In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (Mt 9,32-38).
CONTESTO
Il brano del Vangelo che oggi approfondiamo è davvero molto provocatorio e attuale: parla dell’esorcismo di un uomo posseduto da uno spirito impuro, il quale rivela la sua presenza attraverso un silenzio che non è rispetto per l’altro, ma, al contrario, è vera e propria chiusura a ogni tipo di relazione. Tant’è che dopo l’intervento di Gesù, con la conseguente liberazione spirituale dell’uomo, quest’ultimo recupera tutta la sua relazionalità: riprende a parlare.
LEONI DA TASTIERA, IL NUOVO MUTISMO DEMONIACO
Nell’era dell’iperconnettività, della crescita delle relazioni virtuali (vedasi il metaverso lanciato dalle grandi multinazionali), della pretesa che si possa dire o scrivere qualsiasi cosa passi per la mente attraverso i social networks (anche i più spregevoli sfoghi che fanno più male a chi li digita), il mutismo come sintomo di oppressione demoniaca, sembrerebbe tutt’altro che attuale. E invece no.
Se da un lato il muto (tale non per nascita, ma per malattia spirituale) è incapace di stringere relazioni perché col suo silenzio autoimposto rivela il disprezzo per gli altri, non da meno coloro che spendono ore davanti un monitor di pc o di smartphone a scrivere quanto di peggio gli esce dal cuore, sono meno oppressi da Satana che l’ossesso del Vangelo.
Nella vita si può parlare molto, si può persino credere di essere grandi comunicatori, ma se il contenuto di quella comunicazione non serve per arricchire l’altro, farlo crescere, essa è nulla, parole al vento atte solo a distruggere e non a costruire, quindi, in ultima analisi, sono parole che vengono da un cuore che ha ceduto il posto a Satana.
Se queste affermazioni sembrano troppo forti, basti ascoltare la voce diretta di Gesù:
Poi, riunita la folla, disse loro: “Ascoltate e comprendete bene! Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo!” (Mt 15,10-11).
Gesù parla di impurità, facciamo attenzione! Non parla di un semplice peccatuccio veniale, si badi bene. Per la mentalità biblica e israelitica, quindi anche per l Nazareno, l’impurità è peccato grave, adesione del cuore a Satana, per questo l’impuro era uno scomunicato dalla vita religiosa, liturgica e sociale dell’epoca.
Da qui dunque, la provocazione per tutti noi, cristiani del III millennio, a saper fare una seria revisione di vita sull’uso che facciamo dei nostri social networks. Non è assolutamente vero che tutto ciò che ci passa per la testa, sia lecito esporlo, perché tra quei pensieri potrebbe aggirarsi Satana e se non lo teniamo a bada, gli apriamo le porte dell’anima, e quello da lì non vorrà più andarsene, badando bene persino a rendersi palesemente manifesto.

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QUANDO UNA COMUNICAZIONE È LECITA?
A questo proposito l’Apostolo Paolo mette in stretta relazione la verità della comunicazione con la carità. Leggiamo così nella lettera agli Efesini:
Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo (Ef 4,15).
Non si tratta di un connubio casuale, tutt’altro. Il tema rientra più volte all’interno del magistero paolino, persino nel cosiddetto inno alla carità, nel tredicesimo capitolo della prima lettera ai Corinzi:
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità (1Cor 13,4-6).
Da dove attinge l’Apostolo queste nozioni, questo connubio? Dalle parole di Gesù stesso, egli infatti si definisce come la verità del Padre che è Amore. Leggiamo infatti nel Vangelo secondo Giovanni:
Gli disse Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv 14,6)
Cosa vuole dire l’Apostolo Paolo con questo connubio? Semplice: se la tua verità, la tua capacità relazionale e comunicativa, non è fondata nella carità e non ha l’amore come suo fine, allora quella verità non è tale, è una menzogna bella e buona. Principio e condizione della verità, dunque, è la carità.
L’intuizione dell’Apostolo non può che farci riflettere sulla qualità delle nostre comunicazioni, lì dove non è assolutamente giusto, santo e cristiano, condividere qualsiasi cosa ci passi per la testa. Se i nostri post su facebook non sono fondati nell’amore e miranti all’amore, allora è meglio fermarsi, comprendere che quello sarebbe soltanto una sorta di mutismo selettivo, proprio come quello dell’uomo ossesso dal demonio nel Vangelo di oggi.
È davvero triste constatare come luoghi di con grande potenziale di evangelizzazione, come i social networks, siano trasformati dai cristiani (qui non si parla di semplici battezzati, ma dei cosiddetti praticanti, i cristiani da sacrestia) nei luoghi di abbandonare i pensieri più beceri e volgari del cuore, sfoghi e lamentele privi di senso che hanno come unico scopo la morte dell’altro, senza neanche permettergli di replicare.
Quale credibilità ha questa gente? Che valore pensano che stiano dando al proprio Battesimo e all’eucaristia domenicale di cui si cibano?
Davvero urge urlare quel particolare passaggio che Gesù ci ha insegnato nella preghiera del Padre nostro: «liberaci dal male». Sì, o Signore, liberaci da questo male dell’anima, da questo analfabetismo del cuore, da questa comunicazione vuota, inutile, omicida.
COME TENERE CHIUSE LE PORTE DELL’ANIMA A SATANA?
Il brano evangelico di oggi, ci apre anche a un’altra considerazione: se la chiusura all’altro, il non rivolgergli la parola, questo che potremmo chiamare mutismo selettivo, o anche la perversione dell’uso dei social networks, possono aprire porte pericolose al Nemico, come fare per proteggerci da lui?
La risposta in realtà è semplice: è l’amore. Satana che si ciba di odio per Dio e i suoi figli, aborre i cuori che ardono d’amore. Per questa ragione nella misura in cui saremo uomini capaci di relazioni vere e costruttive, se avremo eliminato dal nostro cuore la mormorazione, il giudizio e, peggio ancora, il pregiudizio, se saremo capaci di costruire ponti di comunicazione con gli altri e non muri, se alimenteremo un animo riconciliato e riconciliante, se saremo unicamente motivati dalla misericordia di Dio per noi e il nostro prossimo, ecco che saremo il più grande deterrente del Maligno (abbiamo affrontato questo tema in altri approfondimenti biblici, per cui rimandiamo ai link in basso).


