La delusione di Gesù per la presunzione di salvezza di taluni

In quel tempo, Gesù si mise a rimproverare le città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, perché non si erano convertite:
«Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!» (Mt 11,20-24). 

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CONTESTO
Il brano del Vangelo che la liturgia della Parola offre oggi a noi, e alla nostra riflessione personale e comunitaria, si inserisce in una sezione narrativa davvero interessante.
In effetti se il decimo capitolo del Vangelo secondo Matteo, si era concluso con le ultime indicazioni del Nazareno ai discepoli, circa il loro mandato missionario (approfondisci ai link in basso), quello successivo è segnato dal fallimento dell’accoglienza del messaggio salvifico di Cristo.

Appartiene, dunque, all’undicesimo capitolo, la reazione di Gesù di fronte all’incredulità di coloro che pur vedendo le opere meravigliose compiute da lui, fatica a credere. Ecco allora, i versetti che precedono il brano evangelico odierno:

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A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.
È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: È indemoniato. È’ venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11,16-19)
.

IL RIMPROVERO DEL MESSIA
Diciamocelo: non siamo abituati a vedere un Gesù arrabbiato, deluso e che rimprovera aspramente. E se pensiamo che l’atteggiamento di duro biasimo di Gesù verso la generazione incredula del suo tempo, sia soltanto qualcosa di sporadico, eccezionale, beh ci inganniamo grandemente. Basta ricordare per esempio il duro giudizio che alla fine della vita toccherà a coloro che non avranno voluto amare il loro prossimo (Cfr. Mt 25,41-46; vedi link in basso), la sorte che tocca a colui che per invidia nei confronti degli altri non avrà voluto impegnare il suo talento (Cfr. Mt 18,23-35), o per colui che invitato alle nozze messianiche non avrà voluto, deliberatamente, indossare l’abito bello delle sue virtù (Cfr. Mt 22,1-14; vedi link in basso).

Sono solo alcuni esempi tratti dai discorsi di Gesù nel Vangelo secondo Matteo, ma che servono a farci capire che la misericordia di Dio, la salvezza che ci viene offerta dal sacrificio del Figlio Unigenito, sono tutt’altro che scontati.

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«GUAI A TE»
È davvero molto forte l’espressione che Gesù usa nei riguardi di quelle città che, nonostante la loro tradizione culturale e religiosa e il vanto che si facevano dell’ortodossia della loro fede, non hanno accolto il suo messaggio, benché siano state spettatrici dei suoi miracoli. Qui si tratta della predizione della loro rovina eterna a motivo della tanta cecità e ingratitudine.
Se pensiamo, però, che ancora una volta ci troviamo di fronte a un’eccezione, ci sbagliamo di grosso. Riportiamo giusto due esempi, di quelli che in passato abbiamo approfondito:

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In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri» (Mt 23,27-32).

Disse ai suoi discepoli: “È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono. È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli (Lc 17,1-2).

Quello di Gesù, dunque, potremmo interpretarlo come un ultimo avvertimento, non ce ne saranno altri, alla fine il giudizio penderà sugli abitanti di quella città come una scure. Per questa ragione Gesù cita anche Sodoma, la città che fu rasa al suolo, d’improvviso e da una pioggia di fuoco e zolfo, perché incapace di accogliere due stranieri, al punto di volerli eliminare nella loro dignità.

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LA CITTÀ MALEDETTA
La fine ingloriosa della città di Betsaida era in qualche modo anticipata. L’abbiamo compreso quando qualche mese fa abbiamo approfondito uno dei miracoli di Gesù. Unica nel suo genere infatti, risulta essere la guarigione di un cieco, che il Maestro però porta prima fuori le mura di quella città e poi, una volta guarito, invita a non rientrarvi mai più. leggiamo infatti nel Vangelo secondo Marco:

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo.
Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano».
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio» (Mc 8,22-26).

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Approfondendo questo brano evangelico, abbiamo potuto affermare che talvolta il male, si annida proprio tra le mura di una città, serpeggia tra i suoi vicoli, finanche ad annidarsi all’interno di locali e mura domestiche se non santificati da un’intensa vita di fede.

