo:

Annunci

Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: “Questo mese sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dite: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia fosse troppo piccola per un agnello, si unirà al vicino, il più prossimo alla sua casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno può mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assemblea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell’acqua, ma solo arrostito al fuoco, con la testa, le zampe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato, lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! (Es 12,1-11).

Annunci

In questo caso avere cinti i fianchi indicava la possibilità di mettersi in cammino in tutta fretta e senza inciampi. Infatti l’abbigliamento tipico dell’antico israelita era composto da una lunga tunica e da un mantello che fungeva anche da coperta durante la notte. Cingersi i fianchi, dunque, implicava la possibilità di camminare senza inciampare nella tunica.
Il secondo significato è complementare al primo, e rimanda a un atteggiamento diverso: quello del servizio. A cingersi i fianchi di un grembiule, infatti, erano i servi, coloro che si apprestavano a compiere dei lavori non proprio nobili e per i quali ci si poteva sporcare.
E’ quello che fece, per esempio, Gesù stesso durante l’ultima cena narrata dall’evangelista Giovanni, quando cioè, chinatosi, si mise a lavare i piedi ai discepoli (approfondisci al link in basso)
.

Annunci

Da qui, dunque, l’invito di Gesù: essere uomini e donne sempre pronti alla sua chiamata, lesti nel mettersi in cammino a un suo cammino, ma anche sempre pronti al servizio, al darsi da fare per lui, senza stare a discutere se si tratti di qualcosa di troppo indegno per l’immagine che ci siamo creati di noi stessi agli occhi della società.

Annunci

4. LE LAMPADE ACCESE
Ricorda la parabola delle dieci vergini, cinque delle quali erano sagge e cinque stolte (Cfr. Mt 25,1-13; vedi link in basso). La saggezza delle prime risiedeva nell’aver calcolato il ritardo dello sposo e per questo si erano premurate di portare dell’olio in più.

Annunci

Attendere l’arrivo del Signore con le lampade accese, ha una forte connotazione affettiva. Attende in piedi, vigile, una mamma che aspetta un figlio, o una moglie che conta le ore per il ritorno del giovane marito dal lavoro.
Le lampade accese, però, hanno un richiamo di tipo morale: l’olio che tiene accesa la fiammella della fede sono le buone opere e le virtù che ci sforziamo a vivere. Per questo è necessario comprendere che la fede non è mai qualcosa di automatico. Benché presente nel cuore di ogni uomo, ha bisogno di un nostro input perché si accenda e risplenda, proprio come l’energia elettrica nelle nostre case. L’elettricità passa attraverso i cavi, ma perché ci sia luce in una stanza, l’interruttore dobbiamo premerlo noi.

Annunci

Allo stesso modo se non alimentiamo la nostra fede attraverso la concretezza della nostra vita, essa si spegne. Così, se vogliamo tastare il polso della nostra anima e capire cosa ne stiamo facendo della nostra fede, dobbiamo imparare a guardarci intorno, alla qualità delle nostre relazioni (vedi anche alcuni approfondimenti ai link in basso).

Annunci

L’ARRIVO DEL PADRONE
All’interno di questa concezione affettiva del servizio e di una fede che non resta accesa senza la concretezza delle nostre virtù, si situa l’arrivo del padrone che lo si attende con ansia e desiderio. Egli, infatti, non viene servito semplicemente per dovere, ma perché gli si vuol bene e si ama quello che si fa per lui.
Egli arriva, ed è interessante questo aspetto, e non spalanca la porta con un calcio, né grida perché gli si apra, ma bussa e lo fa con discrezione. Quanta delicatezza in questo gesto, la stessa con la quale Dio si presenta alla nostra vita. Gesù ci rivela ancora una volta che il nostro è un Dio discreto, che non si impone alle nostre vite, ma si propone ad esse.

Annunci


L’invito è quello di saper guardare alla nostra quotidianità scoprendo in essa le continue sollecitazioni di Dio che talvolta avvengono nella nostra coscienza (per esempio quando sappiamo interiormente che quello che stiamo per compiere non è giusto né bello, o viceversa), talvolta attraverso gli altri (una parola giusta ricevuta nel momento giusto, una sollecitazione necessaria per non cadere nella sfiducia, ecc.), talaltre negli eventi concreti della nostra vita. Riconoscere questo bussare di Dio, ci permetterà di vivere questa vita da veri contemplativi, in cui tutto ha un continuo richiamo a lui e tutto ci innamora sempre più di lui.

Annunci

QUANDO SERVIRE RENDE FELICI
Se a questo punto della meditazione stiamo pensando sul motivo per cui darsi tanto da fare per gli altri, ecco che Gesù ci dona la sua risposta:

Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli

L’abbiamo detto più volte: la parola beato, beatitudine, proviene dal greco μακάριοι, μακάριοι e significa felice, felicità. È un dato interessante perché Gesù ci sta rivelando che tutto quello che ha detto fin ora: il servire e la prontezza del mettersi in cammino, le lampade sempre accese delle nostre buone opere e il privarsi di qualcosa per sovvenire il prossimo, non sono altro che il suo segreto per una vita veramente felice.