Vedendoci egli stesso scapperà a gambe levate e si guarderà bene dall’approssimarsi a noi. Tale è infatti l’esperienza della mistica carmelitana, Santa Teresa d’Avila, che nella sua autobiografia afferma:
E davvero mi parve ch’essi mi temessero, perché io rimasi tranquilla e talmente priva di timore nei loro riguardi che scomparvero totalmente le paure che mi solevano tormentare, e anche se alcune volte li vedevo come dirò in seguito, non solo quasi non ne avevo più paura, ma mi sembrava che i demoni l’avessero di me. Mi rimase un tale dominio su di essi, dono certamente del Signore di noi tutti, da non dar loro ormai più importanza che se fossero mosche. Mi sembra che siano così codardi che, vedendosi disprezzati, restano senza forza. Tali nemici non sanno attaccare di fronte se non coloro che vedono pronti ad arrendersi, o quando Dio permette che tentino e tormentino i suoi servi per il maggior bene di questi. Piacesse a Sua Maestà che temessimo ciò che dobbiamo temere e capissimo che può venirci maggior danno da un peccato veniale che da tutto l’inferno messo assieme, perché è proprio così (S. Teresa, Libro della Vita, 25.20).
ALTRI POSSEDUTI: I CRITICONI
Se da un alto il brano del Vangelo di oggi ci offre la meditazione di una liberazione spirituale dal parte di Gesù di un uomo presentatogli da amici e parenti che soffrivano per lui, dall’altro, però, ci presenta anche alcune persone, evidentemente non meno oppresse, che si ritengono degli arrivati, per questo osano mormorare e criticare l’atteggiamento di Gesù. Parliamo dei farisei e della loro reazione all’opera di Gesù. Rileggiamo:
Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
Parlano di demoni, ma alla fine i veri oppressi sono loro. Cos’hanno in comune col muto indemoniato? Anche loro sono incapaci di relazioni vere, autentiche, fondate nella carità. La loro presenza al seguito di Gesù, sembra unicamente mirata a parlare alle spalle, criticare, mormorare sul suo operato. Non sono nemmeno in grado di gioire per il bene che altri hanno ricevuto da Cristo. E quanti di questi farisei-diavoli ci sono tra i banchi delle nostre chiese!

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LA RISPOSTA DI GESÙ
Riteniamo davvero interessante la reazione di Gesù all’atteggiamento dei farisei: li ignora completamente, passa oltre, non presta loro nemmeno la benché minima attenzione. Non si lascia scalfire moralmente dalle loro parole mortifere, ma continua spedito il suo cammino seminando bene e amore.
Allo stesso modo potremmo anche spendere molto tempo in preghiere e sacramenti, ma se nella nostra vita ci comportiamo come i farisei non faremo altro che obbligare il Signore a passarci davanti senza nemmeno degnarsi della nostra presenza. Allo stesso modo però, l’atteggiamento di Gesù di fronte alle critiche dei suoi avversari, deve cercare di aiutarci nel momento dello sconforto, dandoci il coraggio di andare avanti senza prestare attenzione alle critiche e alle mormorazioni da sacrestia.
Vediamo, dunque, quel è questa risposta di Gesù:
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi… Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» .
Lo sguardo di Gesù non si posa sui farisei, e nemmeno il suo udito, li ignora è vero, ma non lo fa con le folle. Visto, infatti, il fallimento di coloro che erano predisposti ad essere le guide spirituali di Israele (casta sacerdotale, scribi e farisei), si rivolge ai discepoli e chiede di pregare il Padre perché mandi nuovi pastori, migliori dei precedenti, che sappiano compiere con amore e dedizione il loro compito.
È un elemento interessante, perché da un lato si parla di un rinnovamento nella guida spirituale di Israele, di una grande attenzione e sensibilità di Gesù verso coloro che si trovano allo sbando a causa di coloro che per la loro formazione e la qualità della loro fede dovevano guidarli, dall’altro rivela che i “vecchi” pastori vengono deposti dal loro incarico, abbandonati a loro stessi, che continuino a crogiolarsi nelle loro beghe da sacrestia.
Da qui dunque la provocazione per tutti noi che cerchiamo di fare sul serio con Cristo e col nostro Battesimo: quali frutti sta dando la mia fede? Che tipo di relazioni sto intessendo nella mia comunità? Ho fatto del mio gruppo una piccola setta di eletti o davvero mi rivelo cattolico nell’universalità dell’accoglienza e dell’amore?
Dalla risposta a queste domande potremmo capire se come cristiani propendiamo più come farisei o come discepoli di Cristo.

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