«Che vogliamo accettarlo oppure no, ci sono luoghi di peccato, apparentemente innocui, che dobbiamo rifuggire. Se c’è uno spazio umano all’interno del quale non si fa che coltivare il pettegolezzo, il sospetto, il complotto, l’ordire macchinazioni contro l’altro, o qualsiasi altro tipo di peccato, quel luogo è spiritualmente infetto e va abbandonato, e successivamente quando quelli che lo occupavano avranno fatto un cammino penitenziale di riscoperta della vera fede, allora esorcizzato e purificato. Non è un caso che il noto esorcista, il compianto don Gabriele Amorth, nella sua opera “Un esorcista si racconta”, dedica un intero capitolo, non potendone dedicare più spazio suo malgrado, all’esorcismo delle case» (Città e locali infestati. Gesù a Betsàida).

AMA SENZA ASPETTARTI NULLA
Molte volte nella vita potremo spendere molto tempo per una persona, dedicarle tante attenzioni, guardarla crescere (umanamente e spiritualmente), e persino sperare di vedere dei progressi, sperare di poter essere fruitori dei nostri sforzi. E invece? Invece niente, quella persona non solo non cresce, ma sembra regredire nella sua chiusura e persino nell’ingratitudine. Al contrario invece, in maniera quasi spontanea, notare che lì dove pensavi che non sarebbe cresciuto niente, qualcosa cambia, si muove, evolve.
Gesù ci esorta ed evitare i calcoli nell’amare il prossimo, ci invita a donare, e a donarci, senza star lì a sperare di vedere i frutti, o valutare se ne valga la pena, oppure no. A noi non spetta giudicare, il giudice è lui. Di certo, però, quando liberamente e gratuitamente ci doniamo agli altri, possiamo ben stare certi di cominciare ad accumulare meriti per il Regno dei cieli. Ci penserà lui, poi, a tirare le somme e a giudicare.

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LA PRESUNZIONE DI SALVEZZA
Il titolo di questo paragrafo viene da un termine propriamente teologico e indica quell’atteggiamento cristiano che dà per scontato l’amore di Dio, al punto di presumere che la salvezza sia per tutti, automatica, motivata solo dalla misericordia di Dio. In Sicilia esiste un detto che, tradotto dalla sua forma dialettale, e pulito dalla sua leggera scurrilità, dice: «Pecca, pecca, tanto Dio perdona tutti!». Niente di più falso.
Per quanto sia vero che l’Amore identifica Dio, questo non può essere separato dalla sua giustizia.

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Se pensiamo che basti partecipare una volta a settimana alla Santa Messa, confessarsi un paio di volte e fare qualche preghiera quando abbiamo tempo, per ottenere la vita eterna, ecco che stiamo presumendo la nostra salvezza, proprio come i cittadini di Cafarnao.
Il vero cammino di fede, al contrario, ci inserisce in una continua dinamica di scoperta del volto di Dio che passa attraverso situazioni e relazioni contingenti, ci impone, altresì, una continua purificazione e conversione del cuore. Se questa non è la nostra esperienza di fede, allora urge un cambiamento repentino, prima che quel «Guai a te» venga rivolto proprio a noi.

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SII AMBIZIOSO
L’ultima provocazione che traiamo da questo brano evangelico è proprio quello di puntare in alto, direttamente al Paradiso. Se pensiamo di poterci accontentare di un mediocre posto, alla fine della nostra esistenza, tra le fiamme purificatrici del Purgatorio, potremmo persino non meritarci neanche quello, perché continueremo a dare per scontate molte più cose di quelle che dovremmo, –ecco ancora la presunzione di salvezza –per quello che riguarda la salvezza della nostra anima.
Siamo stati messi al mondo per essere prodigi, non mezze calzette, ma dobbiamo davvero fare un lavoro su noi stessi, e sull’idea che abbiamo di Dio, per credercelo e viverlo. Il tempo è adesso, anzi, era giusto qualche attimo fa, cosa aspetti?

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)

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