Annunci

Spesso cadiamo nel trabocchetto di quella tentazione che ci fa credere che per essere uomini veramente felici, realizzanti, dovremmo possedere molti beni e, soprattutto, ricevere il riconoscimento dagli altri, come medaglie d’onore appuntate al nostro petto.
Contrariamente da questa visuale pagana della vita, Gesù ci propone un percorso completamente diverso e rivela che non v’è altra gioia se non quella di imitare la sua stessa vita. Solo chi è libero interiormente, da ogni idolatria, e dall’immagine di se stesso è capace di servire. E chi serve da uomo libero, comprende che non v’è altra gioia in questa vita se non nell’amare, nel rendere orgoglioso Cristo di noi. Dice infatti S. Ireneo:

“La gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo da Lione, Contro le eresie).

Annunci

RUOLI CHE SI RIBALTANO
Vivere secondo le indicazioni di Cristo suppone per tutti noi una sorta di rivoluzione esistenziale e spirituale. È quello che accade nella parabola che Gesù ha insegnato ai discepoli. Rileggiamo:

In verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!

Annunci

Questo atteggiamento per quanto paradossale, contiene una rivelazione importantissima che Gesù sta facendo circa l’identità del Padre.
Che fosse un Dio discreto, lo abbiamo visto dal modo in cui si presenta alla vita dei servi, bussando alla porta, ma questo non è l’unico tratto della sua identità che ci viene rivelato. Egli, infatti, rivela che il Padre non è un Dio dispotico, che pretende la sottomissione dei suoi fedeli (immagine invece vera per la divinità islamica), ma al contraio è fortemente dominato da una tenerezza viscerale che finisce per definirlo. Per questo San Giovanni mosso dallo Spirito Santo, nella sua prima lettera può affermare:

Annunci

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri (1Gv 4,7-11)
.

Non possiamo, dunque, che concludere questo approfondimento con le parole profetiche di mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta morto in concetto di santità. In una delle sue pagine più note, egli afferma:

Annunci

La cosa più importante, comunque, non è introdurre il “grembiule” nell’armadio dei “paramenti sacri”, ma comprendere che la stola e il grembiule sono quasi il diritto e il rovescio di un unico simbolo sacerdotale.
Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio; il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo.
La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica.
Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile. […]
Non so se sto forzando il testo. Ma a me pare che con questa espressione del vangelo venga offerto il paradigma dei nostri comportamenti sacerdotali, se vogliono collocarsi sul filo della logica eucaristica.
Chi sta alla tavola dell’eucarestia deve “deporre le vesti”.
Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione.
Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza.
Le vesti del dominio, dell’arroganza, dell’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà, ben sapendo che “pauper” non si oppone tanto a “dives” quanto a “potens”.
Dobbiamo abbandonare i segni del potere, per conservare il potere dei segni.
Non possiamo amoreggiare col potere.
Non possiamo coltivare intese sottobanco, offendendo la giustizia, anche se col pretesto di aiutare la gente.
Gli allacciamenti adulterini con chi manipola il danaro pubblico ci devono terrorizzare.
Dovremmo rimanere amareggiati ogni qualvolta ci sentiamo dire che le nostre raccomandazioni contano.
Che la nostra parola fa vincere un concorso.
Che le nostre spinte sono privilegiate. Il bagliore dei soldi anche se promesso per le nostre chiese e non per le nostre tasche, non deve mai renderci complici dei disonesti, diversamente innescheremmo nella nostra vita una catena di anti-pasque che arresteranno il flusso di salvezza che parte dalla pasqua di Cristo.
In una parola, “depose le vesti” per noi sacerdoti deve significare divenire “clero indigeno” degli ultimi, dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli analfabeti, di tutti coloro che rimangono indietro o sono scavalcati dagli altri (Tonino Bello, Stola e grembiule).

Mantenere attivo un blog, comporta delle spese, purtroppo non è gratuito. Sostieni gioiacondivisa.com e la divulgazione della gioia della Parola di Dio. Farlo è semplice: basta una piccola donazione cliccando qui, o sul bottoncino a sinistra. Sii estensione di quella Provvidenza di cui abbiamo bisogno per continuare.

Fame della Parola di Dio?
Cerca altri articoli catalogati nelle sezioni qui in basso

Ultimi articoli inseriti.

Gesù, l’adultera e i tiratori di pietre all’epoca dei social

Gv 8,1-11

Ultimi articoli inseriti.

Ultimi articoli inseriti.

Ultimi articoli inseriti.

Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

3 pensieri riguardo “L’inusuale via della felicità proposta da Cristo. Per una vita mai più bloccata dalla paura

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: