«Sfama!»: Il comando di Gesù che mette in crisi i cristiani di ogni epoca

Solennità del Corpus Domini – anno C

Gn 14, 18-20; Sal 109; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9, 11-17

INTRODUZIONE
La domenica dopo la solennità della Santissima Trinità, la Chiesa, tradizionalmente, la dedica alla commemorazione del santissimo Corpo e Sangue di Cristo. Cosa celebriamo concretamente? L’amicizia dell’uomo con Dio nel segno non della teoria, di una teologia astratta, ma nella concretezza tangibile di un corpo e di un sangue nei segni sacramentali del pane e del vino.
In questo modo, da almeno due millenni ormai, Dio diventa il sostegno della nostra vita, così come il cibo permette la sussistenza e la vita del corpo. Qui, per il cristiano, cibarsi dell’Eucaristia diventa questione di vita o di morte, tanto che un gruppo di primi martiri cristiani, quelli dell’Abitinia, attuale Tunisia, di fronte alla persecuzione dell’imperatore Diocleziano, intorno al 49 d. C., che gli intimava di abiurare la loro fede, preferirono la morte, esclamando come in un’unica voce: «senza la domenica non possiamo vivere».

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,11-17)

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

CONTESTO
Il brano ci situa all’interno di quell’intenso periodo di Gesù, che fu quello del suo ministero itinerante. Gli apostoli sono tornati dalla missione entusiasti perché nel nome del loro Maestro sono riusciti a guarire gli infermi e a liberare i posseduti dagli spiriti maligni, per questo Gesù li invita in un luogo appartato per riposare. Il suo intento, tuttavia, resta frustrato, perché le folle avendo saputo dove era diretto lo precedono. Sono questi infatti i versetti che contestualizzano il brano di questa domenica e che ci aiutano a capire meglio il senso della narrazione:

Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure (Lc 9,10-11).

NEL CUORE DI GESÙ C’È SPAZIO PER TUTTI
Nonostante la spossatezza fisica e la necessità di prendersi un tempo di riposo fisico e spirituale, Gesù non caccia via da sé le folle che lo cercano. Queste infatti sfidano tanto difficoltà pur di stare con lui: la fatica del cammino, le asperità del deserto, la fame, la spossatezza nel trasportare i malati. Ci troviamo di fronte a un atteggiamento rivelatore della passione di queste persone per il Nazareno: ne sono innamorate e non se lo lasciano sfuggire nemmeno per un istante, costi quel che costi. Lui è la loro seconda e ultima opportunità nella vita per avere un incontro trasformante con Dio e sono disposte a tutto pur di stare insieme con lui.
Dal canto suo Gesù coglie questa attenzione delle folle e, nonostante tutto, trova del tempo di qualità, e quantità, da dedicare a loro. Per tutti egli ha una parola buona, un insegnamento valido per la loro vita e per il loro cammino spirituale di continua conversione.

Non una semplice Bibbia
Non una semplice Bibbia

IN COMPAGNIA DI GESÙ IL TEMPO VOLA!
A tutti è capitata l’esperienza di un momento di preghiera particolarmente intenso, di un’ora prolungata di adorazione eucaristica, in cui il tempo con i suoi ritmi, i suoi affanni, le sue ansie, sembra che passi improvvisamente in secondo piano, dimenticandosi del suo inesorabile scorrimento.
È quello che capita non solo alle folle, ma anche a Gesù, tant’è che gli apostoli sono costretti a intervenire per fare scemare quell’idillio e tornare, in qualche modo, con i piedi per terra. Abbiamo letto, infatti:

Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».

I discepoli sembrano che vivano schiavi del tempo e delle cose da fare, dando quasi l’idea dell’atteggiamento ansioso del Coniglio bianco, personaggio della celeberrima opera di Charles Lutwidge Dodgson: “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie“.
L’invito è quello di non fare del tempo un assoluto: lo sprechiamo per tante cose inutili, ma quello donato a Dio non è mai sprecato, si accumula sempre come meriti per il Regno dei cieli. Per questo il Santo di Pietrelcina, Padre Pio, si infastidiva molto con coloro che pretendevano che la durata delle Sante Messe da lui celebrate non dovessero superare una certa quantità di minuti.

«VOI STESSI DATE LORO DA MANGIARE»
L’affermazione di Gesù è quanto mai sconvolgente, fuori dagli schemi. Non ci sta alle logiche ansiose dei discepoli: nessuno ha il diritto di poter separare un’anima da Dio, che sia in semplice compagnia o in orazione!
A cosa sta invitando Gesù ai discepoli? Alla condivisione, al servizio, all’essere sostegno fisico indispensabile per gli altri. Sono davvero parole forti quelle di Gesù ai discepoli, perché lì dove essi rimandano a un atteggiamento del tipo: «ognuno pensi a se stesso, al proprio orticello», il Maestro invece invita a farsi carico dell’altro.
Non raramente cadiamo nello stesso errore dei discepoli, quando abbiamo la pretesa che in questo mondo, in questa comunità, tra i vicoli dei nostri quartieri, ognuno deve pensare solo a se stesso. Ma questa è la legge della giungla, non dei cristiani!

UN MIRACOLO DI CONDIVISIONE
Quello che accade subito dopo, non è meno scioccante. I discepoli erano proiettati su quello che gli altri dovevano fare: Gesù doveva dare un ordine e le folle eseguirlo, andandosene per i fatti loro a fare provviste di cibo. Il Signore non ci sta a questa logica e invita a puntare lo sguardo non fuori di loro stessi, ma in loro stessi. Per questo rispondono:

«Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».

I discepoli comprendono la provocazione di Gesù: quella di non stare fermi a guardare gli altri e le loro necessità, ma a metterci del loro impegno. D’altro canto, però, a lui basta questa piccola buona predisposizione per compiere qualcosa di prodigioso: non semplicemente una moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma il sopperire alle necessità di una così grande folla di gente che per stare con lui non ha minimamente pensato a se stessa e ai suoi bisogni a breve termine.
Riteniamo interessante, poi, che Gesù non moltiplica i pani dal nulla, ma dal poco che i discepoli hanno imparato a condividere.

QUANTI MIRACOLI CRISTO POTREBBE ANCORA COMPIERE SE…
Quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci è un miracolo frutto della generosità dei discepoli che imparano a spostare lo sguardo dagli altri (e dai loro doveri) a se stessi (e ai loro ben più impellenti obblighi).
Il prodigio del Maestro deve aver sortito una sorta di rivoluzione personale nel cuore dei discepoli tanto che tutti e quattro gli evangelisti lo riportano nella loro opera (Cfr. Mt 14,15-21; Mc 6,32-44; Gv 6,1-15). Questa rivoluzione spirituale oggi il Signore se la aspetta anche da noi, se solo avessimo il coraggio il poco di quello che siamo e che abbiamo, lui lo moltiplicherebbe in grazie di cui a beneficarne non sarebbero soltanto gli altri, le folle, ma anche noi stessi in maniera più o meno diretta.

Perché noi oggi celebriamo l’Eucaristia? Perché anche oggi possiamo cibarci del Corpo di Cristo? Perché qualcuno per voi ha comprato del pane e l’ha condiviso. E meno male che nella Chiesa, nelle nostre comunità, ci sono ancora cristiani che decidono di collaborare con le spese del santuario. In particolare, l’Eucaristia di cui oggi ci ciberemo ci è possibile perché un benefattore ha voluto farne dono per il Santuario. Allo stesso modo possiamo sedere sui banchi puliti e disinfettati, perché qualcun altro ha deciso di sprecare il proprio tempo per tutti noi, togliendolo magari alla famiglia.
Siamo così debitori gli uni verso gli altri, e talvolta non ne siamo consapevoli, o non vogliamo esserlo. Abbiamo la pretesa che alla fine con gli spicciolini che si raccolgono nei cestini si possano pagane le centinaia di euro per tenere una chiesa illuminata. Ben a ragione Papa Francesco in diverse circostanze, e in maniera solenne durante un’udienza generale, ha potuto affermare che: «La conversione è vera quando arriva alle tasche»
.

DISTRIBUTORI DI VITA
Dopo aver benedetto i pani e i pesci, perché questi arrivino alle folle e queste si possano sfamare, Gesù non fa la star della situazione, ma invita i discepoli a distribuire il cibo alle persone convenute. Che significato ha questo suo atteggiamento? In realtà questo rientra all’interno della pedagogia divina: è la logica dell’incarnazione, lì dove la grandezza divina passa attraverso la piccolezza dell’uomo.
Ma questo ha un forte valore simbolico per ognuno di noi. Dio ha bisogno delle nostre mani per accarezzare e sostenere il nostro prossimo, ha bisogno dei nostri piedi per arrivare lì dove nessun altro vuole arrivare, perché ci sono persone nella vita che solo noi potremo amare e Dio ci ha chiamati all’esistenza proprio per questo.
Oggi come allora il Signore ha bisogno di discepoli che portino ai tanti nostri fratelli l’amore, l’ascolto, l’consolazione necessaria per andare avanti, ma senza di te non si può fare.

MAI PIÙ CRISTIANI BULIMICI DI GRAZIE
Viviamo la nostra vita spirituale unicamente orientata al chiedere grazie, doni, miracoli. Tuttavia il brano del Vangelo ci situa in un’altra posizione spirituale: non in quella di coloro che devono ricevere, ma dare, consegnare.
La Chiesa non ha bisogno di cristiani passivi, quelli del minimo di sindacale, ma di gente entusiasta che sappia mettersi in gioco, che impari a sfamare di un pane non suo. Se la preghiera non ci apre al prossimo, non ci rende più generosi, non ci apre alla missionarietà, allora dobbiamo davvero fare una seria revisione di vita.

In un mondo sempre più votato alla morte, perché ha voltato le spalle a Dio, o semplicemente perché non gli è stato dato modo di conoscerlo, urge più che mai l’entusiasmo dei cristiani che portatori di vita nuova, distributori di un pane di vita che apre l’accesso alla vita eterna.
Impariamo dai discepoli che per quanto ottusi, una cosa la capiscono: devono cambiare la direzione dei loro sguardi, impegnarsi per le impellenze degli altri.

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Pubblicato da P. Francesco M.

Conseguito il Baccellierato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Lateranense col grado accademico di Summa cum Laude, ha ricoperto il ruolo di capo redattore della rivista Vita Carmelitana e responsabile dei contenuti del sito Vitacarmelitana.org. Si è occupato della pastorale giovanile di diverse comunità carmelitane, collaborando anche con la diocesi di Oppido-Mamertina Palmi di cui è stato membro dell'équipe per la pastorale giovanile diocesana e penitenziere. Parroco della parrocchia SS. Crocifisso di Taranto e Superiore del Santuario Maria SS.ma del monte Carmelo di Palmi, si è impegnato per la promozione della formazione del laicato promuovendo incontri di formazione biblica e spirituale. Collabora con l'Archivio Generale dell'Ordine Carmelitano e con il Centro studi Rosa Maria Serio, offrendo supporto per il materiale multimediale. Attualmente è Rettore del Santuario diocesano S. Angelo martire, di Licata (AG)